Basquiat. Graphic biography
di Paolo Parisi
Centauria, 2018
pp. 128
€ 19,90 (cartaceo)
di Paolo Parisi
Centauria, 2018
pp. 128
€ 19,90 (cartaceo)
Jean-Michel Basquiat: New York, 22 dicembre 1960 – 12 agosto 1988. Uno di quei casi per i quali la massima ars longa, vita brevis va intesa in senso letterale. Figlio di immigrati haitiani, indole ribelle e talento precocissimo, l’artista che fin dagli esordi fa scomodare riferimenti a Cy Twombly e Jean Dubuffet ha vagabondato, suonato, disegnato, dipinto e finanche recitato se stesso, passando dai margini al centro della scena americana (e poi mondiale) con tutta la rapidità e la violenza che caratterizza certi exploit fatti di clamore, pericolo e autodistruzione. Una biografia compressa, che in nemmeno tre decenni trasforma l’avventura urbana targata SAMO© (portata avanti con il sodale Al Diaz) in quella delle gallerie patinate, habitat ideale di speculatori e creatori di fenomeni ad hoc. Da perfetto sconosciuto a Radiant Child, secondo la definizione del 1981 del critico di “Artforum” Rene Ricard; una definizione che gli sarà fatale, inizio di un’ascesa vertiginosa fino alle vette di un Olimpo occupato da “chi conta” e “chi ce l’ha fatta” ma che, di mostra in mostra e in pochissimo tempo, ne minerà irrimediabilmente il già instabile equilibrio. A questa figura così emblematica della scena artistica di fine Novecento, Paolo Parisi ha dedicato una biografia illustrata appena pubblicata da Centauria: e si intitola semplicemente Basquiat, con la stessa ovvietà con cui sulla lapide dell’ancora giovane Jean-Michel campeggia da trent’anni, e solitaria, la parola ARTISTA.
Invece che lasciare subito la parola alle immagini, e consapevole della complessità della figura in esame, Parisi sceglie di firmare una Prefazione contenente «alcune linee guida propedeutiche» alla lettura; in più, in coda, correda il volume di Bibliografia, Discografia e Filmografia, per favorire ulteriori approfondimenti su un’artista che, come spesso accade alla categoria dei “divini dannati”, vede spesso il proprio maledettismo biografico utilizzato in ambito critico quale conditio sine qua non. Nel caso di personaggi così estremi, il rischio di sacrificare un’intera estetica sull’altare “dell’urlo e del furore” e della banalità scandalistica è sempre molto alto, e l’illustratore ne è pienamente consapevole:
«il fare arte per Jean-Michel Basquiat può essere sintetizzato così, attraverso le sue stesse parole: pura improvvisazione, istinto, passione e violenza. L’errore più comune (e banale) è quello di non riuscire a intravedere una razionalità di fondo in nessuno di questi quattro sostantivi».
Anche nell’interpretazione di Parisi, dunque, ogni scelta è motivata concettualmente, e per sua stessa ammissione il volume continua un discorso iniziato con le biografie dedicate a Billie Holiday (Blues for Lady Day, Coconino Press, 2017) e John Coltrane (Coltrane, prima Black Velvet, 2009; poi Coconino Press, 2017):
«questo lavoro si inserisce come un nuovo tassello su un percorso già segnato in precedenza da altri miei titoli. C’è un filo che unisce jazz, arte, pittura, metodo, improvvisazione, ritmo, rigore e spontaneità. Tutte le biografie che ho affrontato, questa compresa, raccontano questa connessione. Sottile, nuda e cruda, senza fronzoli, sintetica e vera come vita vissuta».
Per raccontare la storia di Basquiat, l’autore opta per una focalizzazione multipla: a seconda dei casi prendono la parola il padre Gerard, la compagna e amante di lunga data Suzanne Mallouk, o ancora la gallerista italiana Annina Nosei, colei che per prima gli diede la possibilità di usare come studio il seminterrato della sua galleria, aperta a Soho nel 1980. Ma è soprattutto lui, Jean-Michel, a rivolgersi al lettore, senza troppe censure e con un’intimità che raggiunge la massima efficacia nel caso delle pagine di diario poste a intervallare le varie sezioni: nelle frasi scritte a stampatello maiuscolo su semplici fogli a righe, ci sono le esperienze, le confessioni e i propositi di un giovane uomo ambizioso, il cui desiderio di diventare una star convive in modo problematico con un sistema dell’arte in piena ascesa speculativa, e in cui i creativi sono trattati alla stregua di automi manipolati da addetti ai lavori sempre più cinici e rampanti. Del resto tutto è sproporzione, eccesso e caos nella New York degli anni Settanta e Ottanta, e la “febbre” esistenziale ed estetica di Basquiat – che vive in uno stato di perenne alterazione percettiva anche per il massiccio uso di sostanze stupefacenti – è perfettamente in rima con l’alta temperatura circostante. Parisi descrive la Grande Mela e i suoi protagonisti a tutto tondo, dalla buccia lucida al cuore bacato, e pur con qualche omissione importante (non c’è traccia, per esempio, della relazione del pittore con Madonna), ogni interazione dell’artista, ogni rapporto privato o lavorativo, sembra solo enfatizzarne il senso di profonda solitudine e incomprensione: sarà così, emblematicamente, anche nel caso di Andy Warhol, la cui morte il 22 febbraio 1987, dopo il breve ma intenso sodalizio, non mancherà di lasciarlo in uno stato di grave prostrazione.
Ad accomunare i cinque capitoli in cui Parisi articola la narrazione della breve vita di Basquiat ci sono un tratto grafico sintetico e un uso del colore in chiave espressionista e anti-naturalista, che omaggia con intenzione i toni prevalenti nelle opere giovanili del pittore, così come non mancano le citazioni grafiche dirette (al lettore il gusto di scoprirle). L’effetto è quello di un vitalismo aggressivo e psichedelico, a tratti disturbante: a New York come a Maui, dove l’artista si reca poco tempo prima che la morte lo colga (accadrà il 12 agosto 1988), la sensazione è quella di un’alba o di un crepuscolo perenne, uno stadio ambiguo in cui la notte sembra giorno per le troppe luci al neon, e il giorno sembra notte dietro occhiali scuri o nel buio della semicoscienza.
La vita di Jean Michel Basquiat illustrata da Paolo Parisi lascia il lettore a fare i conti con gli stessi demoni che, con altalenante consapevolezza, accompagnarono la vita dell’artista. E si resta preda, proprio per questo, di sensazioni contrastanti, di riflessioni senza esito in cui ogni risposta sembra assurda e plausibile allo stesso tempo, senza il conforto di una scala di grigi tra due opzioni categoriche: “poteva andare diversamente” e “non poteva andare che così”. La narrazione, poi, al netto della focalizzazione multipla, ha una struttura ad anello, con l’inizio e la fine della storia che si toccano e si sovrappongono: un invito a farla ricominciare ogni volta, ma anche un rimando al perfetto andamento circolare tipico di ogni mito, e che qui, per giunta, sembra restituire al pittore l’ingenuità infantile di chi vada a sfidare proprio la morte ignorando di avere scritto nelle stelle un destino d’eternità. Il vero bandolo, forse, sta nel disegno di chiusura: la tavola anatomica di un cuore tratta dal famoso libro del dottor Henry Gray, il preferito del piccolo Jean-Michel, riempie tutta la pagina e la svuota di astrazioni e sentimentalismi. Più che la sede fisica dell’anima, quello di fronte al lettore è né più né meno che un muscolo cardiaco andato in blocco troppo presto, quando tutto il corpo del giovane uomo ancora esplodeva di giorni e notti da consumare. Paolo Parisi, però, non ha dubbi: «SAMO© è morto. Basquiat è ancora vivo».
Cecilia Mariani