Donne che parlano
di Miriam Toews
Marcos y Marcos, 2018
Traduzione di Maurizia Balmelli
pp. 256
€ 18,00 (cartaceo)
Miriam Toews ha parlato spesso di sé e lo ha fatto con romanzi dalla sensibilità e finezza narrativa apprezzate da molti lettori in tutto il mondo. Con Donne che parlano decide di assumere un ruolo universale e di raccontare una vicenda che, pur continuando a interessare la sua biografia da vicino, esce fuori dai confini del Canada e dalla sua persona, e approda in Bolivia, nella comunità mennonita (inventata) di Molotschna.
Il romanzo è infatti una risposta narrativa e un atto di immaginazione femminile (p.9) alla vicenda che ha interessato, tra il 2005 e il 2009, la comunità mennonita di Manitoba. Durante quegli anni la maggior parte delle donne – incluse bambine di nemmeno nove anni - si svegliava dolorante, con il corpo sanguinante e pieno di lividi, e con un innaturale senso di spossatezza. Secondo gli uomini della colonia le violenze notturne erano imputabili a Dio e Satana (o a fantasmi e demoni) che con questi stupri punivano le donne per i loro peccati. Alla fine si scoprì che erano invece proprio loro a perpetuare queste violenze, inveendo con brutalità su donne rese incoscienti dallo spray alla belladonna, usato normalmente come anestetico veterinario sui cavalli.
Nell’ultimo periodo (per esempio con Tara Westover) abbiamo imparato a conoscere molte delle minoranze religiose più estreme e conservatrici del mondo contemporaneo. I mennoniti, movimento cristiano anabattista che rifiuta la società dei consumi e le sue deviazioni morali, rientrano perfettamente in questi gruppi. La struttura patriarcale che regge la vita austera e pauperistica dei suoi seguaci è l’unica chiave di volta per comprendere il peso delle scelte compiute dalle protagoniste del romanzo. Otto donne, avendo ricevuto la notizia che i «visitatori indesiderati» (p. 70), che hanno violato i loro corpi con stupri dall’evidente connotazione necrofila, possono far presto ritorno nella comunità perché è stata loro concessa la possibilità di uscire di prigione sotto cauzione, si riuniscono in un fienile e si apprestano a decidere. L’atto di scegliere, che in contesti sociali normali regge la quotidiana convivenza con il prossimo, in questa «parte del mondo che era stata fondata per essere il mondo di se stessa, separata dal mondo» (p. 25) si carica immediatamente di un'elevata portata rivoluzionaria e a sugellare il peso di questo atto chiamano August Epp (ritornato da poco nella comunità dopo decenni trascorsi in Inghilterra a seguito della scomunica dei suoi genitori) a redigere i verbali delle loro riunioni, affinché questi scritti, che loro non possono produrre in autonomia né tantomeno leggere in seguito in quanto analfabete (la religione mennonita prevede che solo gli uomini ricevano l’educazione), rimangano come testimonianza ai posteri di ciò che tra il 6 e il 7 giugno è stato deciso dalle donne di Molotschna.
Bambine mennonite in Messico - Fotografia di © Gael Gonzalez/Reuters |
Come in ogni riunione che si rispetti, le parole sono profuse in tale quantità che August (voce narrante della storia) ammette spesso di non riuscire a riportare interamente nei verbali. Accanto alle parole, però, l’azione dovrebbe muovere la volontà delle donne in nome di un atavico istinto di sopravvivenza che le spinga a sottrarsi ai propri aguzzini. Ma quello che August riporta, e che Miriam Toews ha voluto raccontare, non è una semplice assemblea in cui snocciolare i punti all’ordine del giorno. Le donne – ricorda il titolo (molto più efficace nell’originale inglese Women talking) - parlano, infatti, non agiscono. E accanto alla praticità di quello che devono affrontare emerge con più forza la prima vera presa di coscienza di un gruppo che aveva sempre conosciuto se stesso nel modo in cui gli uomini lo connotavano. Per questo le due giornate si trasformano in una spirale continua che avvolge le donne in una tela di Penelope che alterna alle decisioni (poche), le domande (molte) sul significato di quello che si apprestano a fare. Un continuo fare e disfare che esaspera il lettore che vorrebbe vedere quanto prime queste povere vittime lontane dagli aguzzini, ma che per le donne significa comprendere profondamente loro stesse e operare una rivoluzione con l'obiettivo di migliorare la vita futura della comunità. Quando il gruppo sembrava aver trovato una ragione per la partenza, Mejal solleva la questione del Regno dei Cieli - «La domanda più importante da porsi è se le donne debbano vendicarsi del male subìto. O dovrebbero invece perdonare gli uomini per essere ammesse nel Regno dei Cieli?» (p. 43), che Mariche richiama di nuovo non appena le donne sembravano aver deciso le motivazione alla base dei loro gesti:
Qual è la nostra priorità e cos’è giusto – proteggere i nostri figli o entrare nel Regno dei Cieli? (p. 47)
Per poi tornare a chiedere «se dobbiamo rimanere delle buone mogli, come possiamo abbandonare i nostri uomini? Non sarebbe una disobbedienza?» (p. 187) alle altre donne oramai impazienti e convinte di aver chiuso la questione quando avevano deciso di
Voler proteggere i nostri figli. Voler pensare. Voler conservare intatta la loro fede.
Con la forza emblematica della personalità di alcune di loro, come Mariche la rigorosa, Mejal la timorosa, Salomè – dal nome inequivocabile – la risoluta, Agata e Greta le anziane caute ma decise, le Donne che parlano costituiscono un simposio filosofico e teologico che tuttavia è impossibile da comprendere. Bisogna operare uno sforzo sovraumano per non considerare ridicolo il loro tergiversare su questioni morali di fronte alla minaccia di una nuova violenza, ma proprio per questa impossibilità la loro vicenda genera una dolorosa presa di coscienza sulla sofferenza a cui moltissime donne al mondo sono costrette, soggiogate da autorità patriarcali violente e inaudite, che dobbiamo amare e per cui dobbiamo combattere. Ecco perché la Toews risulta, con questo suo ultimo testo, ancora più necessaria che in altre occasioni.
Federica Privitera
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