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Il ballo delle apparenze: «Il silenzio di Laura», di Paula Fox

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Il silenzio di Laura
di Paula Fox
Fazi, 2018

traduzione di Monica Pavani

pp. 238
€ 16,50 (cartaceo)




Fazi editore dà alle stampe un'altra opera di Paula Fox: dopo aver pubblicato diversi libri dell'autrice, tra cui il fortunato Quello che rimane, l'ultimo in ordine di uscita, arriva oggi in libreria Il silenzio di Laura, una nuova prova del talento della scrittrice. Il volume arriva sugli scaffali portandosi dietro diversi giudizi positivi, riportati sulla pagina dedicata al romanzo sul sito della casa editrice come, per esempio, il giudizio del New York Times e il pensiero di uno degli scrittori più influenti dei tempi moderni, Jonathan Franzen (autore, tra le altre opere, di Libertà, Le correzioni, e Purity, tutti recensiti da Critica Letteraria):
«…pagina dopo pagina, ci sono i piaceri della prosa di Paula Fox. Le sue frasi sono piccoli miracoli di concisione e precisione, minuscoli romanzi loro stesse» - Jonathan Franzen
«Un’opera degna di Cechov. Ogni frase del romanzo della Fox è viva e sorprendente» - «The New York Times»
L'autrice è conosciuta non solo per il suo talento letterario, ma anche per la sua burrascosa storia familiare: come viene riportato sul sito di Fazi editore, nella pagine dedicata alla scrittrice, la Fox nasce il 22 aprile 1923, figlia «di uno sceneggiatore alcolizzato e di una giovane psicolabile», successivamente verrà affidata ad un orfanotrofio ed in seguito adottata. Il padre la prenderà in carico quando la piccola avrà sei anni ed in un secondo momento verrà data alla nonna, con cui vivrà in una piantagione a Cuba. Se la sua storia sembra quella di un romanzo, anche le vicissitudini che affronteranno i suoi discendenti non saranno da meno: la Fox, infatti, è nonna di Courtney Love, vedova Cobain (leader dei Nirvana). Insomma, una vita non facile, durante la quale la consacrazione letteraria arriva anche piuttosto tardi: sempre come riportato sul sito della casa editrice, il riconoscimento letterario è arrivato in età avanzata, dopo che Jonathan Franzen ha portato il suo nome alla ribalta, mettendo in luce le sue doti letterarie.
Il libro – uscito per la prima volta nel 1976, col titolo inglese di The widow's children – si apre su una stanza in cui all'interno Clara, uno dei personaggi principali, sta indugiando prima di prepararsi ed avviarsi alla cena che la attende.
«Clara Hansen, in bilico sul bordo di una sedia, la schiena dritta e solo la biancheria intima addosso, era ferma immobile. Tra poco avrebbe dovuto accendere una luce. Finire di vestirsi. In quello stato così prossimo al sonno, si sarebbe concessa altri tre minuti nel suo appartamento ormai buio. Si voltò a guardare un tavolo su cui era posata una piccola sveglia. Tutt’a un tratto un’agitazione tormentosa la fece scattare in piedi. Avrebbe fatto tardi: gli autobus non erano affidabili. Non poteva permettersi un taxi fino all’albergo dove sua madre, Laura, e il marito di lei, Desmond Clap­per, la stavano aspettando per un aperitivo seguito dalla cena. La mattina successiva i Clapper sarebbero partiti in nave diretti in Africa, questa volta. Sarebbero stati via diversi mesi.» (p. 8)
Una volta finito di vestirsi si reca all'appuntamento, a cui presenzieranno anche Carlos, suo zio, e un altro invitato, tale Peter Rice, un editor amico di Laura e Desmond. Una volta arrivati ha subito luogo il ballo delle apparenze, in cui ognuno recita la parte che gli è stata assegnata. Lo sguardo di Paula Fox è indagatore e mette in luce i cinici rapporti che intercorrono tra i personaggi: Clara, che non vorrebbe essere lì, durante l'aperitivo prima, e durante la cena poi, cerca di impersonare il ruolo della figlia che torna dalla madre, eppure è sempre ben visibile la ritrosia che l'accompagna durante tutto l'evento. L'apparenza conta, per Laura, e tanto, a tal punto da non permettere di lasciar trasparire una terribile notizia che l'ha raggiunta la mattina stessa della cena.
«Il fatto in sé era la notizia che le avevano comunicato al rientro in albergo con il marito, dopo le ultime spese per il viaggio. E cioè che, circa a metà pomeriggio, sua madre, Alma, era deceduta nella casa di riposo dove aveva vissuto gli ultimi due anni. Laura si era voltata verso Desmond, addirittura sorridente mentre lui le chiedeva chi fosse al telefono, e aveva risposto che era Clara, domandava indicazioni su come raggiungere l’albergo, ma lui intanto poteva scartare le bottiglie degli alcolici?» (p. 12)
Laura non versa una lacrima, continua a recitare la parte che si è cucita addosso, come un guanto, incapace persino di comunicare l'avvenimento luttuoso a Desmond, e anzi, mentendogli su chi stesse parlando dall'altro capo del telefono.
L'ambientazione non fa altro che amplificare questo senso di costrizione che l'attanaglia, poiché, in maniera molto abile, la Fox ambienta tutta la prima parte del libro nella camera d'albergo che ospita la coppia prima della partenza: in tal modo, le quattro pareti della stanza diventano una prigione che impedisce agli invitati una vera fuga e allo stesso tempo cella dorata degli stessi protagonisti, i quali si trovano essi stessi ingabbiati in una relazione fredda e apatica. La prima sezione del libro, perciò, è quasi claustrofobica, e lo spazio ristretto amplifica il senso di inadeguatezza e frustrazione che prova Clara. La cena sarà occasione per una svolta narrativa importante, in cui emergeranno vecchi silenzi e nuovi rancori.
Paula Fox, quindi, si mostra come una fine indagatrice di sentimenti umani, una ritrattista precisa in grado di delineare, con estrema attenzione, gli umori dei suoi personaggi, e, forse, dell'umanità stessa.

Valentina Zinnà