Piccolo saggio sull'umorismo e il linguaggio
di Marco Malvaldi
Rizzoli, 2018
pp. 154
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
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Già il titolo di questo breve saggio suggerisce che l'umorismo sia qualcosa che si colloca a metà tra la chimica e l'alchimia. Marco Malvaldi accompagna il lettore, con la consueta affabilità, lungo un percorso che attraversa la storia della lingua, le teorie della comunicazione e l'intima connessione che sussiste tra ironia e linguaggio. Il testo è marcatamente divulgativo, ricco di aneddoti e storielle buffe. Non a caso Malvaldi, includendo il lettore in una rassicurante prima persona plurale, a un certo punto osserva che "possiamo provare a farci una domanda semplice, e anche più adatta all'atteggiamento infantile che abbiamo deciso di adottare" (p. 37).
Questa considerazione minima è in realtà programmatica: fornisce un'indicazione di stile, se non di metodo. Ci obbliga a porci nei confronti dell'argomento trattato in un'ottica di curiosità e semplicità, che lui asseconderà con la sua prosa sorridente e leggera, piena di chicche ironiche.
Certo, l'autore chiede anche al lettore un atto di fiducia: non è sempre chiaro, all'inizio della riflessione sul linguaggio (soprattutto per chi ha già studiato l'argomento) dove il discorso stia andando a parare, quale utilità abbiano determinate riflessioni ai fini dell'argomentazione generale. Tanto più che il testo è strutturato in modo da risultare brillante, con un continuo dispiego di battute, frecciatine e giochi di parole che inframezzano il tessuto linguistico e strizzano l'occhiolino al pubblico, quasi a volergli ricordare sempre qual è il vero argomento del saggio. Tuttavia, come in un giallo ben congegnato (e d'altronde Malvaldi è anche maestro del genere), alla fine tutti gli indizi sapientemente disseminati vengono ricondotti a una teoria complessiva, che soddisfa la curiosità creata in precedenza. È importante ricordare, nel corso della lettura, un concetto fondamentale:
Certo, l'autore chiede anche al lettore un atto di fiducia: non è sempre chiaro, all'inizio della riflessione sul linguaggio (soprattutto per chi ha già studiato l'argomento) dove il discorso stia andando a parare, quale utilità abbiano determinate riflessioni ai fini dell'argomentazione generale. Tanto più che il testo è strutturato in modo da risultare brillante, con un continuo dispiego di battute, frecciatine e giochi di parole che inframezzano il tessuto linguistico e strizzano l'occhiolino al pubblico, quasi a volergli ricordare sempre qual è il vero argomento del saggio. Tuttavia, come in un giallo ben congegnato (e d'altronde Malvaldi è anche maestro del genere), alla fine tutti gli indizi sapientemente disseminati vengono ricondotti a una teoria complessiva, che soddisfa la curiosità creata in precedenza. È importante ricordare, nel corso della lettura, un concetto fondamentale:
"Divertire" nel senso latino del termine, cioè cambiare direzione. Il divertimento, il cambiamento di direzione, avviene tra ciò che ci aspettiamo, intuitivamente, e ciò che invece succede; tra le nostre aspettative inesatte e lo sviluppo della frase. (p. 73)
Noi diamo per supposte molte cose basandoci sull’esperienza. La comicità deriva dallo spiazzamento di tali presupposti (o preconcetti). Due sono per Malvaldi gli elementi che scatenano la risata: la sorpresa e l'incompatibilità (ma forse sarebbe meglio dire incongruenza) di due o più fattori che nella battuta, o nel racconto comico, coesistono. Il colpo di scena - l'improvviso sovvertimento delle attese del lettore - fa in modo che nello stesso momento siano attive diverse aree del cervello, che si trova quindi ad essere iperstimolato. Da bravo scienziato, Malvaldi non rinuncia a fornire una spiegazione biologica ed evolutiva del nostro umorismo. Se crediamo alla teoria darwiniana, infatti, dobbiamo accettare che il riso comporti dei vantaggi ai fini della selezione della nostra specie. Questo rende allora più complessa la seconda questione, ovvero se e come sia possibile far ridere un computer. Solo quando questo succederà, infatti, l'intelligenza artificiale potrà essere davvero paragonata a quella umana. L'ultima parte del volumetto è quindi dedicata a capire in che modo si possa far comprendere a un calcolatore l'ironia.
E, per ironia della sorte, Malvaldi prende come spunto di partenza un preciso esempio da un sito di satira, Spinoza.it: "I tifosi del Verona inneggiano a Hitler. E fatelo giocare, no?" (p. 128). Da veronese quale sono, mi sento immediatamente chiamata in causa, tanto più che l'autore aggiunge alcune considerazioni colorite sulla tifoseria locale, senza mancare di aggiungere in coda al volume una nota dedicata a un importante chiarimento: "Pur essendo una persona pavida, non temo ritorsioni per questa frase: la probabilità che uno dei detti figuri prenda un libro in mano e capisca cosa c'è scritto è molto bassa. Per non parlare di questo, che non ha nemmeno una figura" (p. 152). È l’occasione perfetta, per me, per applicare e verificare le informazioni apprese nelle pagine precedenti.
La cosa buffa di tutta la faccenda è che Malvaldi ha ragione, ma che un computer, mancando del coinvolgimento diretto necessario a pesare davvero una battuta come quella riportata, quandanche ne cogliesse le incongruenze logiche e semantiche, non potrebbe probabilmente apprezzarne il potenziale comico. Come, probabilmente, uno dei tifosi chiamati in causa. Il primo è troppo lontano, il secondo troppo vicino. Manca a entrambi quella giusta distanza che è la caratteristica necessaria per cogliere l'umorismo di un testo o di un evento. Come osserva Malvaldi, si ride se “una data situazione non è fondamentale per la nostra sopravvivenza, [se] stiamo parlando di situazioni astratte, irrealizzabili o la cui probabilità di realizzazione è talmente bassa che non conviene prenderla in considerazione" (p. 139). Se, cioè, non ci sta davvero a cuore. Se ci tocca abbastanza da vicino da coinvolgerci, si può aggiungere, ma non poi così vicino da ferirci. Se, di base, ammettiamo la possibilità di essere fallibili, e il fatto che l'ironia sia un modo per rilevare la discrepanza che c'è tra le nostre aspettative e la realtà. Io, che non sono tifosa di calcio, né coinvolta direttamente nella situazione descritta dalla freddura, se riesco a prescindere dall’amarezza per il contesto rappresentato, la posso prendere con ironia e riderci su.
La risata è un'emozione, che ci riguarda in quanto umani. Quindi, dopotutto, questa può restare anche una peculiarità esclusivamente nostra. Con un colpo di mano – e il sorriso di chi accetta di non prendersi troppo sul serio – l'autore sovverte quindi i presupposti della sua stessa opera (applicando tra l'altro quel meccanismo di spiazzamento che abbiamo visto essere la perfetta condizione umoristica).
Se proprio si vuole trovare un difetto allo scritto, si può notare che le spiegazioni tecniche e scientifiche di Malvaldi sono sempre accessibili, a volte troppo: in alcuni casi gli snodi logici o le spiegazioni risultano semplicistici, più che semplificati a uso del lettore (si veda ad esempio come viene risolto in poche righe il problema dell'umorismo per Pirandello). Su certi aspetti interessanti si vorrebbe davvero sapere di più. Nonostante questo, Per ridere aggiungere acqua si conferma un libro leggibile e molto gradevole, anche se forse non indimenticabile.
Carolina Pernigo