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#CriticARTe - "Attraversare i muri": di Marina Abramović e di un'arte che parla ancora

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Attraversare i muri. Un’autobiografia
di Marina Abramović
con James Kaplan

Bompiani, 2018
pp. 411
€ 13,00


Titolo originale: Walk Through Walls. A Memoir
Traduzione di Alberto Pezzotta

Succede qualcosa, quando si decide di portare in aula Marina Abramović. Si resta, naturalmente, sul soft: un'introduzione al personaggio, la storia con Ulay, le performances che rappresentano le ambiguità di ogni rapporto, il pericolo di "respirare" eccessivamente l'aria dell'altro, fino a soffocarlo, a togliergli ogni autonomia o spazio vitale (come accade in Breathing In, Breathing Out,); poi The Lovers sulla Grande Muraglia, commentata dallo spezzone del documentario The Artist Is Present in cui Marina ricorda, fissando compostamente in camera, la necessità di un nuovo inizio: "Avevo quarant’anni. Ero grassa, brutta e nessuno mi voleva. […] Non c’era più nulla, solo il vuoto. E dovevo ricominciare da capo". E poi naturalmente la performance stessa, al MoMA, nel 2010, quando la ritroviamo, forte nella suprema fragilità, e di fronte a lei si siede Ulay.
Succede qualcosa, quando si portano in classe queste cose, queste esperienze: succede il silenzio.
Succedono gli sguardi attenti, il respiro quasi sospeso. Sono pochissimi quelli che protestano, dicono che "è tutta roba senza senso". La maggior parte dei ragazzi capisce, sente la verità di quello che sta guardando, si lascia chiamare in causa. E, il più delle volte, dal dibattito emergono riflessioni incredibili. Non si può chiedere molto di più all'arte. A un'arte trasformativa, in grado di incidere profondamente tanto su chi la produce quanto su chi ne fruisce, ha del resto sempre creduto Marina. Ce lo dice presto nella sua autobiografia, quando ricorda la sua adolescenza goffa e a tratti infelice, tornando poi a ribadirlo più volte: 

Ero sempre preda della vergogna e dell'imbarazzo. Da ragazza, non riuscivo a parlare con la gente. Adesso posso stare davanti a tremila persone senza appunti, senza una traccia di quello che dirò, anche senza materiali visivi di supporto; e posso guardare negli occhi ciascun membro del pubblico, e parlare per due ore senza fatica. Che cosa è successo? È successa l'arte. (p. 43)

È un’arte, questa, tesa al mutamento, in continua evoluzione, che non si può fare da sola, ma implica sempre uno studio e un coinvolgimento di tutte le parti in causa; un’arte rigida eppure flessibilissima, che si pone regole ferree eppure deve costantemente adeguarsi all’imprevisto. Un’arte che – a differenza di altre manifestazioni più stabili, più “classiche”  non resta mai materia inerte, ma continua a parlare al pubblico. “L'unica arte che mi interessa è quella in grado di cambiare l'ideologia della società… L'arte che insegue valori esclusivamente estetici è incompleta” (p. 269), sosteneva l’artista nel 1997, nel discorso con cui accoglieva il Leone d'oro ottenuto a Venezia grazie a Balkan Baroque. Parlavo tempo fa con un uomo che c’era: ricorda ancora la coda lunghissima, la penombra dello scantinato, la mascherina che non riusciva davvero a coprire l’odore della carne marcescente. Ricorda Marina, seduta sulle ossa, vivida come un quadro, e l’impressione fortissima di sangue e violenza. L’artista voleva trascinare il pensiero alla guerra, quella balcanica e quella universale. La memoria di chi l’ha vista, più che il premio ricevuto, dimostra che ci è riuscita. In quella come in ogni altra occasione, l’opera si inseriva all’interno di un progetto più ampio, seppur inespresso, di una missione più profonda condotta attraverso il tempo:

Ridurre l’arte a decorazione era per me una solenne stronzata. Nell’arte a me interessava solo il contenuto: ciò che significava la data opera […]. Mi ero convinta che l’arte dovesse essere disturbante, dovesse porre domande, dovesse predire il futuro. […] Solo significati stratificati possono dare lunga vita all’arte: in questo modo, la società prende ogni volta dall’opera ciò che le serve. (p. 97)

Il prezzo da pagare per ottenere un risultato simile è un continuo lavoro su di sé, un continuo testare la resistenza e le possibilità del proprio corpo. Un inesausto sfidare la sofferenza, abituare il proprio organismo ad accettarla. Affrontare le paure, "attraversare i muri", è per Marina il vero motore dell'arte, l'impulso a molte scelte relative alla carriera, o all'esistenza in senso lato. Fonte di questa determinazione sono gli insegnamenti della madre, partigiana ed eroina, ma rigida, anaffettiva, che voleva "addestrare" la figlia "a essere un soldato come lei":

I veri comunisti dovevano avere una determinazione capace di farli passare attraverso i muri – una determinazione spartana. [...] Ho imparato la mia autodisciplina da lei, e ho sempre avuto paura di lei. (p. 22)

Ma la paura, come il dolore, per la Abramović non è mai freno, bensì sprone, pungolo. È anche la matrice del cambiamento, il luogo ideale dell’incontro col pubblico. In occasione di The Artist Is Present, al Museum of Modern Art di New York, Marina decide di mettersi in gioco in modo nuovo, di eliminare il superfluo per implicare se stessa e gli astanti in una relazione intima e al tempo stesso spettacolare. È un’opera ambiziosa, che richiede una lunga preparazione fisica e psicologica, un duro allenamento, ma che per l’artista merita lo sforzo: "Mi sembrava una bella occasione per mostrare al grande pubblico il potenziale della performance: il potere trasformativo che manca alle altre arti" (p. 331).

Io ero lì [...] per ogni persona. E divenni estremamente ricettiva. [...] Ero in grado di vedere e percepire il dolore della gente. Penso che i visitatori fossero sorpresi dal dolore che sgorgava da loro. Da un lato, immagino che la gente non guardi mai a fondo dentro di sé. Tutti noi cerchiamo, per quanto possibile, di evitare questo confronto. Ma qui la situazione era molto diversa. Prima dovevi aspettare ore solo per sederti davanti a me. Poi ti sedevi davanti a me. Venivi ripreso e fotografato. Venivi osservato da me. Non potevi andare da nessuna parte se non dentro di te. E il punto era questo. La gente trabocca di dolore e tutti cerchiamo di ricacciarlo giù. E se reprimi per troppo tempo il dolore emotivo, questo diventa dolore fisico. (p. 345)

Il dolore crea relazione, empatia, fratellanza. Il dolore svuota e riempie. Ogni persona che si alzava e se ne andava lasciava lì un po’ della sua forza. Alla fine della performance, esausta ma anche straordinariamente arricchita e segnata, Marina avverte con lucidità il "bisogno irrefrenabile" dell'individuo di essere guardato, di essere visto davvero. E anche la "responsabilità", "enorme", che ricade su di lei. 

Avevo sempre pensato all'arte come a qualcosa espresso mediante determinati media: pittura, scultura, fotografia, scrittura, cinema, musica, architettura. E sì, anche performance. Ma questa performance andava oltre la performance. Questa era vita. Può essere l'arte isolata dalla vita? Deve esserlo?  Cominciai a essere sempre più convinta che l'arte deve essere vita – deve appartenere a tutti. Sentivo, con un'intensità mai provata prima, che ciò che avevo creato aveva uno scopo. (p. 355)

La cosa che più colpisce, alla fine di una lettura che è prima di tutto un’avventura, un’esplorazione da farsi ben attrezzati, con lo spirito propenso e i sensi allertati, è che l'arte riporta direttamente alla vita e quindi, per chi è in grado di percepire con commozione l'energia e la vitalità del cosmo, può essere ovunque, come la vita stessa. La performance ha allora questo pregio, di introdurci a una forma di creazione che vive nel presente e del presente, che continua ad appellarci e interrogarci in prima persona, come fa Marina Abramović ogni volta che si esibisce, e come riesce a fare anche questa autobiografia, aiutandoci a conoscerla e a comprenderla meglio.

Carolina Pernigo



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Per prepararsi adeguatamente alla mostra ospitata fino a gennaio a #palazzostrozzi, @quinquilia si addentra tra la vita e le opere di #marinaabramovic, con questa vibrante autobiografia edita da @libribompiani. Ciò che colpisce il lettore, fin dalle prime pagine del libro (ma anche e soprattutto quando guarda le sue performance, anche nelle forme mediate dal video o dalla fotografia) è la forza straordinaria con cui questa donna si mette a nudo davanti agli occhi spesso impietosi del pubblico, l'intensità della relazione che riesce a creare. Iniziare a leggere la sua autobiografia catapulta il lettore immediatamente in un contesto sconcertante di dolore, fermezza e verità, oltre a permettere un pieno accesso alla personalità e all'opera dell'artista. Anche voi amate Marina? Quale delle sue performance vi ha suggestionato maggiormente? #performanceart #performingart #attraversareimuri #bompiani #autobiography #livingartist #contemporaryart #instabook #instalibro #bookstagram #bookoftheday #bookish #igreads #igbooks #readingnow #newbook #bookaddict #booklover #cover #bookcover #inlettura #cosebelle
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