Laureata in Graphic Design e con una specializzazione in Cinema, Giulia
Rosa disegna “da quando ha memoria”, e l’arte è al centro della sua vita
fin da piccola. La nostra redattrice Cecilia Mariani – che ha letto e
recensito per noi il suo Marina,
biografia illustrata di Marina Abramović pubblicata da Hop! Edizioni
all’interno della collana “Per Aspera Ad Astra. La forza delle donne” –
le ha fatto sei domande per conoscerla e farla conoscere un po’ meglio a
voi lettori e lettrici del nostro sito: ci ha raccontato di sé, del suo
lavoro di illustratrice e motion designer, del suo rapporto l’arte e la performance art, delle sue ispirazioni e dei suoi progetti futuri.
Ciao
Giulia, e ancora complimenti per il tuo bellissimo lavoro per Hop! La
prima cosa che vorrei chiederti è di presentarti ai lettori e alle
lettrici di Critica Letteraria scegliendo una perfomance o
un’opera di Marina Abramović: non necessariamente la tua favorita, ma
quella che in qualche modo senti più affine a te e alla tua sensibilità,
e che potrebbe in qualche modo rappresentarti.
Ciao Cecilia! Grazie di cuore per i complimenti! Se un’opera di Marina dovesse descrivermi, penso che sarebbe sicuramente The Lovers.
L’addio a un amore, metaforicamente espresso in fatica, sudore e
chilometri. L’amore, gli addii, i ricordi e le cose perse sono temi che
ritornano spesso nei miei lavori.
Giulia Rosa_Incontro con Ulay |
La vita e l’arte di Marina Abramović sono legate a multiplo nodo:
impossibile considerare l’una indipendentemente dall’altra. Come ti sei
avvicinata alla sua figura, e quali aspetti della sua biografia e della
sua evoluzione estetica ti hanno maggiormente impressionato, soprattutto
ai fini della concezione del libro?
L’arte di Marina è la sua vita, nel senso letterale del termine. Una è la conseguenza dell’altra e viceversa. Di Marina m’impressiona la violenza, una violenza continua, cercata e necessaria. M’impressiona anche il suo voler portare l’amore ad un livello più “alto”, un livello NON umano. Spogliato da qualsiasi retaggio che abbia a che fare con il sesso e con i sentimenti per renderlo “puro”. Ma l’amore è amore perché è umano e se vuoi trasformarlo in altro sei destinata a fallire. Quando si è resa conto che la relazione con Ulay non poteva essere “più alta” dell’amore, che era gelosa di lui, che soffriva delle cose banali di cui soffriamo tutti, ha fallito. Questo suo fallimento me l’ha resa umana, fragile e di una tenerezza incredibile.
È evidente come l’incontro tra il tuo lavoro di illustratrice e la ricerca artistica di Marina Abramović nasca sotto una stella condivisa, che è quella della centralità del corpo umano. Il tuo interesse sembra volgere più volentieri verso il lato del piacere, mentre quello della performer contempla sempre (quasi di necessità) il contraltare del dolore: ci dici qualcosa di più su come hai sviluppato questo aspetto comune nel realizzare il tuo lavoro per Hop?
Piacere e dolore stanno su due barche diverse nello stesso mare. Spesso, nelle mie illustrazioni, ho usato il piacere come metodo “transitorio”, per portarmi la testa via da momenti che di piacevole non avevano nulla. Studiare Marina mi ha insegnato che invece bisogna soffermarsi sul dolore, esprimerlo e analizzarlo per poi razionalizzarlo e trasformarlo. E che posso anche disegnarlo. Esprimere il lavoro della Abramović in linee e colori non è stato semplice, disegnare una performance e mantenere la sua stessa forza è quasi impossibile. Per questo ho voluto disegnare quello che IO vedevo nella sua arte, le emozioni che sentivo io in primis. Così le energie sono diventate fiori e i corpi non erano più corpi ma figure aperte con cuori in mostra. Insomma, se non puoi riprodurre la realtà, sii surrealista, no?
A più di cinquant’anni dalla sua nascita, la performance art continua a non godere di ottima reputazione tra il grande pubblico; un destino condiviso, per certi aspetti, da una buona percentuale dell’arte contemporanea generalmente intesa. Quali sono i tuoi pensieri e gusti in proposito? Quali artisti ammiri o riescono davvero a ispirarti nel tuo lavoro?
La performance art non è popolare, nel senso letterale del termine, è difficile, fastidiosa, provocatoria e disturbante. Per questo non piace e per questo è forte. Devi davvero metterti nelle condizioni di poterla capire, devi liberarti il cervello da innumerevoli preconcetti e cliché. Anche io ho dovuto fare così! Ad esempio, prima di iniziare a lavorare sul libro, ero molto scettica riguardo alla figura di Marina Abramović, soprattutto non comprendevo il senso della maggior parte della sua arte. “Sono cose fatte per provocare” e su questa frase mi fermavo. Poi la studi, conosci il suo passato e i suoi tormenti e solo allora capisci e apprezzi. Non solo “apprezzi”, ma ti commuovi! Ti spiazza, ti devasta e, a volte, ti cura. Per ispirarmi pesco arte ovunque, nelle sensazioni che provo o che provano le persone a me vicine. Disegno ispirata dalle fotografie, dal cinema e dalla musica. Il mondo è così pieno di artisti e arte valida che non riesco a soffermarmi su qualcuno di preciso! Ma adoro prendere spunto da vecchi manifesti pubblicitari degli anni cinquanta, dai film classici o dalle ragazze della Nouvelle Vague! Spesso e volentieri le uso come reference per i miei disegni, così una perfetta casalinga che prima ci mostrava contenta un bell’aspirapolvere ora si ritrova nel cielo e in mano ha una balena, o un aereo o un edificio e il suo bel marito ora non è che una linea piena di fiori.
L’arte di Marina è la sua vita, nel senso letterale del termine. Una è la conseguenza dell’altra e viceversa. Di Marina m’impressiona la violenza, una violenza continua, cercata e necessaria. M’impressiona anche il suo voler portare l’amore ad un livello più “alto”, un livello NON umano. Spogliato da qualsiasi retaggio che abbia a che fare con il sesso e con i sentimenti per renderlo “puro”. Ma l’amore è amore perché è umano e se vuoi trasformarlo in altro sei destinata a fallire. Quando si è resa conto che la relazione con Ulay non poteva essere “più alta” dell’amore, che era gelosa di lui, che soffriva delle cose banali di cui soffriamo tutti, ha fallito. Questo suo fallimento me l’ha resa umana, fragile e di una tenerezza incredibile.
È evidente come l’incontro tra il tuo lavoro di illustratrice e la ricerca artistica di Marina Abramović nasca sotto una stella condivisa, che è quella della centralità del corpo umano. Il tuo interesse sembra volgere più volentieri verso il lato del piacere, mentre quello della performer contempla sempre (quasi di necessità) il contraltare del dolore: ci dici qualcosa di più su come hai sviluppato questo aspetto comune nel realizzare il tuo lavoro per Hop?
Piacere e dolore stanno su due barche diverse nello stesso mare. Spesso, nelle mie illustrazioni, ho usato il piacere come metodo “transitorio”, per portarmi la testa via da momenti che di piacevole non avevano nulla. Studiare Marina mi ha insegnato che invece bisogna soffermarsi sul dolore, esprimerlo e analizzarlo per poi razionalizzarlo e trasformarlo. E che posso anche disegnarlo. Esprimere il lavoro della Abramović in linee e colori non è stato semplice, disegnare una performance e mantenere la sua stessa forza è quasi impossibile. Per questo ho voluto disegnare quello che IO vedevo nella sua arte, le emozioni che sentivo io in primis. Così le energie sono diventate fiori e i corpi non erano più corpi ma figure aperte con cuori in mostra. Insomma, se non puoi riprodurre la realtà, sii surrealista, no?
A più di cinquant’anni dalla sua nascita, la performance art continua a non godere di ottima reputazione tra il grande pubblico; un destino condiviso, per certi aspetti, da una buona percentuale dell’arte contemporanea generalmente intesa. Quali sono i tuoi pensieri e gusti in proposito? Quali artisti ammiri o riescono davvero a ispirarti nel tuo lavoro?
La performance art non è popolare, nel senso letterale del termine, è difficile, fastidiosa, provocatoria e disturbante. Per questo non piace e per questo è forte. Devi davvero metterti nelle condizioni di poterla capire, devi liberarti il cervello da innumerevoli preconcetti e cliché. Anche io ho dovuto fare così! Ad esempio, prima di iniziare a lavorare sul libro, ero molto scettica riguardo alla figura di Marina Abramović, soprattutto non comprendevo il senso della maggior parte della sua arte. “Sono cose fatte per provocare” e su questa frase mi fermavo. Poi la studi, conosci il suo passato e i suoi tormenti e solo allora capisci e apprezzi. Non solo “apprezzi”, ma ti commuovi! Ti spiazza, ti devasta e, a volte, ti cura. Per ispirarmi pesco arte ovunque, nelle sensazioni che provo o che provano le persone a me vicine. Disegno ispirata dalle fotografie, dal cinema e dalla musica. Il mondo è così pieno di artisti e arte valida che non riesco a soffermarmi su qualcuno di preciso! Ma adoro prendere spunto da vecchi manifesti pubblicitari degli anni cinquanta, dai film classici o dalle ragazze della Nouvelle Vague! Spesso e volentieri le uso come reference per i miei disegni, così una perfetta casalinga che prima ci mostrava contenta un bell’aspirapolvere ora si ritrova nel cielo e in mano ha una balena, o un aereo o un edificio e il suo bel marito ora non è che una linea piena di fiori.
Giulia Rosa_The artist is present |
Immagina: proprio come in The artist is present hai la possibilità di stare a tu per tu con Marina Abramović per tutto il tempo che desideri, ma – novità! – non siete affatto costrette al silenzio. Di che cosa ti piacerebbe parlare con lei?
Del perché serve così tanto il dolore per stare bene. Ti prego, Marina, spiegamelo tu.
Se pensi ai volumi della collana Per Aspera Ad Astra già pubblicati, quale altra biografia ti sarebbe piaciuto illustrare? E su quale altra artista “visiva” ti piacerebbe lavorare? Infine: ti va di dirci qualcosa sui tuoi progetti in corso e per il futuro?
La cosa FANTASTICA della collana Per Aspera Ad Astra, è che riesce a farti innamorare di tutte le sue donne! Mi sarebbe piaciuto lavorare su Coco Chanel, o forse rimanere ancora nell’arte e raccontare una mia personale Frida Kahlo (dramma, arte e amore: praticamente cibo per la mia matita!). Una donna di cui mi piacerebbe parlare è Marilyn Monroe, perché dietro al biondo e al banale cliché c’è una delle donne più poetiche e tragiche della storia, una di quelle che ti devasta davvero. In futuro mi piacerebbe realizzare un libro personale, sull’amore e quello che ci va dietro. Poi lavoro nel mondo dell’animazione e ho un piccolo cortometraggio in programma da anni, chissà! Magari riuscirò a realizzarlo davvero, prima o poi!
Del perché serve così tanto il dolore per stare bene. Ti prego, Marina, spiegamelo tu.
Se pensi ai volumi della collana Per Aspera Ad Astra già pubblicati, quale altra biografia ti sarebbe piaciuto illustrare? E su quale altra artista “visiva” ti piacerebbe lavorare? Infine: ti va di dirci qualcosa sui tuoi progetti in corso e per il futuro?
La cosa FANTASTICA della collana Per Aspera Ad Astra, è che riesce a farti innamorare di tutte le sue donne! Mi sarebbe piaciuto lavorare su Coco Chanel, o forse rimanere ancora nell’arte e raccontare una mia personale Frida Kahlo (dramma, arte e amore: praticamente cibo per la mia matita!). Una donna di cui mi piacerebbe parlare è Marilyn Monroe, perché dietro al biondo e al banale cliché c’è una delle donne più poetiche e tragiche della storia, una di quelle che ti devasta davvero. In futuro mi piacerebbe realizzare un libro personale, sull’amore e quello che ci va dietro. Poi lavoro nel mondo dell’animazione e ho un piccolo cortometraggio in programma da anni, chissà! Magari riuscirò a realizzarlo davvero, prima o poi!
Ringraziamo Giulia per questa intervista, e se le sue risposte vi hanno incuriosito e volete saperne di più su di lei e il suo lavoro vi suggeriamo di visitare il suo profilo Instagram: @giuliajrosa.
Cecilia Mariani
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