L'apocalisse del Lago d'Aral. Una storia per riflettere

           
Il principio della terra
di Elena Maffioletti
Infinito edizioni, 2018




pp.174

€ 14,00 (edizione cartacea)
€ 5,99 (ebook)





"Quando i mondi cominciano a inclinarsi verso il basso, si sa, non c'è grandezza del passato che tenga".

Il principio della terra di Elena Maffioletti non è una lettura consolatoria, non è divertente, non è rasserenante. È una lettura spiazzante. Per l'ambientazione descritta, per la scrittura utilizzata, per la strutturazione delle voci narranti. Un'esperienza che richiede, da parte del lettore, attenzione e complicità.
Ma partiamo dall'inizio. La vicenda si svolge nella porzione di terra che era occupata dal Lago d'Aral. Siamo al confine tra Uzbekistan e Kazakistan e questo lago salato, definito anche mare, un tempo si estendeva addirittura per 68mila chilometri quadrati, era pescoso, pieno di vita, sulle sue rive si affacciavano villaggi abitati. Ora quel territorio è nella top ten delle zone più inquinate del mondo, un deserto arido e avvelenato sulla cui superficie barconi arrugginiti di diversa stazza sembrano dinosauri appartenenti a ere lontane. Che cosa è successo? Negli anni 60 del Novecento il governo sovietico decise di deviare il corso dei due fiumi che lo alimentavano per garantire acqua alle colture di cotone delle aree vicine. La produzione di questa fibra tessile negli anni decuplicò… il lago morì: attualmente le acque si sono ristrette a meno del 10 per cento dell'estensione originaria. In pratica una pozzanghera avvelenata. Sì perché non pago del disastro ambientale, l'uomo in quest'area ha riversato diserbanti e fitofarmaci e ha condotto segrete sperimentazioni tossiche (antrace e altri agenti batteriologici infestano infatti terra e acqua). In poche parole, un'ecatombe naturale che ha portato l'Unesco, nel 2011, a dichiarare Memoria del mondo l'archivio che racconta la storia del Lago d'Aral.
Questa lunga premessa mi è servita per aiutare il lettore a crearsi nella mente un'immagine. Sì perché è proprio questa malsana zona del mondo che Elena Maffioletti ha scelto per dare vita al suo romanzo. Un libro nel quale, come è giusto che sia, è il territorio stesso a reclamare una parte da protagonista.
E protagonisti, insieme al territorio, sono personaggi appartenenti a tempi diversi, ma che si muovono tutti sulle sponde del lago: dalla bellissima tessitrice di arazzi Anrai, che sui garofani rosso sangue dei suoi ricami riversa il suo dolore per il promesso sposo ucciso, al ragazzino Tohir, che apre e chiude la storia; dal dottor Akov, lo scienziato responsabile degli esperimenti batteriologici sull'isola di Rad, ad Hamid, soldato di guardia; da Haadiya, fidanzata del giovane Razir, accusato di omicidio, a Uymar, gestore di una locanda, che una mattina si imbatte in questa ragazza disperata e spaesata e cerca di aiutarla; da Grace, fotografa d'assalto, con origini familiari in queste lande perdute, fino al graffitaro che nottetempo riempie i muri della città di verità e opinioni. Ognuno di questi personaggi è legato da un misterioso filo invisibile a tutti gli altri. Un filo che spetterà al lettore dipanare. Infine una pipetta contenente un liquido sconosciuto compare, a mo' di leit-motiv, in più parti del romanzo. Dietro a tutto e a tutti c'è lo spettro delle sperimentazioni batteriologiche condotte dagli scienziati in un regime di assoluta segretezza, che tocca ai soldati mantenere tale. Ricordando, soldati e ricercatori, che l'opzione etica non è contemplata.
Se detta così la storia vi sembra complicata, ebbene siete nel giusto, perché in effetti lo è. L'autrice inoltre utilizza un escamotage narrativo interessante: ogni capitolo ha un protagonista diverso e racconta una parte dell'intera storia, legata alla sua vicenda personale. Anche l'io narrante muta: se quasi tutto il romanzo è raccontato in terza persona, il giovane artista di graffiti invece parla di se stesso, utilizzando l'io.
Tutto questo serve a rendere ancora più strana e straniante l'intera vicenda fulcro del romanzo, che si distende piano piano, indizio dopo indizio. Se però questo stratagemma ha un innegabile fascino, d'altra parte (non me ne vorrà la scrittrice) devo confessare che ho fatto un po' fatica a entrare completamente nel meccanismo… e qui scatta la richiesta di complicità del lettore. Che deve fidarsi, deve lasciarsi trasportare dalla storia collettiva, attraverso il principio della reductium ad unum
Ma, senza arrivare a destrutturare l'impianto stesso della narrazione, a mio parere, qualche riga utile a riallacciare eventi e personaggi a inizio di ogni capitolo, offrendo al lettore qualche appiglio in più, ne avrebbe agevolato la comprensione. La trama del romanzo infatti, non sempre semplice, soffre un po' di questi continui cambi di prospettiva.
Sono rimasta piacevolmente stupita invece dalla "sontuosità" della scrittura: la Maffioletti utilizza la lingua italiana in modo egregio e raffinato, con un'aggettivazione ricca e inconsueta. Utilizza parole "lucidate" che corrono via in un profluvio di immagini nuove e levigate.
 "La luna sale nel cielo sfarinando luce" (p. 64) 
"La tempesta sorge piroettando sull'orizzonte. Serpenti dalle sferzanti lingue salate sgorgano a fiotti dal suo grembo. Cade il buio". 
Tramite la lingua l'autrice ha la capacità di creare un ambiente, un'atmosfera: tutta l'aggettivazione e l'uso dei nomi delle prime pagine hanno, per esempio, il compito di suscitare nel lettore l'idea di un paesaggio devastato, arido, ferito a morte. Ecco allora che nomi e aggettivi si colorano a tinte fosche, prendendo a prestito tutta la gamma della cupezza: il silenzio è "stagnante", la luce è "giallina", le onde "torbide", la distesa "brodosa e svenata", la prua "sbrindellata", il cassero "squassato", il chiarore "rugginoso", il destino "maligno", la sorte "miseranda", la luminosità "sbilenca" e così via. E allo stesso modo c'è sintonia tra paesaggio esterno e animo dei personaggi.
 Tutto dentro di me era arso, spaccato, doloroso (p. 22)
 Ma, nel contempo, è lo stesso paesaggio che sa regalare tocchi di poesia.
 Colpa della notte nel deserto, di quell'immensa cappa nera bucherellata dagli astri che ti fa sentire cieco al centro dell'universo. (p. 47)
Ci sono tanti modi per alzare il velo su una tragedia immane, un disastro ambientale, sociale ed ecologico che, probabilmente, non ha ancora terminato di mostrare tutte le sue nefande conseguenze. Elena Maffioletti ha scelto la strada della scrittura: Il principio della terra è sì un romanzo, ma ha anche le caratteristiche di un'inchiesta, di una denuncia, di un grido che richiama attenzione su un mondo che non c'è più. E allo stesso tempo è anche una favola, forse cattiva, che dipinge una terra lontana, sferzata da un vento incessante che solleva nuvole di sabbia. Una terra un tempo fiorente, bellissima, ma che l'uomo, per calcolo economico, ha condannato alla distruzione. 

Rosatea Poli

Avete presente il lago d’Aral? Quella devastata landa desertica e arida, tra #Uzbekistan e #Kazakistan, dove soltanto alcune carcasse di navi arrugginite rimangono a testimoniare che lì, un tempo, si apriva un immenso lago salato, chiamato anche mare? Dove nuotavano pesci, si affacciavano villaggi, lavoravano pescatori... Come sarebbe stato oggi il lago d’Aral? Il deserto che ora si stende al suo posto (una delle zone più inquinate del pianeta) è il risultato dello scempio ambientale perpetrato dall’uomo... Elena Maffioletti ha pensato di ambientare un romanzo proprio qua, sull’orlo dell’apocalisse. Protagonisti de “Il principio della terra” (@infinitoedizioni ) sono ricamatrici, soldati, scienziati, ragazzini. Un umanità varia che si muove all’ombra di inquietanti segreti, primi fra tutti il ritiro del lago e sconosciuti esperimenti batteriologici. Vi incuriosisce? A presto la recensione sul nostro sito. #infinitoedizioni #romanzo #inlettura #criticaletteraria #recensioni #leggo #leggolibri #leggere #bookstagram #booklover #bookish #bookaddict #leggerefabene #leggerechepassione #libri #librinuovi #ilovereading
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