L'unica storia
di Julian Barnes
Einaudi, 2018
pp. 237
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Ciascuno ha la propria storia d'amore. Anche se è stata un fallimento, anche se si è ormai spenta, o non è mai riuscita a partire, o se fin dal principio era tutta e solo mentale, questo non la rende meno vera. È l'unica storia.
Prendiamo un campo da tennis, un ragazzo ubbidiente di belle speranze, una madre di famiglia ancora molto avvenente ma trascurata dal marito; lasciamo che il ragazzo e la donna si incontrino, che i loro sguardi si incrocino e che i loro caratteri si mostrino sul campo da gioco, in un'estate come tante altre. In men che non si dica, tra i due nasce un rapporto che ricorda Il laureato e che ci fa pensare alla colonna sonora di Simon & Garfunkel. Ma tra Paul e Susan - questi i nomi dei protagonisti - c'è qualcosa di più di una passione estiva e di un'iniziazione sessuale alla Mrs. Robinson: diventano l'uno per l'altra l'unica storia, quella che ci si porta dietro per tutta la vita, metro di paragone per gli amori futuri, sconvolgimento interiore e reciproca influenza:
Il primo amore segna una vita per sempre: almeno questo negli anni l'ho imparato. Magari non supererà gli amori successivi, ma la sua esistenza li condizionerà lo stesso. Potrà costituire un modello ideale o un controesempio. Potrà offuscare gli amori successivi; ma potrà, al contrario, anche facilitarli, favorirli. Anche se, qualche volta, cauterizza il cuore e chiunque si avvicini dopo non troverà altro che tessuto cicatriziale. "Ci ha uniti la sorte". Personalmente non credo nel destino; forse l'ho già detto. Ma oggi credo che quando due amanti si incontrano, l'accumulo di pre(i)storia è tale da rendere possibili solo alcuni esiti e non altri. Mentre gli amanti si convincono che il mondo stia subendo una rivoluzione e che le possibilità siano al tempo stesso nuove e infinite. Il primo amore si scrive invariabilmente in una inesorabile prima persona. Come potrebbe essere altrimenti? Nonché in un inesorabile indicativo presente. Ci vuole tempo per rendersi conto che esistono altre persone e altri tempi verbali.
La prima parte del romanzo è incentrata sulla passione della scoperta, sul reciproco adattarsi all'altro, ritagliandosi momenti tutti per sé, a costo di correre il rischio di essere osservati e criticati dalla società, dalla famiglia di Paul, dal marito di Susan, che chiama "cicisbeo" quel ragazzo diciannovenne che si è infilato nelle loro vite e sul loro divano, con la scusa di dare passaggi in macchina a Susan e di avere con lei una affinità elettiva. Intanto, i due hanno modo di conoscersi, di viversi: ognuno di loro sarebbe stato diverso senza l'altro («Gli aveva insegnato le virtù dell'impulsività, ma anche i suoi rischi. E così Paul si era ritrovato prudentemente generoso e cautamente impulsivo»).
Per rivivere la storia con Susan, Julian Barnes sceglie un io narrante capriccioso: «Ma io sto ricordando il passato, non lo sto ricostruendo. Quindi non si baderà molto agli arredi di scena», si ribella nelle prime pagine, che sono un'interessantissima rivendicazione della libertà del genere autobiografico, tra riflessioni metaletterarie decisamente da trascrivere. Ecco perché l'andirivieni dei ricordi è del tutto arbitrario, e spesso si avvicendano preterizioni varie: elencando tutto ciò che non intende raccontare, Paul non fa che gettare in pasto ai noi lettori scene del privato più intimo, della conoscenza del corpo dell'altro, delle abitudini reciproche, quando queste non sono narrate più diffusamente:
È in questo modo che Susan mi dice di sé, attraverso osservazioni indirette che non esigono una risposta. Certe volte da un commento ne nasce un altro; certe altre invece butta là una frase isolata, come se mi offrisse una chiave d'accesso alla vita.
Se i primi anni vedono l'affermazione deliberata e anche un po' sfacciata della loro storia, in cerca di legittimità, la parte più interessante è quando subentra il quotidiano, quando Susan si mostra meno forte e ottimista, quando molti eventi la renderanno più fragile. Lì si affaccerà «la scoperta che l'amore, perfino il più ardente e sincero, può, se aggredito nella giusta proporzione, cagliare in un grumo di rabbia mista a pena». E la seconda parte del romanzo è più amara, dolorosa, tra preoccupazioni e paraocchi per non vedere la gravità dei problemi, desideri di libertà e successivi sensi di colpa, ripensamenti e rimorsi, affermazioni poderose d'amore e dedizione reciproca e tristezza, tanta tristezza. Quando lasciarsi è «un atto di legittima difesa»? Quando per salvare sé stessi si è costretti a rinunciare all'altro? Le risposte, tutt'altro che scontate, arrivano in una narrazione densa e solo apparentemente lineare: come sempre nei suoi romanzi Julian Barnes scava a fondo, sbuccia l'apparenza fino ad arrivare dolorosamente al nocciolo del reale:
Non finisce mai niente, se è arrivato così in profondità. Te ne andrai ferito, per sempre. Per un po' la tua scelta sarà andartene ferito, o morire. Non sei d'accordo?
Chi ha provato a portare sulle proprie spalle il peso ora gravoso ora rassicurante del primo amore sa bene di che parla Barnes, e sicuramente troverà nel nuovo romanzo mutue e catartiche rispondenze.
GMGhioni
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