Sex robot. L’amore al tempo
delle macchine
di Maurizio Balistreri
Fandango, 2018
pp. 282
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Nuove epoche portano nuove tecnologie, e nuove tecnologie portano
nuove sfide al genere umano e alle società di cui si compone. Sfide che vanno
esplicitate e affrontate, così da poterne prevedere gli sviluppi e le
problematiche ancora in nuce: è questo il caso del rapporto uomo-macchina, tema
ampiamente discusso in ambito letterario almeno dalla seconda metà del
ventesimo secolo da grandi autori come Isaac Asimov e Philip Dick, sul cui mare
magnum sconfinato narrativo non c’è neanche bisogno di soffermarsi, tanto è
vasto.
Che lo sviluppo tecnologico abbia portato con sé rivoluzioni economiche e lavorative è cosa nota da tempo (giusto di recente lo storico Yuval
Noah Harari ha dedicato la prima parte del suo ultimo lavoro, 21
lezioni per il XXI secolo, alle questioni derivanti dalla “sfida
tecnologica”). Più recente è invece è il tema relativo al modo in cui la
creazione di robot antropomorfi e sempre più in grado di relazionarsi con gli
esseri umani a livello emotivo e intellettuale possa modificare, o addirittura
reinventare, qualcosa di altamente privato ed esclusivo come la sessualità e l’amore.
È l’argomento su cui si concentra Maurizio Balistreri, che per l'occasione attinge sia dalla saggistica sia dalla narrativa
contemporanea, laddove quest’ultima è da intendersi sia in senso stretto –
libri di fiction come, appunto, quelli di Dick – sia in un senso più lato –
serie tv come Black mirror (su cui
però l’autore non si sofferma molto nonostante gli enormi spunti che puntate
come The entire history of you, Arkangel e Hang the dj possano offrire) e film come Ex machina e Her.
C’è da dire subito che i primi due capitoli del saggio, “Cosa c’è di
male a fare sesso con un robot” e “I sex
robot e la violenza sulle donne”, benché interessanti e ben argomentati, risultano a mio avviso meno rilevanti del terzo e ultimo, “Amare
un robot?”. Questo perché nei primi due capitoli il robot viene considerato solo come “sex robot”, ossia non come «un essere
umano ma come un oggetto tecnologico», e dunque «ognuno i noi è libero di
scegliere se acquistarlo e poi giocarci» (p. 61). Fintanto che il sex robot, per quanto così dettagliato da replicare
anche il più infinitesimo dettaglio umano, verrà considerato alla stregua di un
sex toy, non sorgerà alcun dilemma morale vero e proprio perché quasi nessuno,
oggi, considererebbe tradimento, ad esempio, il rapporto di una donna col
proprio vibratore o di un uomo con una vagina di silicone: «anzi questi
giocattoli sono spesso un’ottima idea per un regalo di compleanno o un
anniversario di fidanzamento o di matrimonio (p. 37).
«L’ipotesi è che più si offrono alle persone “strumenti” e occasioni
per soddisfare le loro fantasie e meno sarà probabile che esse le esprimano su
persone reali» (p. 85): questa è, in sintesi, l’argomentazione adoperata sia contro
chi condanna i sex robot (e la pornografia) come causa dell’aumento della
violenza contro le donne, sia contro chi li condanna tout court. Per quanto condivisibili dal sottoscritto, tuttavia,
bisogna far notare come queste argomentazioni sia più il risultato di una presa di
posizione che di un vero e proprio dibattito: la posizione di fondo assunta da Balistreri (che, ripeto, è anche la mia,
per cui tutto questo discorso vale per onestà intellettuale) è infatti la seguente:
«non c’è alcun ordine naturale da rispettare, la natura non è stata creata da
un essere superiore e la morale è un prodotto umano» (p. 38). Una volta che si
accetta questo come un dato di fatto, e che dunque si accetta la non neutralità delle argomentazioni dell’autore , allora si possono prendere i primi
due capitoli di questo saggio sul serio; in caso contrario, si è destinati a
restare insoddisfatti.
Tutto cambia col terzo capitolo. Il problema vero, affrontato ad esempio
nei film che l’autore stesso cita, Ex
machina e Her, nascerà infatti
quando «saremo in grado di costruire robot che possano essere l’oggetto ideale
del nostro amore» (p. 152); fino a quel momento, ossia fintanto che il
robot «non sarà consapevole di sé e non potrà ricambiare il nostro amore» (p.
153), come potremo anche solo immaginare «che un robot sarà in grado di farci
innamorare?» (ivi). Finemente, e giustamente, Balistreri coglie nell’autocoscienza e nelle capacità immaginativa, intellettuale ed emotiva gli elementi di base di
ciò che chiamiamo amore. Un pezzo di plastica, gomma e silicone che racchiude
circuiti e meccanismi non può essere l’oggetto (né tantomeno il soggetto) del
nostro amore: a fare la differenza sono i sentimenti e la capacità
immaginativa, cose che i sex robot attualmente in commercio non possono avere: «Fino
a quando non ci saranno robot così intelligenti da essere in grado non soltanto
di essere consapevoli di sé, ma anche di ricambiare i nostri sentimenti, l’idea
che possa esserci amore autentico tra un essere umano e un robot è pura fantascienza»
(p. 154). E a quel punto, i robot «avrebbero indubbiamente piena rilevanza
morale» (p. 166); ossia, detto in altri termini: a quel punto potranno essere
equiparati alle persone pur senza essere persone. E qui nascerebbero i problemi su cui il terzo capitolo di Sex robot si sofferma.
Il saggio di Balistreri risulta dunque molto godibile e in grado di
alimentare un vivace dibattito in merito. Da lettore avrei preferito che si
concentrasse maggiormente sulle tematiche derivanti dal rapporto fra umani e
robot “morali”, piuttosto che su quello fra umani e sex robot. Credo che nel XXI secolo ciò che preoccupa maggiormente noi umani è il rapporto con l’altro
sconosciuto – in qualsivoglia forma questo “altro” possa manifestarsi – e non
tanto il rapporto con uno strumento, per quanto complesso possa essere. Come una lunga tradizione filosofica
insegna, infatti, gli strumenti non sono mai malvagi o buoni di per sé: è l’uso
che se ne fa a essere determinante.
David Valentini