Squatter!
di Gianfranco Sorge
GoWare, gennaio 2018
pp. 184
€ 11 (cartaceo)
€ 6 (ebook)
€ 6 (ebook)
Parigi, 9 marzo 2000Fa un freddo boia anche stasera, accentuato dai brividi che il buio mi mette addosso. Ho accomodato il lumino di cera in un angolo della stanza in modo tale che il suo riverbero rossastro renda tollerabile l'oscurità della notte, senza impedirmi il sonno: un valido compromesso che risolve i miei problemi con la luce e con le tenebre. La fiammella tremolante ora proietta, sulla parete alla mia destra, ombre che paiono animarsi incrociando le crepe e le scrostature che corrono sull'intonaco. E come ogni sera, da quando mi sono sistemata in questo squat, inizia il mio film.(Incipit del romanzo)
Luna è una giovane
palermitana che vive in uno squat - una casa occupata - di rue de
Rivoli a Parigi. Differenti disordini ingombrano la sua mente e la
sua vita, a partire dall'anoressia alternata alla bulimia. La ragazza
infatti, un po' per motivi economici, un po' per disturbi
psicologici, non mangia per diversi giorni e ciò, ovvio, per lei non
è un problema, anzi enfatizza tutti gli effetti piacevoli che
derivano dalla fame, compreso l'acuirsi dei sensi e l'ingegno
amplificato. Tiene un diario in cui annota pensieri e avvenimenti. E
di avvenimenti, conducendo una vita al limite, ne vengono descritti
parecchi. A partire dalla conoscenza di Dito, un artista di strada
originario della Grecia che si è tagliato alcune dita della mano e
sfrutta tale menomazione per suscitare pietismo nella gente per scopi
economici. Luna si innamora del giovane greco, il quale approfitta
del debole della ragazza per avere un posto in cui dormire. Dito
trascina insieme a sé un altro personaggio assai inusuale: la sua
amica Occhio, al secolo Bernice. Anch'essa menomata, a diciannove
anni si strappò con un coltello l'occhio per imitare il nonno che lo
perse in guerra. E quando ebbe occasione di lavorare in un centro di
anziani ciechi, ebbe cura di strapparli anche a coloro che venivano a
mancare. Luna ovviamente, con una spiccata quanto originale
sensibilità, si lega alla ragazza, vedendo in lei un'amica di cui
fidarsi, ma la fiducia sarà mal riposta.
La protagonista Luna ha
inoltre adottato a distanza il piccolo Momo, un bambino di cinque
anni a cui invia - attraverso un'associazione coinvolta - duecento
franchi all'anno per mantenerlo e per ricevere ogni due/tre mesi sue
notizie e sue fotografie. Una decisione che la rinvigorisce nei
momenti di sconforto, portandola ad ammirare la foto del bambino per
sentirsi su. Ma Luna non è solo questo. Luna ha anche un'insaziabile
sete sessuale dettata da una certa insoddisfazione di vita e da una
consistente insicurezza personale. Fa sesso per avere favori, per
riempire un vuoto, per sentirsi meno sola, Luna fa sesso per tutto,
usandolo come mera moneta onnivalente. Un prezzo che la ragazza sente
di dover ogni volta pagare in un mondo troppo brutale, sempre pronto
ad abusare delle debolezze umane. E lei cede, senza consapevolezza,
senza coscienza, senza farne un cruccio. Accade più volte nel
romanzo, in più occasioni e ogni volta è una mano che strappa con
violenza qualcosa nella sfera emozionale di qualsiasi donna.
Ci sono i maltrattamenti,
i soprusi e le pene patite da Luna. Per esempio lei dorme in un punto
della casa che è usato come bagno da tutti gli altri coinquilini. A
qualsiasi ora, in qualsiasi momento. E lei non si ribella, subisce
con serafica rassegnazione, perché secondo lei è già tanto avere
un luogo in cui dormire circondata da amici, che ovviamente amici non
sono. Sono gli stessi che la insultano. Gli stessi che le rubano il
cibo, i soldi. Gli stessi che l'accusano di avere l'Aids, pur non
essendo vero.
Una lucertolina con la coda mozzata, così appariva a se stessa quando le capitava di osservare la propria immagine in una superficie riflettente. I capelli tenuti corti dopo che era stata infestata a lungo dai pidocchi, gli occhi grandi e vivaci e un po' sporgenti, il corpo esile, gli arti non lunghi le conferivano quell'aspetto di rettile e ciò la gratificava, rafforzando l'idea che nelle sue vene scorresse sangue particolare, sangue di creature superiori, viventi in parti sperdute del cosmo. E poi anche il suo nome e la sua nascita erano una conferma. Era nata il 21 luglio del 1969, proprio nell'attimo in cui Neil Armstrong aveva posato il piede sulla luna. Non era stata una fortunosa coincidenza, come aveva più volte sostenuto la madre, piuttosto un inequivocabile segno del destino; di questo lei ne era convinta. Di certo i suoi genitori avevano subito qualche malia da parte di rettili alieni, se no perché l'avrebbero chiamata Luna?
Luna è convinta di avere
sangue alieno che la rende immune dalle malattie. Un dettaglio questo
non trascurabile poiché fa comprendere al lettore l'entità dei
problemi psichici della giovane, problemi com'è ovvio trascurati che
in un contesto come il suo, con le dovute frequentazioni, passano
alquanto inosservati e di conseguenza non curati. Ma queste sono solo
alcune delle stranezze della protagonista perché il romanzo prosegue
esattamente così, tra incontri estremi ed esperienze fuori dal
comune. E torna utile quel diario in cui la giovane annota anche i
pensieri più intimi e i ricordi d'infanzia. Quella madre tanto
esigente e critica, così austera e giudicante, che probabilmente è
la principale responsabile delle turbe di Luna.
Un romanzo non facile e
non alla portata di tutti gli stomaci. Un briciolo di sensibilità e
di empatia in più e il libro rischia di essere abbandonato. Ma vale
la pena, una volta iniziato, proseguire la lettura e ultimarla. Si
rimane stupiti. Se l'epilogo lascia l'amaro in bocca
facendo presagire il peggio, è forse l'unica soluzione per la
giovane per redimersi da una vita fatta di sensi di colpa e di
qualche peccato di troppo. O quanto meno l'autore si presume abbia
voluto far capire che quella era l'unica soluzione possibile. E
chissà quante storie nella vita vera hanno lo stesso epilogo con
risvolti, non c'è dubbio, sorprendenti.
Un romanzo forte, duro e
di forte impatto, di certo piacevole per tutti coloro che sono
attratti dalle storie non ordinarie, quelle storie amare anche troppo
vere, che nulla hanno a che vedere con la letteratura leggera da
spiaggia. A tratti potrebbe persino sorgere il legittimo dubbio che
sia stata ingigantita, o che l'autore sia rimasto influenzato da
certe storie di vita ascoltate in qualche centro specializzato,
storie di vita rare e solitarie, intime e profonde e le abbia fuse in
un'unica vita immaginaria, quella di Luna. Non ci è dato saperlo,
certo è che la protagonista ha parecchi fantasmi che la inseguono,
fantasmi che le creano nella testa qualche cortocircuito non risolto.
Si leggono tra una pagina e l'altra tali situazioni che a volte si
teme di cadere in blandi stereotipi da baraccone, da leggende
metropolitane per quanto assurde. Ma il libro è questo, non vi è
nulla di scontato e di leggero. Nessuna vita raccontata in Squatter!
è leggera. Persino le parole scelte da Gianfranco Sorge non emanano
positività, intrise come sono di pessimismo che a tratti sconfina
nel delirio.
Non vi è tuttavia
neppure genialità, vi è il tentativo di dar voce a dei disagi,
frutto forse secondo lo scrittore delle difficoltà moderne dei
giovani, e di aprire gli occhi sull'importanza di
certi disagi spesso taciuti che spaziano dalla sfera familiare sino
alla sfera professionale/economica. Un posto nel mondo che alcuni
stentano, per un motivo o per un altro, a trovare e che secondo Sorge
si risolve così, nella periferia di una capitale europea, in una
casa occupata. Con la vana speranza di andare avanti, di creare nuove
- false e sbagliate - amicizie, tra un'avventura di vita, tra una festa
fuori porta e tra un po' di sesso occasionale.
I primi di agosto, un acquazzone estivo fu interpretato da Luna come il segnale che la bella stagione stava per volgere al termine. E ciò la rattristava profondamente perché accadeva sempre che la fine dell'estate portasse via con sé una parte di lei: la migliore. Forse la sua natura intima di rettile aveva bisogno del sole per esplicare appieno le sue potenzialità. Il mutamento del tempo segnava l'improrogabile scivolare in una sorta di letargo emotivo.
Alessandra Liscia
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