Non è te che aspettavo
di Fabien Toulmé
Bao Publishing, 2018
pp. 255
€ 20,00
Titolo originale: Ce n’est pas toi que j’attendais
Traduzione di Francesco Savino
Nel suo primo graphic novel, Fabien Toulmé, ingegnere civile riconsacrato al mondo dell’illustrazione, mette in scena senza sentimentalismi una delicata vicenda autobiografica. Non è te che aspettavo racconta la storia di un uomo che sta per diventare padre la seconda volta: è convinto di sapere cosa l'aspetta, ma porta con sé un consistente bagaglio di paure e cerca conferme che, quando arrivano, non lo soddisfano mai. Una delle prospettive che più lo atterrisce è quella di una possibile anomalia del feto, in particolare la trisomia 21, che non è certo la più grave, ma è sicuramente quella che gli fa più impressione, con cui riesce a rapportarsi di meno, sin da quando era bambino:
Che strano… potenzialmente, il numero di malformazioni o malattie è infinito… un feto potrebbe avere un braccio in meno, la leucemia, o chissà che altro. Eppure, a spaventarmi davvero era proprio la trisomia 21.
Non sbagliano nulla, i futuri genitori, nell’iter di controllo della gravidanza: è solo una serie di sfortunate coincidenze a portarli alla totale inconsapevolezza di quel cromosoma in più che avrà effettivamente la loro bimba. Toulmé non vuole però indulgere in una narrazione malinconica o pietista: ritrae se stesso con onestà, senza addolcimenti, spesso con ironia. Si dipinge come un uomo inquieto, "medio" nel senso più profondo del termine, molto ancorato ai propri pregiudizi, che la compagna Patricia riesce solo in parte a mitigare. L'incubo della trisomia 21 è tale che l'uomo, assai poco nobilmente, si commuove pensando alla neonata Julia solo quando la immagina (anche se solo momentaneamente) malata di cuore, piuttosto che affetta da Sindrome di Down.
La narrazione è resa più potente dal fatto che i colori delle tavole cambiano a ogni capitolo, mimetiche rispetto ai temi e agli umori dei contenuti: il seppia per l'infanzia, il giallo per i colori caldi del Brasile, il verde per il freddo dell'inverno parigino, un ottanio metallico per la negazione che segue il parto, il rosso per il dolore della scoperta...
Il problema posto da Toulmé è in realtà più serio e profondo di quanto il suo tratto sottile, il suo tono leggero anche quando si addentra in spiegazioni scientifiche, la tendenza a sdrammatizzare lascino intendere. La domanda di base che viene posta al lettore, implicandolo in profondità nella vicenda rappresentata, è complessa, problematica: quando si diventa davvero padri? Per la madre è più immediato, forse più semplice: Patricia ama la sua piccola immediatamente, incondizionatamente e con generosità. La sente parte di sé, al momento del parto già la conosce per averla custodita in grembo per nove mesi. Ma per il padre non è necessariamente così: Fabien sente Julia distante da sé, estranea, e quindi non la riesce ad accettare. Lo sconvolgimento dato dalla presa di coscienza delle reali condizioni della bambina lo rende meschino e non porta con sé l’accettazione:
La paura e la totale inconsapevolezza di questa "malattia", la mia intolleranza nei confronti degli handicappati, gli sguardi degli altri, il desiderio di non volere più quella bambina, di cambiarla, la mia nuova condizione di padre di un'handicappata, di una "trisomica". Non era la Julia che stavo cercando…
L’autore si mostra coraggiosamente umano, impreparato. E la storia che mette in immagini è quella di una formazione tardiva, di un percorso di consapevolezza estremamente lento, ma inesorabile. E il suo disincanto amareggiato (incarnato dal rocambolesco viaggio alla scoperta di “HandicapLand”) lascia il posto alla tenerezza. Perché, a volte, nella vita si cerca o si aspetta una cosa e se ne trova un’altra (spesso altrettanto meravigliosa).
Carolina Pernigo
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