Il
demone della paura
di
Zygmunt Bauman
Editori
Laterza GlF la Repubblica, aprile 2014
Traduzione
a cura di Savino D'Amico
pp.
136
€
5,90 (cartaceo)
La paura è con ogni probabilità il demone più sinistro tra quelli che si annidano nelle società aperte del nostro tempo. Ma è l'insicurezza del presente e l'incertezza del futuro che covano e alimentano la più spaventosa e meno sopportabile delle nostre paure. Questa insicurezza e questa incertezza, a loro volta, sono nate da un senso di impotenza: ci sembra di non controllare più nulla, da soli, in tanti o collettivamente.
È
possibile analizzare e sviscerare in cinque punti la paura? Zygmunt
Bauman, con la sua chirurgica penna, riesce a tirarne fuori un breve
trattato sociologico in cui esamina l'emozione più umana e più
comune sotto diversi aspetti. Il lavoro risulta scorrevole e mai
prolisso, per un saggio che vuole indagare le ragioni, le cause, i
moventi e i responsabili della paura nel nuovo millennio.
Il
veleno della paura per Bauman è l'attacco dell'11 settembre 2001: un
atto terroristico che fonda proprio le sue radici nella paura e
minaccia ogni giorno -anche a livello irrazionale e inconscio-
l'incolumità personale. La politica, secondo il sociologo, è tra le prime
responsabili che nutre il demone e instilla
nella popolazione una sensazione di instabilità e insicurezza,
proponendo da subito una “guerra al terrorismo”. A tal proposito
si legge che “data la natura del terrorismo contemporaneo, la
nozione stessa di guerra al terrorismo è una stridente contradictio
in adiecto, una contraddizione in termini”.
Se lo scopo dei terroristi è diffondere il terrore tra la popolazione nemica, l'esercito e la polizia faranno certamente in modo di garantire il raggiungimento di questo scopo in misura molto maggiore di quello che potrebbero ottenere i terroristi con le loro sole forze.
La
macchina della paura è infernale: la paura genera altra paura e
questo ha portato ad un aumento imbarazzante della vendita di armi
per la difesa personale, di conseguenza anche ad un aumento della
diffidenza umana.
Per
certi versi la paura è diventata un argomento di punta anche nella
politica. Più si parla di sicurezza personale, più vengono raccolti
voti. Più si promettono soluzioni per garantire meno crimine
incrementando i controlli e più tale candidato viene eletto. La
storia si ripete, in America come in Italia. E questo piccolo e breve
saggio edito nel 2014 è vecchio e attuale al tempo stesso. Così
contemporaneo da fornire alcune tacite risposte a domande ricorrenti
ai giorni nostri. La politica usa l'emozione più antica del mondo
(spesso salvifica e in alcuni casi, quando eccessiva e immotivata,
invalidante) per trovare proseliti di un dato pensiero spesso non
troppo puro e onesto. La paura non tocca l'uomo, ma fa parte
dell'uomo stesso, quindi coinvolge tutti e da quando la politica lo
ha compreso, ne ha generato una questione immancabile da trattare in
qualsiasi programma elettorale, in tutto il mondo. Bauman usa parole
diplomatiche e al contempo efficaci per far cogliere il nesso
imprenscindibile che si è creato negli ultimi anni tra la politica e
la paura.
“Legge e ordine”, slogan ridotto sempre più alla promessa di incolumità personale (più precisamente, fisica), è diventato uno dei principali, forse il principale selling point dei manifesti politici e delle campagne elettorali; e mettere in mostra le minacce all'incolumità personale è diventata una delle principali, se non la principale risorsa nella guerra degli ascolti tra mass media, rimpinguando continuamente il capitale della paura e rendendone ancora più efficace l'utilizzo, sia commerciale che politico.
Come dice Ray Surette, il mondo visto alla tv somiglia a una “citizen-sheep”, una cittadinanza-gregge protetta dalle aggressioni dei “criminali-lupi” ad opera dei “poliziotti-cane da pastore”.
Viviamo
in un'era in cui la paura è divenuta un business commerciale. Il
marketing incentra quasi tutte le sue campagne pubblicitarie sulla
paura trasformandola in una strategia vincente e di successo. Si
apprende dunque che il terrorismo e la paura diffusa a livello
mondiale di attacchi terroristici ha incrementato in maniera notevole
e degna di nota le vendite dei SUV. Non solo: ne hanno giovato anche
le assicurazioni sulla persona.
Il
responsabile, oltre alla politica, è secondo Bauman lo Stato, a cui
dedica un intero capitolo, “Lo Stato della paura”.
Un
eccesso di individualismo in tempi di globalizzazione e di “Stato
aperto”, hanno portato gli individui a trascurare il concetto di
solidarietà a favore della competizione. Una conseguenza
distruttiva, figlia della paura, che tuttavia, ancora una volta,
fomenta come una fiamma ardente altra paura.
Il
non saper più -o il non voler più- aiutare il prossimo produce una
“classe pericolosa”, ossia gli emarginati e per emarginati il
sociologo polacco intende tutti gli esclusi dalla società, a partire
dagli ex tossicodipendenti, gli ex carcerati, sino ad arrivare a
tutti gli individui disoccupati. Per Bauman anche questi ultimi
appartengono agli “esclusi” poiché non possono prendere parte
alle attività sociali, solidali ed economiche a cui tutti i
cittadini dotati di stipendio possono partecipare. L'esempio più
banale: i disoccupati non contribuiscono a far girare l'economia del
Paese.
I mostri militari succhia-benzina, denominati in maniera fuorviante “sport utility vehicles”, sono stati arruolati nella vita urbana quotidiana come “capsule difensive”. Il SUV è un simbolo di incolumità che, al pari delle comunità recintate dove più facilmente li si vede circolare, viene presentato dalla pubblicità come un veicolo invulnerabile alla rischiosa e imprevedibile vita urbana fuori casa.
L'esclusione oggi non è percepita come l'esito di una cattiva sorte momentanea e rimediabile, trasuda un'aria di sentenza inappellabile. Sempre più spesso, oggi, l'esclusione tende a essere una strada a senso unico (e a essere percepita come tale). Una volta bruciati, i ponti molto difficilmente verranno ricostruiti. Sono l'irrevocabilità della loro esclusione e le scarse possibilità di ricorrere in appello contro la sentenza che trasformano gli esclusi contemporanei in “classi pericolose”.
Lo
spazio della paura è la città e vanno fatti dei dovuti distinguo.
La città è un luogo in cui collimano quante più differenti realtà
possibili. È il luogo in
cui ogni individuo vive gomito a gomito con altri individui. Più la
città è grande più può spaventare sia per la moltitudine di
realtà diverse (a prescindere dal quartiere in cui si vive), sia per
l'ingente numero di cittadini. Vi è dunque, secondo Bauman, un
percorso malsano che spinge l'individuo ad affiancarsi ad altri
individui a lui simili. Rimane fuori chi è alieno, chi per
qualsivoglia motivazione è diverso. Si creano dunque delle reti
sociali volte ad esaltare una determinata identità che rende i
componenti simili, lasciando fuori e dunque escludendo tutto ciò
che potrebbe invece esser fonte di stimoli e confronti poiché
esterni alle abitudini del gruppo. Tale sviluppo sociale viene
racchiuso nella “mixofobia”. La “mixofobia” si contrappone
alla “mixofilia”, atteggiamento diametralmente opposto orientato
all'apertura verso l'ignoto e al piacere verso tutto ciò che è
estraneo che porta, di conseguenza, ad un rinnovamento.
È invece la mixofilia, radicata nella vita della città come il suo contrario che contiene il germe della speranza: speranza non soltanto di rendere la vita urbana -un genere di vita che esige coabitazione e interazione con una varietà enorme, forse infinita di estranei- meno molesta e più semplice, ma anche speranza di attenuare le tensioni che hanno origine, partendo da cause analoghe, su scala planetaria.
I
diritti come antidoto alla paura: è la soluzione suggerita da
Bauman. Si riferisce tanto ai diritti politici, tanto ai diritti
personali (sicurezza inclusa). E lo fa prendendo il discorso alla
lontana, menzionando implicitamente -e argomentando abbondantemente-
il celebre aforisma di Karl Marx, che afferma: “la maggior parte
dei sudditi crede di essere tale perché il re è il Re. Non si rende
conto che in realtà è il re che è il Re, perché essi sono
sudditi”.
I
diritti politici e i diritti personali sono, anzi, dovrebbero essere
imprescindibili eppure la storia ci insegna che così non è. A
partire dal diritto di voto che un tempo era negato ai non abbienti e
alle donne, sino ad arrivare a ipotizzare di levare il voto anche a
coloro non sufficientemente colti.
Tutte
meschine tecniche per tenere a bada il popolo e riservare un tale
diritto ad una determinata classe d'élite.
E
infine c'è il diritto di scelta personale che in tempi di
globalizzazione negativa non trova spazio in cui crescere in modo
sano. Anzi, sembra che gli individui abbiano un rifiuto verso le
scelte, anche le più banali e ciò rappresenta oltre che un limite,
anche un handicap sociale e umano. Il diritto alla scelta che per
Bauman si declina con la libertà.
La libertà di scelta va di pari passo con infiniti e innumerevoli rischi di insuccesso; molte persone possono considerare tali rischi insopportabili, scoprendo o sospettando che siano superiori alla loro personale capacità di affrontarli. Per la maggior parte delle persone, la libertà di scelta rimarrà un fantasma sfuggente e un sogno ozioso, a meno che la paura della sconfitta non venga attenuata da una polizza assicurativa sottoscritta a nome della comunità, una polizza di cui fidarsi e su cui fare affidamento in caso di disgrazia. Finché questa libertà rimarrà un fantasma, il dolore della disperazione sarà sormontato dall'umiliazione della sventura; d'altronde la capacità, messa quotidianamente alla prova, di affrontare le sfide della vita, è quella stessa officina dove viene forgiata la fiducia in se stessi.
Dalla
chirurgica penna del noto sociologo viene eseguita dunque un'autopsia
straordinaria, eloquente e brillante in cui trovano posto anche altri
filosofi dei giorni nostri, illustri pensatori contemporanei che
analizzano a loro volta, ricollegandosi al lavoro di Bauman,
attraverso interviste e articoli de la Repubblica la paura umana nel
nuovo millennio.
Il
saggio si chiude con un altro importante intervento del quotidiano
che inserisce nelle ultime venti pagine la “cronistoria delle
paure”: dagli anni di piombo (1969-1980), quindi dalla violenza,
alle catastrofi naturali, sino alla paura delle malattie (aids in
primis, dalla metà degli anni '80, sino ai giorni nostri con il
cancro -a quanto pare dal 2000 la paura individuale e collettiva più
diffusa-), alla paura dello straniero (dal 1990). Non mancano le
vicende di cronaca e di storia, sia in Europa che fuori dall'Europa.
Trovano
posto anche le curiose ed esplicative infografiche (tabelle e
grafici) dedicate proprio alla paura: vengono esposte in percentuale
le priorità e le emergenze dei cittadini europei (presi in esame gli
abitanti di Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna).
Un
saggio di poco più di cento pagine ricco di spunti e di riflessioni,
da leggere come fosse una florida sorgente da cui attingere
informazioni ma anche collegamenti esterni da approfondire o da
ripassare. Come tutti i filosofi, gli storici e gli intellettuali
citati tra una pagina e l'altra. Come tutte le pillole di storia
snocciolate qua e là.
Zygmunt
Bauman anche questa volta non lascerà nessuno deluso.
Come dice acutamente Benjamin R. Barber, “nessun bambino americano potrà sentirsi al sicuro nel suo letto se i bambini di Karachi o di Baghdad non si sentiranno sicuri nel loro. Gli europei non potranno vantarsi a lungo della loro libertà se i popoli di altre parti del mondo rimarranno poveri e umiliati”.
Alessandra
Liscia
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