La fragilità degli angeli
di Gigi Paoli
Giunti, 2018
pp. 304
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
«Un altro pazzo, no, eh?". L'Artista mi appoggiò la mano sulla spalla e mi fece l'occhiolino: "Benvenuto nella città dei pazzi, amico mio. Benvenuto a Firenze» (p. 13).
Lo ammetto: quando ho scoperto che Gigi Paoli, giornalista fiorentino e, da tre libri a questa parte (prima di questo ha scritto Il rumore della pioggia e Il respiro delle anime), anche valente autore di romanzi noir, stava scrivendo una nuova avventura del suo alter ego letterario, Carlo Alberto Marchi, ho faticato a tenere sotto controllo la stalker che è in me, ma mi sono ripromessa di aspettare pazientemente e con fiducia l'uscita del racconto. Va da sé che, non appena La fragilità degli angeli è stato dato alle stampe, ho stabilito il nuovo primato mondiale nella specialità di "Corsa alla libreria più vicina" e l'ho letto in tre giorni netti, subito dopo aver "divorato" anche il prequel, La legge dei grandi numeri.
Nella Firenze dei giorni nostri scompare misteriosamente un bambino di quattro anni mentre sta giocando con la bicicletta nel giardino di casa sua. Passano i giorni e le speranze di ritrovare il piccolo Stefano in vita diminuiscono sempre più, mentre sulla città si staglia l'ombra di un nuovo "Mostro". Per il giornalista di cronaca giudiziaria Carlo Alberto Marchi si profilano giorni di lavoro intenso e frenetico tra la redazione del suo quotidiano, il "Nuovo Giornale", e Gotham, l'avveniristico Palazzo di Giustizia del capoluogo toscano.
L'inchiesta prosegue senza tregua, finché prende una svolta tragica sia per gli inquirenti, e tra questi spicca l'instancabile Pubblico Ministero Simonetta Vignali, amica e confidente di Marchi, che la squadra Mobile della polizia, capitanata da Luca Settesanti, gran lavoratore ma tormentato da un passato violento.
Grazie a una miriade di personaggi che riescono a dare il giusto colore all'intera storia, Gigi Paoli ci conduce negli abissi più profondi dell'animo umano, nelle pieghe più oscure di una Firenze che è quanto di più lontano possibile dalla città che milioni di turisti ammirano ogni giorno.
Prendere in mano il nuovo libro di Gigi Paoli e iniziare a leggerlo è un po' come tornare in un posto amato dopo molto tempo che si è mancati: ci sono luoghi che a prima vista non si ricordano e persone che apparentemente sono mutate, ma dopo poco tempo ci si rende conto di essere nuovamente a casa, in mezzo ad atmosfere e amici familiari e calorosi.
L'impressione che si ha sfogliando le pagine di questa storia è che grazie alla pungente ironia dell'autore fiorentino si riescano a raccontare storie anche molto crude, conferendo allo stesso tempo una notevole credibilità alle vicende. Indubbiamente, infatti, le vicende appaiono assai realistiche agli occhi dei lettori grazie al fatto che Paoli è davvero un giornalista ed è stato per quindici anni il responsabile della cronaca giudiziaria della redazione di Firenze del quotidiano La Nazione: si percepisce molto distintamente l'esperienza dell'autore tra i corridoi dei tribunali, lo scambio di opinioni e battute con colleghi e avvocati, i dialoghi con i magistrati sempre in bilico tra il diritto di informazione e quello alla segretezza delle indagini, i favori con i cancellieri e tutti gli operatori del sistema giudiziario.
Dall'altro lato, è chiaramente percepibile anche la sfiducia che spesso alberga in coloro che si sono trovati a studiare i complicati ingranaggi della giustizia del nostro Paese, sempre più imbrigliata nei cavilli della burocrazia e sempre più scollata dalle vere esigenze dei cittadini, soggetti al capriccio di leggi a volte incomprensibili, o meglio comprensibili solo da pochi eletti.
Le procedure giudiziarie erano oggetto di antica e irrisolvibile disputa fra magistrati e avvocati. I primi le ritenevano inutilmente complesse, create ad arte dal legislatore al solo scopo di complicar loro la vita; si sentivano messi perennemente sotto accusa perché, dicevano i loro nemici, facevano politica usando il codice penale. In realtà, pensavo io, non avevano fatto altro che colmare i vuoti che una politica devastata da scandali e conflitti aveva lasciato dietro di sé. Gli avvocati, di contro, rivendicavano con forza le garanzie necessarie ai propri clienti e ci marciavano, soprattutto nei processi che non finivano mai (...), era colpa di un sistema malato che impediva al singolo cittadino di ottenere giustizia, se era vittima, o di avere un processo in tempi ragionevoli, se era imputato. Così i colpi bassi fra magistrati e avvocati erano all'ordine del giorno (p. 45).
Un altro punto di forza della serie che ha per protagonista Carlo Alberto Marchi è l'ottima caratterizzazione dei personaggi che popolano le avventure del nostro cronista preferito: in primis c'è proprio lui, Carlo, alle prese da una parte col mestiere del giornalista, reso più complicato dalla trasformazione da questo subita ad opera dei nuovi mezzi di comunicazione, e con superiori e colleghi dai tratti particolarissimi (su tutti svetta Alessandro "L'Artista" Della Robbia), e dall'altra con la crescita della figlia Donata, ormai lontana dall'età dell'infanzia, ma molto più vicina alle turbe adolescenziali che sconvolgono non poco il padre single e costretto a confrontarsi con una caratteristica propria delle donne: quella di essere multitasking.
«Ecco, allora te lo dico io cosa sai. Sai che i giornali sono tutti in crisi, che noi vendiamo la metà delle copie che vendevamo quindici anni fa, che la carta morirà per colpa dei computer e che noi finiremo presto ai giardinetti a ricordare i bei tempi andati. Nel frattempo, però, lo stipendio ci arriva ogni mese e tu e io, alla fine, siamo anche fortunati perché facciamo...come dici sempre tu?...», «Facciamo repubblica autonoma.». «Ecco, facciamo repubblica autonoma. Che è un modo più carino per dire che facciamo tutto quello che ci pare. Vorresti andare in un altro settore a farti dire cosa devi fare? A ricominciare da capo un'altra volta? Io no» (pp. 168-169).
Svelare ulteriori particolari della trama sarebbe un vero delitto, ma due parole ancora le merita lo stile di Paoli, denso di particolari sulla sua amata città che, invece di appesantire la narrazione, regalano credibilità alle vicende e spingono il lettore a chiedersi se queste non prendano davvero spunto dal reale, mentre in alcuni passaggi si toccano delle punte di autentica e inaspettata poesia:
Ci sedemmo al tavolo d'angolo della grande vetrata che dava sull'ingresso principale di Gotham. Fuori il cielo era dello stesso colore dell'asfalto, tanto da far pensare che ribaltando l'immagine, tutto sarebbe rimasto identico. Sembrava la metafora della mia vita (p. 192).
Ci sarebbero ancora moltissime parole da scrivere su La fragilità degli angeli, ma nessuna di queste potrebbe sostituire la lettura di questa storia che, ve lo assicuro, una volta iniziata è davvero difficile sospendere.
Vi consiglio di immergervi in questa nuova coinvolgente avventura di Carlo Alberto Marchi e, se ancora non lo avete fatto, correte a recuperare anche i due precedenti romanzi. Ben presto scoprirete una serie di storie noir che hanno per protagonista principale la città di Firenze e le sue anime nascoste, e leggerete l'ultima pagina chiedendovi soltanto: "A quando la prossima avventura?'".
Ilaria Pocaforza