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#IlSalotto - La rivoluzione giovane di Paola Zannoner

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Incontro Paola Zannoner nel pomeriggio caldo di un autunno veronese. È qui in occasione del Tocatì, il Festival Internazionale dei Giochi in Strada, giunto alla sua sedicesima edizione. In mezzo a spettacoli teatrali, parate, conferenze e occasioni ludiche tra le vie del centro, il festival si apre anche alla letteratura per ragazzi. L’autrice viene a presentare Rolling Star (trovate qui la recensione), il suo nuovo romanzo per giovani adulti, uscito dopo il successo de L’ultimo faro, con cui aveva già vinto il Premio Strega Ragazzi e Ragazze 2018 (trovate qui la recensione e qui l’intervista relativa). Grazie alla generosità di Paola, l’incontro si trasforma in una chiacchierata che, al di là delle domande previste, offre occasioni di riflessioni illuminanti sullo stato delle lettere in Italia e sulla condizione degli adolescenti di oggi. Partiamo dall’osservare il moltiplicarsi dei festival letterari in Italia, che forse rappresentano per la cultura nazionale un segnale positivo, il sintomo di un mutamento in atto: si avverte una sempre maggiore necessità di contenuti e, come nota la Zannoner, “trovarli grazie a un libro è più interessante, perché ci si raduna insieme intorno a una storia, e tutti abbiamo sempre bisogno di storie”. Anche i giovani, nonostante il cambiamento delle abitudini e dei ritmi di vita degli ultimi decenni, cercano nella lettura una pausa, un radicamento, e accettano quindi il rallentamento imposto dalla pagina scritta rispetto alla frenesia della vita. Prendo spunto da questo per approfittare della pazienza dell’autrice e farle qualche domanda su Rolling Star, che affronta la tematica della rivoluzione giovanile del 1968.

Partirei con le domande dalla fotografia che si trova in fondo, e quindi dalla storia che c'è dietro il libro... ce la vuoi raccontare?
La storia che c’è dietro è che il personaggio che ho raccontato, Massimo, è veramente esistito. L’ho conosciuto quando io ero una ragazzina, avevo diciotto anni e lui, pur avendo solo sette/otto anni più di me, mi sembrava un uomo. All’epoca un ragazzo di quell’età era già grande e poteva, come nel caso di Massimo, aver già avuto molte esperienze. Lui aveva girato il mondo, conosceva diverse lingue, e spesso l’inverno lo passava nella mitica India, dove comprava stoffe e oggetti che poi d’inverno rivendeva a Ibiza, dove si era trasferito. Quindi il personaggio, questo ragazzo hippy, ho avuto la fortuna di conoscerlo e mi ha anche regalato alcuni oggetti che aveva portato dall’India. Tuttora in casa ho un bellissimo quadro di carta di riso che lui mi ha donato moltissimi anni fa. La foto ci tenevo a inserirla perché dà la sensazione di realtà della storia e riporta un senso di esperienza vissuta. In fondo io stessa ho vissuto quell’atmosfera: non era il '68, ma era sempre sull’onda di quegli anni, della ribellione giovanile, della moda, dello spirito di avventura… nella foto io sono a Ibiza, a casa di Massimo, che era una persona che aveva proprio la vocazione della mondialità. Questo suo modo di essere credo gli sia derivato dagli anni '60, quando per i giovani non c’era più da esplorare solo il proprio territorio, la propria città, il proprio paese, ma un oltre, per esempio l’Europa, il Mondo.  

Il Tocatì a Verona
Perché secondo te i giovani di oggi conoscono così poco il '68, e quali aspetti del '68 sarebbe invece importante che ancora ricordassero?
Sono passati cinquant’anni dal ‘68. Quando io ero una ragazza, negli anni ‘70, si sapeva tutto degli anni ‘20, cioè quello che era successo cinquant’anni prima e che veniva vissuto come un periodo fondamentale dal punto di vista storico. Adesso le cose sono cambiate, il tempo si è come ristretto, azzerato… sembra che dopo la Seconda Guerra Mondiale non ci sia più nulla da studiare. In realtà il mondo è stato pieno di micro e macro-conflitti (ad esempio la guerra di Corea, o quella del Vietnam, per cui anche noi protestavamo); però tutti questi aspetti che riguardano la storia contemporanea, la fine del secolo scorso, si conoscono poco, quasi come se fossero irrisori rispetto alla storia precedente, al grande trauma delle due guerre mondiali. Io invece credo che sia utile conoscere e ricordare quel periodo, anni in cui senz’altro non c’è stata un’emergenza così forte, ma sicuramente ci sono state delle parole chiave importanti per la rinascita, per la ricostruzione, e anche per quelli che poi sono diventati i modelli della nostra società. Ad esempio, è determinante il fatto che sia nata una categoria nuova, che erano i giovani. Negli anni questa categoria si è dilatata, ha occupato tutto lo spazio, guai a invecchiare, guai a diventare grandi… si è imposta una adolescenza ipertrofica. Allora è importante raccontare quella storia, descrivere dei mutamenti che sono stati incisivi anche sul presente, sul costume e sulla società, perché hanno cambiato anche le relazioni tra uomini e donne, il ruolo femminile… chiaramente io do il mio contributo attraverso il romanzo. 

Il libro, attraverso il personaggio di Max, mostra di quegli anni gli ideali, ma anche le ambivalenze, le complessità... secondo te, i problemi che si ponevano i giovani allora - nelle loro forma più essenziale - sono gli stessi che affliggono anche i giovani di adesso?
Con il romanzo, la possibilità di identificazione è sicuramente maggiore… rispetto a quell’epoca comunque ci sono delle somiglianze. Innanzitutto alla base del testo c’è una storia d’amore, una storia d’amore anche vagamente osteggiata, perché la ragazza ha dei genitori molto severi, che vogliono avere il controllo su di lei… e quante ragazzine anche oggi mi dicono di avere dei genitori troppo presenti, che sorvegliano le loro amicizie, figuriamoci poi il ragazzo con cui escono! Quindi, se da un lato ci sono sicuramente molte differenze, dall’altro ci sono ancora delle corrispondenze. In questi due ribelli, chi legge si può riconoscere. I sentimenti che provano loro sono gli stessi che provano i ragazzi di adesso: possono passare anche i secoli, ma i sentimenti sono intatti, altrimenti non potremmo leggere la letteratura antica, non potremmo leggere Shakespeare… pensa all’amore contrastato di Romeo e Giulietta! 
E poi c’è la figura di Bea: lei all’inizio è un po’ incerta, chiusa, quasi spaventata. Ma poi Bea cresce: è lei che, tra tutti i personaggi, ha una trasformazione reale, che veramente cambia. Scopre di avere un talento e attraverso questo talento sceglie una strada, da sola, senza che nessuno gliel’abbia imposto. Lei è la figura della donna nuova, della donna di questo mezzo secolo di grande emancipazione femminile, di grande liberazione ed evoluzione delle donne. 
Sicuramente il personaggio più ostico per i giovani lettori è David, perché lui è il politico. Io però, parlando del '68, non potevo non raccontare una delle anime più importanti, che era quello della rivoluzione politica dei giovani. Oggi i discorsi che fa David risultano quasi incomprensibili, anche per i concetti e i termini espressi, quindi io ho cercato di smorzare un po’ i toni, ma quel sapore d’epoca era importante: si doveva ricordare che c’è stata una generazione che ha creduto fortemente in quei temi politici. David è un po’ più noioso, molto intellettuale… gli altri lo prendono in giro, lo chiamano “il professore”. E in fondo anche oggi nei gruppi c’è sempre quello che sa tutto, che ama occuparsi di grandi temi (se non più la politica, ad esempio l’ambiente, l’alimentazione, o comunque temi d’impegno).

E la musica, quale ruolo gioca (nel '68 e come playlist del tuo romanzo)?
Io racconto un personaggio che si fa sostenere dalle parole della musica, in particolare quella di Bob Dylan. In tutto ciò che fa cerca una corrispondenza con quello che ascolta. Oggi magari non è Dylan, ma i giovani continuano a cercare nella musica i loro punti di riferimento, che provengono da modelli di artisti che ammirano. Ogni volta che succede qualcosa trovano riscontro nei testi (ma anche nei film, in ciò che li ha davvero colpiti). Questo è un ritrovato dell’ultimo secolo, in precedenza l’ispirazione veniva dai romanzi (guarda Madame Bovary). Quindi questo è un altro elemento che condividiamo con gli anni ‘60, la creazione di un nuovo immaginario di riferimento condiviso. Penso ora che dal libro si potrebbe anche trarre un musical, come progetto scolastico: ci si potrebbe ispirare al modello indicato anche dal testo, Hair; potrebbe essere l’occasione per travestirsi, perché quella è stata un’epoca colorata e divertente, che sarebbe divertente riproporre.

Quali sono gli aspetti più delicati nell'affrontare un periodo così "scottante" in un romanzo per adolescenti? (Penso soprattutto alle tematiche come il sesso, o la droga, e la possibile difficoltà a farle accettare alle famiglie).
Chiaramente questo non è un libro per ragazzini delle scuole medie. Si deve calcolare che il lettore a cui mi rivolgo è un ragazzo un po’ più grande, delle scuole superiori, e a tal proposito io vorrei aprire una sorta di dibattito con le famiglie. Vorrei domandar loro se sanno che i loro figli sono costantemente bombardati, per esempio, da una circolazione quasi libera, quasi spudorata, della droga (leggera, ma anche pesante). Allora io penso che ai ragazzi dobbiamo dare degli anticorpi, non dei divieti: i ragazzi non possono essere sempre protetti, restare dei bambini eterni. Devono piuttosto sapere, conoscere, difendersi. Nel romanzo io descrivo un’epoca in cui la droga si usava molto, ma non dico che è una cosa bella, non do nemmeno un giudizio, perché sono una narratrice: descrivo come stavano le cose. È chiaro però che lo stile di vita di Massimo lo porterebbe a non evolversi mai. E questo lui lo capisce bene, grazie a Bea, a David, a dei traumi che subisce. Si rende conto che, stordito dalle droghe, finirebbe per restare immobile: e lui lo vuole davvero? Non vuole fare altro della sua vita, non si vuole realizzare come artista? L’unico modo per farlo è evitare uno “strumento” che magari lo rilassa, lo tranquillizza, ma sicuramente non lo aiuta. In questo libro in realtà io do il messaggio contrario a quello che si dava in quegli anni: si diceva che la droga “apriva la mente”, si parlava delle “porte della conoscenza”; molti personaggi importanti dichiarano di aver fatto largo uso di droghe. Uno tra tutti era Steve Jobs. Oggi sappiamo grazie alla scienza che questi grandi artisti, o personaggi, sarebbero stati grandi comunque e che, anzi, le droghe rallentano, se non impediscono del tutto, il cambiamento. 
Il romanzo deve trattare questi temi, altrimenti sarebbe troppo edulcorato, e quindi un po’ falso. Lo fa però prendendo una posizione netta rispetto alle sostanze che rischiano di frenare l’individuo, e lo fa descrivendo l’evoluzione dei personaggi, in particolare quella di Massimo, che all’inizio è un po’ immaturo e poi cambia e realizza tante cose. 

Nel romanzo metti anche in evidenza i pericoli di un'adesione acritica a una linea di pensiero o a un ideale. Quali sono i "pericoli" maggiori a cui vanno incontro i nostri ragazzi?
Il primo è l’omologazione, il pensiero unico: si deve essere tutti in un certo modo. Quindi il dominio dell’immagine: si deve essere tutti belli, palestrati, simpatici, sempre col sorriso sulle labbra, sempre vincenti. I ragazzi che incontro sono tutti spaventati dall’idea di “non avere successo”. E poi il dominio del denaro: si è importanti se si è ricchi, trionfano l’apparenza e l’avere. Questo per i giovani è un messaggio terribile, perché loro devono riuscire a costruire una personalità autonoma, non un fantasma che si adegua a dei modelli imposti e quasi inarrivabili, che quindi inevitabilmente ti portano al fallimento, ti fanno sentire frustrato, magari già a vent’anni. L’essere umano, al contrario, è bello perché è in continua trasformazione, può continuamente progredire. Io credo che la scrittura aiuti i giovani a capire chi sono davvero, a sondare se stessi, a capire che non devono adeguarsi alle aspettative degli altri. Fa emergere la necessità di scoprire i propri desideri e renderli compatibili con la realtà, ma non abbandonarli. Rivela che non è affatto vero che è il denaro a garantire il successo di una vita, o la completezza di una persona. Grandi maestri a cui facciamo riferimento non possedevano niente, pensa a Gesù Cristo, san Francesco, ma anche a figure non necessariamente religiose, come artisti, musicisti, poeti, che restano di grande ispirazione per tutti. Oggi tra l’altro è molto più difficile di una volta trovare valori che contrastano con quelli negativi dilaganti. Io ho grande fiducia nel mondo del volontariato, perché questo mondo riposiziona, ti obbliga a prenderti cura dell’altro più debole e può fornire qualche anticorpo rispetto a questa grande malattia sociale che è l’ubriacatura dell’immagine, del narcisismo e del denaro.

Carolina Pernigo






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