Stella di mare
di Giulio Macaione
Bao Publishing, 2018
pp. 176
€ 18,00
Stefano ha 24 anni e ha lasciato l’università. Trascorre le sue giornate invertendo la notte con il giorno, dormendo fino a mezzogiorno e girovagando sul lungomare di Cefalù fino alle prime luci dell’alba. Sta vivendo una fase di inattività in cui niente riesce a stimolarlo e accenderlo. Solo Marina, una ragazza del nord sfuggente che si materializza solo d’estate, lo tiene in vita durante i mesi invernali: gli spedisce cartoline raccontandogli le sue giornate, ma lui non riesce a contattarla in nessun altro modo. Né su Facebook, né per telefono. Marina è come una sirena che appare e scompare e che trasforma l’esistenza di Stefano in una lunga e infinita attesa che solo il mare sembra capire, con le sue onde e il rumore che a ogni spruzzo gli ricorda il viso della sua personale creatura mitologica.
Da lontano Vico, un vecchio pescatore che vive nel porticciolo di Cefalù, lo osserva e sembra partecipe dei suoi tormenti. È famoso in paese per la sua grossa cicatrice sul naso: da giovane ebbe un incidente in barca, e raccontò di essere stato salvato da una sirena. Tutti lo credono pazzo e per questo vive da reietto, ma in nome della sirena che li unisce, Stefano riesce a stabilire un contatto e i due, se è possibile definire tale un rapporto fatto spesse volte di grugniti e insulti in dialetto, diventano amici.
Dal balcone Matilde li osserva. Lei sta sempre lì, a guardare il mare in attesa del marito scomparso decenni prima in una battuta di pesca, e che è sicura tornerà da lei. Anche lei pensa alle sirene, ma non con affetto come Stefano: le odia, accusando queste fimmine buttane di averle rubato l’amore della vita.
In Stella di mare Giulio Macaione abbandona la coralità di Basilicò e sceglie un approccio più intimo e che trova la pluralità degli individui in seno alla famiglia. Questa prospettiva infonde alla storia una dolcezza e una levità rincuoranti, sebbene il tono di partenza sia quello dell’insoddisfazione e dell’incertezza dei vent’anni, quel momento della vita in cui si avrebbe la forza di cambiare il mondo pur non riuscendo, spesso, a volerlo. La mamma di Stefano, matriarca tipica in molte delle famiglie di area mediterranea, fa la dura in apparenza, salvo poi essere pronta ad abbracciare il figlio ogni volta che il suo sguardo si perde nel vuoto. Uno scudo protettivo incarnato anche dalla sorella minore Luisa, la tipica cuttigghiara impicciona che farebbe di tutto per allontanare il fratello da quella gatta morta di Marina, causa, ne è certa, del buio nel suo cuore.
Stella di mare, che si apre con un sogno e come tale si realizza in tutte le sue pagine dal bicolore (azzurro-blu e arancione) onirico che sfuma i dettagli, racconta in un battito di ciglia i tre mesi della vita di un giovane che fa i conti con il significato della parola crescita e che scopre che il mare (onnipresente in ogni autore siciliano, e Giulio Macaione – catanese di nascita ma palermitano d’adozione – non può certo smentirsi) non è sempre il consolatore rifugio da mille tormenti, ma può essere esso stesso causa di dolore e infelicità, una massa avvolgente che distoglie gli individui dal seguire il proprio cammino. Così come la sirena Marina annebbia la mente di Stefano e gli fa dimenticare di cercare la risposta ai suoi interrogativi in se stesso, quella di Vico lo costringe a vivere nel passato e non godersi il futuro. Un romanzo grafico breve ma intenso, che costringe ancora una volta a fare i conti con le inquietudini dei giovani di oggi e che, per combatterle, invita al dialogo umano, non al canto ammaliatore di creature mitologiche.
Federica Privitera