di Alice Avallone
Franco Cesati Editore, "pillole app.", 2018
pp. 121
€ 12 (cartaceo)
Sapete che quello che scriviamo online, ad esempio sui social, può essere un interessante oggetto di indagine? Non solo per il marketing o per i linguisti (e qualche volta, dobbiamo ammetterlo, per gli psicoanalisti), ma anche per una categoria davvero interessante: quella degli etnografi digitali.
Se l'etnografia ha una storia molto antica, come ci ricorda Alice Avallone nella prima parte dell'opera, dedicata a una doverosa ricognizione degli studi, l'etnografia digitale è nata, come dice il nome stesso, da/con il web. Normalmente l'etnografia si occupa di «studiare un gruppo di persone, osservarlo nel suo territorio naturale e raccogliere il maggior numero di dati relativi alla sua cultura» (p. 11); non è difficile traslitterare questa definizione per l'universo online. Indagare la Rete nelle sue tante "isole e isolotti" non è sempre facile, né indolore: richiede all'etnografo stesso di mettersi in gioco, in qualità di osservatore, selezionatore di dati prima e poi di interprete.
Non è facile, lo percepiamo fin da subito, grazie alla struttura sempre molto pragmatica del testo: come accade per gli altri volumetti che appartengono alla collana delle "pillole app." di Franco Cesati Editore, gli autori ci immergono subito nei loro studi, ci fanno saggiare le opportunità, le tante sfaccettature, ma anche le problematiche connesse. Ad esempio, le ricerche degli etnografi digitali possono anche sposarsi a studi di marketing, per «orientare, potenziare e ottimizzare strategie di comunicazione di business» (p. 22). Per farla semplice, spesso dietro alla delineazione del pubblico per questa o quella targhettizzazione si celano ricerche etnografiche. Insomma, è la vendetta degli small data, che fanno meno rumore dei big data, ma certamente raccontano tanto di noi e dei nostri gusti.
Ma come si procede nella ricerca? Alice Avallone non si limita a teorizzare il procedimento: ci presenta alcuni casi di ricerca possibile e ci accompagna per mano, specificando di volta in volta i possibili nodi critici da sciogliere prima di proseguire. E una cosa appare chiara fin da subito: l'etnografo deve essere molto paziente, perché la ricerca richiede di «immergersi in una comunità, comprenderla e trasferirla ai lettori: questa pratica richiede appostamenti minuziosi e continuativi, soprattutto se stiamo monitorando conversazioni in tempo reale» (p. 49). E, paradosso affascinante della disciplina, «ci serviamo della soggettività per una dimostrazione oggettiva» (ivi).
Oltre ad avere "fiuto" per le conversazioni interessanti e per le comunità più vivacemente attive, avendo cura di evitare i vari fake, l'etnografo digitale deve essere un fine analizzatore del linguaggio, perché spesso sono proprio le parole a rendere unita una comunità, a dare un senso di appartenenza, come nel caso di forum specifici (ad esempio, pagine sulla maternità o gruppi dedicati ai gattofili). Quando la ricerca è completa, occorre poi che questa venga formalizzata in un testo uniforme: anche in questo caso, occorrono accortezze, già a partire dal registro più o meno formale da adottare.
A conclusione di questo rapido ma curiosissimo viaggio nell'etnografia digitale, non possono mancare gli esempi di ricerca, eseguiti punto per punto e i suggerimenti per mettersi alla prova e scendere in campo. Anche se non diventeremo mai etnografi, People watching in Rete ha il merito di aiutarci a guardare il web con maggiore consapevolezza, chiedendoci se il profilo con cui dialoghiamo sia vero o meno, se un influencer stia facendo una marchetta o se sia sincero, se quel personaggio pubblico sia davvero lui/lei. E soprattutto impareremo a scrivere sul web dopo aver pensato un secondo in più: qualcuno, un giorno, potrebbe studiare le nostre tracce digitali...
GMGhioni