Shadowbahn
di Steve Erickson
Traduzione di Michele Piumini
Il Saggiatore, 2018
pp. 320
€ 21 (cartaceo)
Questo non è l'ennesimo perfetto romanzo americano. E meno male, aggiungiamo noi. Già, perché Shadowbahn di Steve Erickson, edito da Il Saggiatore per la traduzione di Michele Piumini, è un racconto allucinato e allucinante che, letteralmente, trasuda cultura americana, a partire dalle canzoni certo, ma anche citando film, commedie musicali e stili di vita caratteristici d'Oltreoceano. Il paradossale pretesto dal quale muove il libro di Erickson è l'apparizione, in un giorno a caso di un anno a caso, delle Torri Gemelle, crollate a seguito dei noti attentati dell'11 settembre 2001: queste sbucano alla vista di uno sbigottito quanto incredulo camionista lungo un'autostrada del South Dakota. Ma questo stupore, questo bianco stupore che coglie tanto lui quanto noi che leggiamo il libro, non è il centro di tutto, anzi. Infatti questo non è un romanzo visivo ma è anche e soprattutto un romanzo che "si ascolta", come un LP. Anzi no, come una playlist. Questo è il libro perfetto per l'epoca di Spotify.
Perché diciamo questo? Perché, al di là del mistero delle Torri Gemelle, ben presto abbandonato dall'autore (e anche dall'interesse del lettore), quello su cui veramente ci si interroga è la musica che gira intorno, per citare una canzone di Ivano Fossati.
Infatti le torri scompaiono e ricompaiono alla vista degli americani così come i pezzi che compongono un'ideale colonna sonora del Paese. Erickson ci fa capire come l'America, per la sua particolarissima giovane storia, abbia investito molto, sia a livello emotivo che produttivo, nel plasmare un immaginario pop e fresco al resto del mondo, a partire dal suo stesso "centro ed interno", proprio a cominciare dalle canzoni.
Se spariscono le canzoni, sparisce anche l'America. Ecco perché l'inquietudine di Jesse Presley, il fratello nato morto del più noto Elvis, che qui però si risveglia, senza sapere perché, al piano numero novantatré di una delle torri, è la stessa degli altri personali, impalpabili, quasi irriconoscibili che popolano le pagine di Shadowbahn. Si assiste, insomma, a un lento processo di sfarinamento di persone, cose e situazioni lungo le pagine del romanzo che lo rendono esile, impalpabile ma non in senso negativo, piuttosto oggettivo. Qui non è tanto importante la trama quanto il tono con cui l'autore ci racconta le vicende, un tono, per continuare con la metafora musicale, sempre suonato in sordina, con una mescolanza di generi, sottogeneri e rimandi ricchissimo che farà sicuramente felici i cultori della pop e folk music americana, ma non solo. Sappiamo bene che in una canzone non conta solo il testo ma anche, banalmente, la musica no?
Perciò Shadowbahn, se si accetta questo implicito patto con l'autore ("Se non capisci non ti preoccupare, non ho neppure io il bandolo della matassa"), è un vero e proprio incunearsi nell'anima, ora candida ora meno, del più importante e decisivo, volenti o nolenti, Stato dei nostri tempi moderni. Uno Stato che canta, sin dalla prima volta che i Padri Pellegrini toccarono il suolo. L'America è anche e soprattutto cultura pop, in fondo l'hanno inventata i pubblicitari a stelle e strisce questa parola. E se l'America perde la voce, principale mezzo attraverso cui si questa stessa cultura pop si è veicolata, rischia di crollare, proprio come le Torri Gemelle. Inutile dire che il romanzo in questione è la playlist meta-letteraria perfetta per tutto questo. Non una lettura facile, con una trama-non-trama che non lascia al lettore molti appigli, ma che, se si prende il ritmo giusto, può risultare davvero soddisfacente.
Mattia Nesto