Egon Schiele.
Il corpo struggente.
di Otto Gabos
Centauria, 2018
pp. 111
€ 19,90 (cartaceo)
Di chi sarà mai “il corpo struggente” a cui allude il sottotitolo della biografia di Egon Schiele illustrata da Otto Gabos e pubblicata da Centauria? Forse di Wally Neuzil, amante e musa prediletta del pittore? O magari di Edith Harms, moglie adorata e ritratta con pari frequenza e passione? Oppure, ancora, di Gerti, sorellina cara, modella dell’indigenza e prima minuscola Eva? Non importa: a ben guardare, e senza nulla togliere al ruolo di questa trinità muliebre nella vita del celebre enfant prodige, non è poi così determinante stabilirlo. Perché in pochi altri casi come in quello dell’artista austriaco (Tulln an der Donau, 1890-Vienna, 1918) il suddetto tormento stava già tutto nel suo occhio "osservante", e l’ossessione per l’anatomia più nervosa ne sarebbe stata sempre la naturale conseguenza: verso la luce, verso l’energia sprigionata da una figura umana sempre tesa, contratta, erotizzata.
Il corpo struggente.
di Otto Gabos
Centauria, 2018
pp. 111
€ 19,90 (cartaceo)
Di chi sarà mai “il corpo struggente” a cui allude il sottotitolo della biografia di Egon Schiele illustrata da Otto Gabos e pubblicata da Centauria? Forse di Wally Neuzil, amante e musa prediletta del pittore? O magari di Edith Harms, moglie adorata e ritratta con pari frequenza e passione? Oppure, ancora, di Gerti, sorellina cara, modella dell’indigenza e prima minuscola Eva? Non importa: a ben guardare, e senza nulla togliere al ruolo di questa trinità muliebre nella vita del celebre enfant prodige, non è poi così determinante stabilirlo. Perché in pochi altri casi come in quello dell’artista austriaco (Tulln an der Donau, 1890-Vienna, 1918) il suddetto tormento stava già tutto nel suo occhio "osservante", e l’ossessione per l’anatomia più nervosa ne sarebbe stata sempre la naturale conseguenza: verso la luce, verso l’energia sprigionata da una figura umana sempre tesa, contratta, erotizzata.
Per ripercorrere la vita di un personaggio divenuto di culto anche fuori dalla cerchia degli addetti ai lavori, e che come pochi fa scattare la molla dell'immedesimazione da parte del pubblico più vasto e variegato, Otto Gabos ha scelto di adottare la prima persona, dunque la formula apparentemente più ovvia per creare un’interlocuzione diretta tra l’io narrante biografato e il lettore. Così è Schiele, fin da subito, a parlare, a rompere la quarta parete e a guardare in camera, in un racconto di sé e della propria arte intercalato da spiegazioni più neutrali dedicate alla ricostruzione della temperie storica e culturale con cui ebbe a confrontarsi (e il più delle volte confliggere). Attratto e respinto dall’atmosfera mitteleuropea tipicamente fin de siécle, in cui la decadenza più estenuata e il desiderio di rinnovamento convivevano con il progresso scientifico e la nascita della psicanalisi, l’artista racconta ogni cosa, ogni incontro, attraverso il filtro dell’ambizione e dell’immaginazione pittorica: la famiglia, la precoce condizione di orfano, la nostalgia per la figura paterna, l’impossibile accettazione dell’autorità qualora priva di carisma, fosse pure quella dell’Accademia di Belle Arti di Vienna e del suo rinomato corpo docente. E poi, soprattutto, racconta la fascinazione per il corpo umano – tutto, non solo quello femminile – e l’importanza di Gustav Klimt per gli sviluppi del suo percorso estetico oltre che sentimentale, se è vero che, proprio grazie al venerato maestro, Schiele fu in grado di comprendere la centralità del rapporto tra un pittore consapevole e la modella di volta in volta chiamata a posare per lui.
Nelle tavole acquerellate di Otto Gabos – che riconosce in Schiele un imperituro amore di gioventù e un inesauribile punto di riferimento – il lettore ritroverà così l’ossessione anatomica dell’artista, i suoi toni marci e le rade accensioni cromatiche, come anche la ricerca di angolazioni e prospettive sempre nuove, audaci, rivelatrici. Sui primi piani e sui dettagli, sulle citazioni di opere celebri e sulle riproduzioni di quegli studi e bozzetti preparatori che sono diventati un riferimento obbligato per comprendere la cifra grafica distintiva dello stile dell’artista, domina sempre lo sguardo di Egon, di cui il disegnatore non manca mai di accentuare la leggera (e più che mai espressionistica) asimmetria. Perso in ricordi e fantasticherie d’artista e di uomo (tra cui la più dolce, riguardante il figlio mai nato, rimasto nel grembo della moglie Edith quando lei stessa morì di febbre spagnola), il personaggio tratteggiato da Gabos porta su di sé i segni di quello struggimento spirituale e corporale che tanta ossessiva ricerca – uscita vittoriosa e rafforzata persino da un processo per pedofilia e pornografia – non bastò a compensare del tutto.
Volume da collezione, che non potrà mancare nelle librerie dei cultori dell’artista austriaco (come anche degli estimatori del disegnatore), Il corpo struggente ha un solo e insopportabile difetto: è breve, troppo breve. Ma è una pecca, questa, tanto ontologica quanto necessaria: come se l’estensione del libro, intesa come banale quantità di pagine, restituisse giocoforza quella biografica. Doppio disappunto, allora, e doppia frustrazione, da ricondurre a quella malasorte che non concesse a Schiele nemmeno il traguardo dei trent’anni, togliendolo dal mondo all’apice della verve creativa e aggiungendo al maledettismo esistenziale il fregio della morte giovane tipica di chi è caro alla divinità. Ma tutto questo, ormai, è parte integrante del mito, di un altarino che Otto Gabos ha reso mobile prendendo esempio proprio da quelle ferrovie e da quei treni che fin dall’infanzia conquistarono il piccolo Egon: così, questa sua biografia illustrata scorre davanti agli occhi del lettore con la stessa rapidità e fuggevolezza di un vagone illuminato nella notte, che si lasci appresso tutto il peso e il mistero di una carica vitale inesauribile, inafferrabile, sempre diretta verso un irraggiungibile altrove.
Cecilia Mariani
Nelle tavole acquerellate di Otto Gabos – che riconosce in Schiele un imperituro amore di gioventù e un inesauribile punto di riferimento – il lettore ritroverà così l’ossessione anatomica dell’artista, i suoi toni marci e le rade accensioni cromatiche, come anche la ricerca di angolazioni e prospettive sempre nuove, audaci, rivelatrici. Sui primi piani e sui dettagli, sulle citazioni di opere celebri e sulle riproduzioni di quegli studi e bozzetti preparatori che sono diventati un riferimento obbligato per comprendere la cifra grafica distintiva dello stile dell’artista, domina sempre lo sguardo di Egon, di cui il disegnatore non manca mai di accentuare la leggera (e più che mai espressionistica) asimmetria. Perso in ricordi e fantasticherie d’artista e di uomo (tra cui la più dolce, riguardante il figlio mai nato, rimasto nel grembo della moglie Edith quando lei stessa morì di febbre spagnola), il personaggio tratteggiato da Gabos porta su di sé i segni di quello struggimento spirituale e corporale che tanta ossessiva ricerca – uscita vittoriosa e rafforzata persino da un processo per pedofilia e pornografia – non bastò a compensare del tutto.
Volume da collezione, che non potrà mancare nelle librerie dei cultori dell’artista austriaco (come anche degli estimatori del disegnatore), Il corpo struggente ha un solo e insopportabile difetto: è breve, troppo breve. Ma è una pecca, questa, tanto ontologica quanto necessaria: come se l’estensione del libro, intesa come banale quantità di pagine, restituisse giocoforza quella biografica. Doppio disappunto, allora, e doppia frustrazione, da ricondurre a quella malasorte che non concesse a Schiele nemmeno il traguardo dei trent’anni, togliendolo dal mondo all’apice della verve creativa e aggiungendo al maledettismo esistenziale il fregio della morte giovane tipica di chi è caro alla divinità. Ma tutto questo, ormai, è parte integrante del mito, di un altarino che Otto Gabos ha reso mobile prendendo esempio proprio da quelle ferrovie e da quei treni che fin dall’infanzia conquistarono il piccolo Egon: così, questa sua biografia illustrata scorre davanti agli occhi del lettore con la stessa rapidità e fuggevolezza di un vagone illuminato nella notte, che si lasci appresso tutto il peso e il mistero di una carica vitale inesauribile, inafferrabile, sempre diretta verso un irraggiungibile altrove.
Cecilia Mariani