Gente di Berlino
di Amanda Greco
Ouverture edizioni, 2018
pp. 286
€ 13,00
«Perché un coffee to go a Berlino è più di un caffè: è un atto di rassegnazione estrema, quando nel freddo del mattino, invece di restartene a letto, ti stai trascinando verso la metro». (p.187)
Mi sono avvicinata a questo libro con tante suggestioni diverse che mi frullavano per la testa. Intanto il titolo che richiama così spudoratamente il Gente di Dublino di James Joyce. Poi, scorrendone un po' le pagine e rendendomi conto che si trattava di una storia di giovani (un concetto da intendersi, nel libro, in maniera elastica) ho pensato alla Christiane F. di Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino. Anche nel libro di Amanda Greco non mancano riferimenti a droga e sesso, ma se nella biografia «estrema», se così si può dire, di Christiane la sensazione principale è quella dell'angoscia, della disperazione, della caduta in un baratro dal quale è pressoché impossibile risollevarsi, nel libro della Greco non c'è nulla di tutto ciò. La lettura ispira, al contrario, un senso di leggerezza e spensieratezza.
Ma partiamo dall'inizio. Amanda racconta, in questo romanzo d'esordio, il suo primo anno, intenso, di permanenza a Berlino (dove tuttora risiede, tra un'andata e un ritorno al suo piccolo «paesello», come lei stessa lo definisce, del Centro Italia). Dall'arrivo, con l'inevitabile e passeggera sensazione di spaesamento, assistiamo alla trasformazione, per gradi, in una vera abitante di Berlino, se non proprio in una Berliner. Il libro diventa così quasi un Bildungsroman, un romanzo di formazione, il cui obiettivo finale non è tanto il raggiungimento della maturità, bensì la ricerca di un'identità, del proprio posto nel mondo.
Motore e combustibile di questo passaggio è la comunità, assolutamente cosmopolita e stravagante, scombiccherata e geniale dei ragazzi, provenienti da tutto il mondo, che approdano a Berlino spinti da vari motivi. C'è chi scrive una tesi di dottorato, qualcuno fa l'artista, o si definisce tale, qualcun altro insegna yoga; c'è chi fa performance teatrali, chi studia, chi invece mette in piedi una start up; c'è chi fa video-installazioni, chi il musicista, chi il fotografo. E tutti, o quasi, campano con i sussidi sociali che lo Stato generosamente offre, perché, come dice un personaggio, «solo gli sfigati lavorano a Berlino».
Queste comunità di ragazzi, che vivono principalmente tra Kreuzberg e Neukölln, sempre in bilico fra un trasloco e un altro (lo spettro della gentrificazione, che trasforma deliziosi vecchi attici in loft e appartamenti supermoderni e supercostosi, è lì in agguato), sempre sospesi tra un lavoro e un altro, sempre oscillanti tra una relazione e un'altra formano, in realtà, vere famiglie. Nelle quali si sostengono, si aiutano, si consigliano, si amano (in tutte le forme). Una comunità variegata, intenta a vivere l'attimo, senza grossi progetti per il futuro, una comunità che vive in una bolla autonoma, composta soltanto da pari, senza riferimenti a persone di altre età (vecchi e bambini non sono contemplati, o quasi), a volte «zombie metropolitani di nuova generazione» (p. 129).
Eccolo dunque, Santiago, come me, come molti altri dissennati, a Berlino, saltato nel vuoto di una nuova realtà, con un background fracassato alle spalle, un bel po' di aspettative sociali disattese. (p. 49)
La protagonista, che racconta in prima persona, senza mai dirci il suo nome (ma facilmente possiamo riconoscere l'autrice stessa) arriva a Berlino sulle orme dell'amico Theo che già da tempo ha lasciato il paesello per vivere liberamente la propria omosessualità e il proprio desiderio di conoscere, di studiare. Vanno a vivere insieme in un appartamento, a Kreuzberg, che ben presto diventerà un porto di mare tra feste di licenziamento, incontri, discussioni, conversazioni, amici, amiche, ospiti. Rapidamente la protagonista vedrà dissiparsi tutte le sue insicurezze, si toglierà di dosso gli ultimi residui di provincialismo, acquisirà fiducia in se stessa. Correndo però, a volte, il rischio di chiudersi in un nuovo conformismo, che la porterà a giudicare negativamente chi fa scelte diverse rispetto a quelle che definiscono la comunità dei ragazzi "immigrati" nella capitale tedesca.
Il lettore la accompagna in questo suo percorso che prevede diversi amori, nottate infinite in club o disco, amici gay, amiche lesbiche, amici e amiche dediti all'esperienza poliamory (il che significa sentirsi liberi di amare chiunque, il fidanzato dell'amica, l'amica del fidanzato, l'amico del fidanzato dell'amico, in relazioni più che aperte, a due-tre-quattro). Una sarabanda di incontri e situazioni, all'insegna del vivere senza regole e liberamente, che non ha escluso neppure un contatto con la droga, l'MDMA. E un incontro con un fantasma, anzi con "una" fantasma.
Perché a Berlino pare che tutto raddoppi, che tutto si espanda. (...) Ogni aspetto dell'esperienza si gonfia, si spacca, deborda, in questo enorme laboratorio di lievitazione. (p. 86)
Da questo tourbillon emerge così la vera protagonista del libro, che alla fin fine è lei, Berlino, la città che non dorme, la città dove tutto è possibile, la città che attira e respinge, la città che non è mai ferma, essa stessa in continua e rutilante metamorfosi, la città che rompe le convinzioni e le ricostruisce ex novo, la città che ingloba e digerisce, la città magica.
La Greco governa questo caleidoscopio di immagini e situazioni, tenendo ben salde le leve dei comandi narrativi: il filo conduttore rimane sempre il rapporto fra Theo e la protagonista, un'amicizia che procede tra toni alti e bassi, intorno alla quale turbinano la sarabanda e il girotondo di persone e personaggi. Con i loro lavori improbabili, con le loro bizzarre relazioni, i materassi adagiati sul parquet, la metro da prendere alla mattina, le famiglie d'origine lontane. Ma tanto lontane.
Il linguaggio usato dall'autrice è semplice e piano, ma mai banale, sempre appropriato, su toni prevalentemente alti (non ci sono cadute), con uno stile che si colloca a metà tra il colloquiale e il descrittivo.
Il risultato è un romanzo piacevole che ha il pregio di riuscire a "tirare" il lettore dentro la storia, avviluppandolo nelle varie e diverse situazioni che si presentano, alla giornata.
E così può anche capitare che si chiuda l'ultima pagina con la sensazione di aver perso un gruppo di amici.
Rosatea Poli
P.s. La bella fotografia in copertina è di Gelya Bogatishcheva
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