Divine.
Emilio Sommariva fotografo.
Opere scelte 1910-1930
a cura di Giovanna Ginex
Nomos Edizioni, 2004
pp. 261
€ 68,00
Conosciamo tutti a memoria, quasi fosse diventata una formula di magia nera, la predizione di Andy Warhol sul fatto che nel futuro chiunque sarebbe stato famoso per quindici minuti. E sappiamo anche, a decenni dal suo primo profetico pronunciamento, quanto questa fama così tanto desiderata si sia avvinta, con l’inerzia e la tenacia di una pianta rampicante, soprattutto al potere dell’immagine. Così, tutti indistintamente e miracolosamente “celebri”, coltiviamo la nostra memoria cedendo una volta su due alla facile lusinga di autoscatti a cui auguriamo lunga vita e viralità. E prima? Prima era ben altra cosa, lo sappiamo. Ed era meglio? Era peggio? Ognuno giudicherà da sé. Ci sono però alcuni libri – e Divine, pubblicato da Nomos Edizioni qualche anno fa, è uno di questi – che sembrano suggerire una sola risposta possibile, e per giunta indirettamente; tra le righe, e soprattutto tra le foto. Dato alle stampe nel 2004 (dunque ben prima dell’attuale dominio del selfie) per celebrare una selezione degli scatti di Emilio Sommariva (Lodi, 1883-Milano, 1956), ovvero i ritratti di attrici e donne di spettacolo da lui realizzati nel periodo 1910-1930, è come se il volume a cura di Giovanna Ginex avesse spontaneamente maturato il potere di farci riconsiderare lo sguardo, e non solo quello fotografico, con un rispetto nuovo, oltre l’ossessione tutta contemporanea per visività e visibilità.
Emilio Sommariva fotografo.
Opere scelte 1910-1930
a cura di Giovanna Ginex
Nomos Edizioni, 2004
pp. 261
€ 68,00
Conosciamo tutti a memoria, quasi fosse diventata una formula di magia nera, la predizione di Andy Warhol sul fatto che nel futuro chiunque sarebbe stato famoso per quindici minuti. E sappiamo anche, a decenni dal suo primo profetico pronunciamento, quanto questa fama così tanto desiderata si sia avvinta, con l’inerzia e la tenacia di una pianta rampicante, soprattutto al potere dell’immagine. Così, tutti indistintamente e miracolosamente “celebri”, coltiviamo la nostra memoria cedendo una volta su due alla facile lusinga di autoscatti a cui auguriamo lunga vita e viralità. E prima? Prima era ben altra cosa, lo sappiamo. Ed era meglio? Era peggio? Ognuno giudicherà da sé. Ci sono però alcuni libri – e Divine, pubblicato da Nomos Edizioni qualche anno fa, è uno di questi – che sembrano suggerire una sola risposta possibile, e per giunta indirettamente; tra le righe, e soprattutto tra le foto. Dato alle stampe nel 2004 (dunque ben prima dell’attuale dominio del selfie) per celebrare una selezione degli scatti di Emilio Sommariva (Lodi, 1883-Milano, 1956), ovvero i ritratti di attrici e donne di spettacolo da lui realizzati nel periodo 1910-1930, è come se il volume a cura di Giovanna Ginex avesse spontaneamente maturato il potere di farci riconsiderare lo sguardo, e non solo quello fotografico, con un rispetto nuovo, oltre l’ossessione tutta contemporanea per visività e visibilità.
Frutto di una cernita del Fondo Emilio Sommariva custodito presso la Biblioteca Nazionale Braidense – un Fondo comprensivo di stampe, lastre e negativi che, nella sua ampiezza, documenta con efficacia la vita culturale milanese dei primi decenni del Novecento – Divine porta un titolo evocativo, vago eppure precisissimo. Perché, a parte il divismo conclamato delle ventiquattro signore e signorine in sosta di fronte all’obiettivo, il carattere “ieratico” della vicenda non è tanto da ascrivere alla fissità di certe pose frontali tipiche dell’iconografia del sacro (e peraltro estremamente di moda in piena temperie Liberty), quanto al presumibile “voto” fatto da ciascuna di esse alla rispettiva arte: recitazione (per il teatro prima, per il cinema poi), canto (meglio se lirico) e danza. Sarà forse per questo, per la presenza di un talento che ha resistito nella memoria e che ancora oggi riesce a bucare lo schermo immaginario della nostra contemplazione contemporanea, che le sembianze delle sorelle Borelli (Alda e Lyda), di Irma Gramatica, di Mata-Hari e di Vera Vergani (solo per citare i nomi delle più note tra le modelle in questione) ci appaiono così degne di rispetto e ammirazione. In anni in cui il ritratto fotografico a fini promozionali sostituiva progressivamente quello pittorico – unicum celebrativo destinato a divenire vezzo costoso – queste donne di spettacolo ci appaiono sia come protagoniste di percorsi individuali su differenti palcoscenici sia come comprimarie di un’altra vicenda, che è quella del fotografo stesso e della sua cifra espressiva in continuo divenire.
Nel saggio d’apertura (Donne divine nei ritratti di Emilio Sommariva) Giovanna Ginex spiega bene, e con dovizia di particolari anche tecnici, la maturazione dello “stile Sommariva”, dunque il passaggio da una maniera d’esordio ancora pittorica, per certi aspetti ridondante, verso un gusto via via più personale e misurato, con i fondali decorativi a perdere importanza rispetto a un uso sapiente delle luci e delle ombre, a tutto vantaggio della fisionomia e del temperamento dell'artista di volta in volta in studio, e dunque di pose ora ispirate, ora ingenue, ora drammatiche, talvolta addirittura “grafiche”. Quello stile, insomma, che negli anni lo avrebbe reso famoso e ricercato presso una clientela sempre più ampia, contribuendo a formare il gusto di una generazione futura di fotografi a prorpia volta orientati oltre i modelli rappresentativi più statici, di stanca derivazione pittorica e tradizionale. Giovanna Ginex racconta questa storia – o meglio una sua parte molto suggestiva e carismatica, cioè quella ricoperta dalla “polvere di stelle”, dal momento che la produzione di Emilio Sommariva non si limitò solo alla tipologia di ritratti presenti in catalogo – senza mai perdere di vista un aspetto fondamentale, ovvero quello dello studio e della perizia artigianale: perché «la fotografia, e in particolare la fotografia d’autore, è anzitutto tecnica: senza una comprensione e una valutazione corretta dei procedimenti di ripresa e di stampa la sua lettura risulta incompleta».
Pochi dubbi sul fatto che Divine sia un volume di pregio: tutto concorre a farne un esempio vincente di libro da collezione, dal grande formato alla qualità della carta e delle immagini, senza contare la cura dei testi critici e degli apparati, comprensivi di dettagliate schede delle opere riprodotte e delle biografie del fotografo e delle sue “divine” a cura di Laura Casone e Stella Tonti. Lo acquisteranno (o, dato il costo necessariamente superiore alla media, lo attenderanno in dono) tutti gli appassionati di fotografia e i cultori dello spettacolo primo novecentesco; e ancora di più lo apprezzeranno i nostalgici di quella particolare aura, quella che ancora avvolgeva i fautori della magnifica illusione performativa ben prima che questa divenisse dimensione comune e condivisa, inveramento di una profezia più tardi annunciata (al lettore il compito di valutarne esiti fausti e nefasti). Le dame di Emilio Sommariva, qui testimoni di se stesse in quanto artiste e, nel contempo, partecipi di un’evoluzione altrui, hanno sguardi in camera che non hanno perso nulla dell’intenzione dell’attimo in cui vennero fermati per sempre; contemplarli a lungo non ne svelerà comunque il segreto, il mistero mite o sfrontato di volti e corpi professionali abituati alla mimica, alla recita e a quella potenza della lirica “dove ogni dramma è un falso”. Autentico era, invece, il dono di un talento che non andò sprecato, il dono di chi ha scattato e di chi ha posato, e che da questo volume ancora ci chiede attenzione e ci insegna a guardare meno, a guardare meglio.
Cecilia Mariani