di Alessandro Q. Ferrari
DeA, 2018
pp. 297
€ 14,90 (cartaceo)
Qualche tempo fa uno studente, affascinato dalla lettura de Il sentiero dei nidi di ragno, mi ha chiesto di suggerirgli qualche libro simile. Una domanda apparentemente facile, in realtà complicatissima: si trattava di identificare gli elementi costitutivi del romanzo di Calvino e di cercarne di equivalenti in un'altra opera, ben sapendo che Calvino rimane unico, insuperabile. Sul momento, quindi mi sono arenata: mi servivano una storia avvincente, un ragazzino ingenuo e solo, uno scarto brusco tra la sua percezione del mondo e la realtà, un ambiente popolato da adulti a tratti deludenti, una paura di fondo nel percorso di crescita, la lotta contro il dolore che questo porta inevitabilmente con sé.
A posteriori, pur senza voler azzardare un paragone che risulterebbe poco calzante, penso che a quel ragazzo che cercava un romanzo di formazione forte e toccante suggerirei questo di Alessandro Q. Ferrari.
Le ragazze non hanno paura è un testo che, a volerlo etichettare a forza, rientrerebbe nella categoria young adult, ma che è in grado di conquistare anche il lettore adulto. Forte della sua esperienza di sceneggiatore, l'autore dispiega la sua abilità nel costruire scene rapide e intense, dialoghi sferzanti, una trama imprevedibile e che non lascia scampo, personaggi credibili, vividi, a cui ci si affeziona subito. C'è Mario Brivio, il nome che ricorda quello di un superstore, un carattere schivo e un corpo esile che lo rendono la vittima perfetta dei bulli della scuola. Sua madre Rubina, fragile e iperprotettiva dopo la scomparsa, mai superata, della sua primogenita; la nonna Maria, ruvida, ma affezionata, pronta a intervenire in caso di necessità brandendo un'asse da stiro. E poi le ragazze, l'universo misterioso con cui un adolescente solitario entra in contatto durante un'estate fondamentale, e che cambierà per sempre la sua vita. Perché le ragazze, a differenza di Mario, non hanno paura, e se ce l'hanno la imbracciano come un fucile da puntare contro il nemico. Le ragazze non vogliono essere salvate, vogliono salvarsi da sole; non vogliono cavalieri dalla bianca armatura, vogliono essere loro i cavalieri, indossarla loro l'armatura. Le ragazze hanno le idee più chiare sul futuro, il coraggio dei propri sentimenti, sono disposte a lottare – anche a scendere agli Inferi – per difendere chi amano. C'è Tata, determinata, passionale, bellissima, che a Mario "dava le formiche alla nuca" (p. 80). E poi Inca, che porta la luce, si meraviglia di tutto, si prende cura di chi le sta attorno. E Jo, figlia di giostrai, che non si vergogna di sé, della propria vita ai margini. È grazie a loro che Mario fa per la prima volta l'esperienza dell'amicizia, dell'amore, quella dell'appartenenza a un gruppo. E poco importa allora che si tratti di una banda al femminile, che gli affibbia il poco virile soprannome di "Mary". Perché in ballo c'è qualcosa di importante: la Guerra, che si consuma in un bosco dai confini quasi fiabeschi con un avversario senza scrupoli e che assume la forma dello scontro epico tra bene e male, superando presto i limiti del gioco:
Le ragazze non hanno paura è un testo che, a volerlo etichettare a forza, rientrerebbe nella categoria young adult, ma che è in grado di conquistare anche il lettore adulto. Forte della sua esperienza di sceneggiatore, l'autore dispiega la sua abilità nel costruire scene rapide e intense, dialoghi sferzanti, una trama imprevedibile e che non lascia scampo, personaggi credibili, vividi, a cui ci si affeziona subito. C'è Mario Brivio, il nome che ricorda quello di un superstore, un carattere schivo e un corpo esile che lo rendono la vittima perfetta dei bulli della scuola. Sua madre Rubina, fragile e iperprotettiva dopo la scomparsa, mai superata, della sua primogenita; la nonna Maria, ruvida, ma affezionata, pronta a intervenire in caso di necessità brandendo un'asse da stiro. E poi le ragazze, l'universo misterioso con cui un adolescente solitario entra in contatto durante un'estate fondamentale, e che cambierà per sempre la sua vita. Perché le ragazze, a differenza di Mario, non hanno paura, e se ce l'hanno la imbracciano come un fucile da puntare contro il nemico. Le ragazze non vogliono essere salvate, vogliono salvarsi da sole; non vogliono cavalieri dalla bianca armatura, vogliono essere loro i cavalieri, indossarla loro l'armatura. Le ragazze hanno le idee più chiare sul futuro, il coraggio dei propri sentimenti, sono disposte a lottare – anche a scendere agli Inferi – per difendere chi amano. C'è Tata, determinata, passionale, bellissima, che a Mario "dava le formiche alla nuca" (p. 80). E poi Inca, che porta la luce, si meraviglia di tutto, si prende cura di chi le sta attorno. E Jo, figlia di giostrai, che non si vergogna di sé, della propria vita ai margini. È grazie a loro che Mario fa per la prima volta l'esperienza dell'amicizia, dell'amore, quella dell'appartenenza a un gruppo. E poco importa allora che si tratti di una banda al femminile, che gli affibbia il poco virile soprannome di "Mary". Perché in ballo c'è qualcosa di importante: la Guerra, che si consuma in un bosco dai confini quasi fiabeschi con un avversario senza scrupoli e che assume la forma dello scontro epico tra bene e male, superando presto i limiti del gioco:
Il bosco sembrava incantato quel giorno, c'era un silenzio innaturale. Come se qualcosa di antico e invisibile si muovesse fra i rami, dietro i tronchi, su per i rivoli, portando via gli uccelli, gli insetti e il vento, lasciandosi dietro solo un inquieto silenzio. (pp. 70-71)
In una notte fatale, Mario e le ragazze devono affrontare anche la prova del dolore, del vuoto, della perdita, quando qualcuno di amato ci va di mezzo e viene superato un punto di non ritorno, che lascerà i suoi strascichi terribili e strazianti su ognuno di loro. Di fronte a qualcosa di troppo grande da sopportare, a una sofferenza che grava sullo spirito come "un elefante invisibile schiacciato sopra la pancia" (p. 151), non rimane alla banda – a quel che ne resta – che imbarcarsi in un'ultima impresa che, come tutte le cose necessarie, deve essere "pazza, folle, stupida e coraggiosa" (p. 196). È in quel momento – sulla soglia che separa il bambino dall'adulto – che l'infanzia diventa valore aggiunto, perché si fa portatrice della sconsideratezza cieca che serve per affrontare i pericoli di una missione impossibile. Scendere nel "Sottomondo" per recuperare chi si è perduto è forse l'unico modo per i protagonisti per risalire alla luce, per imparare che a volte si deve fare – contro ogni logica, "contro ogni previsione" – solo quello che è giusto, proprio perché è giusto. Il prezzo da pagare sono la consapevolezza, il sacrificio di una parte di sé. Il premio, alla fine, è quello di diventare grandi senza perdersi, mantenendo intatto quel viscerale attaccamento alla vita che è proprio della giovinezza.
Con un linguaggio incisivo, che non perde mai il suo ritmo, l'autore costruisce un romanzo per giovani adulti narrativamente efficace, emotivamente coinvolgente. E al lettore, anche una volta sfogliata l'ultima pagina, rimangono impressi negli occhi il brillare di una cicatrice, il lampo di un vestito rosa, una mano che finalmente afferra una pietra per fare l'unica cosa possibile. Nonostante la paura, l'incertezza delle conseguenze, "perché ad aspettare di essere pronti si finisce per non esserlo mai" (p. 258).
Carolina Pernigo
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