La bambina ovunque
di Stefano Sgambati
Mondadori, 2018
pp. 144 € 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Fin dal titolo e dalla dedica, ironica e significativa ("Scusami, ma questo è per tua madre"),
La bambina ovunque lascia intendere
come oggetto della narrazione sia l'esperienza totalizzante e sconvolgente
dell'arrivo di un figlio, filtrato nell'ottica della paternità. Per il padre è diverso che per la madre:
lui non prova l'esperienza viscerale di tenere in grembo il bambino – in
questo caso la bambina –, di sentirlo crescere con sé e in sé. Vive la
gravidanza nella posizione marginale di quello impegnato a cuocere la perfetta
zuppa di ceci guardando i quiz della sera in tv, mentre la moglie frequenta un
corso di yoga e lui si sforza di tenere a bada ansie irragionevoli:
A quanto pare così è fatto un padre: insicuro e allo sbando. Sono tentativi goffi e innocenti di farsi notare su un proscenio che altrimenti tenderebbe a escluderlo. Non percepisce i movimenti fetali, non perde per quell'istante il respiro mentre capisce che un altro essere vivente lo abita, perché nessuno lo abita: così è fatto un padre, in un padre non c'è posto. Né sente la vita che arriva: se la ritrova; e in mancanza d'altro tende a relativizzare ogni cosa. [...] Nessuno che gli dica qualcosa, in molti lo ignorano. La figura della madre e dominante e assoluta, ogni preoccupazione è per lei. Ma così è fatto un padre. Nemmeno il panico gli è concesso, perché lui non porta la vita, non ha un organismo di madre da preservare, non necessita di legumi.
La prospettiva della narrazione
sarà dunque esterna e disincantata, ma non per questo meno coinvolta. Anche il padre ha paura,
spesso è afflitto dagli incubi, solo che la sua preoccupazione assume la forma
goffa e ingombrante di un San Bernardo, che nessuno prende davvero sul serio.
Compito del padre è farsi guidare dalla madre, che avanza sicura, già
confidente nella nuova situazione, come non avesse fatto altro: "rimpicciolisce, il padre, ancora di più,
mentre la madre si diffonde nello spazio, aumenta di volume e sostanza".
Per l’uomo invece è tutto l'opposto, e non capisce come la donna che ama possa
essere già in una tale relazione con "la
creatura assurda che esonderà".
Non c'è sentimentalismo gratuito,
in questo breve romanzo: la gravidanza, come anche il matrimonio, non sono
frutto del caso, della fortuna, o di un misterioso incantesimo, bensì di una
concatenazione di scelte, rinnovate giorno dopo giorno fino all'oggi. Di una
volontà precisa, che ha bisogno di una continua iniezione di energia per
restare viva, vigilante. È facile, date tali premesse, riconoscere in questo padre e in
questa madre figure umanissime, reali, e sentirle vicine. Soprattutto il padre
che non si sente tale da subito: lui si sente ancora giovane uomo, tuttalpiù
figlio. Il salto della barricata richiede un percorso di accettazione non
rapido, né così scontato. Per diventare genitore come prima cosa bisogna
tornare al passato, al proprio padre, alla propria madre, capire com'erano,
come si può essere rispetto a loro, a quel
modo di essere genitori ("Oggi non
conosco nessuno - nessuno - che sia madre così, che sia padre così").
Via di fuga dalle preoccupazioni, intermezzo non sempre
rassicurante, è per il narratore l'"Affari tuoi" di Flavio Insinna,
compagno fedele delle ore crepuscolari, quando lei è lontana e lui resta solo a
badare al suo metaforico, ma ugualmente voluminoso, San Bernardo. Nei contrasti
talora inquietanti che vengono rappresentati oltre lo schermo, in cui dalla
patina luccicante dell'intrattenimento televisivo emergono frammenti di verità
stranianti, al narratore sembra di riconoscere qualcosa della propria vita:
È una dissonanza per certi versi identica a quella che al padre sembra di avvertire ogni volta che lui e la madre procedono verso il centro diagnostico per l'ennesimo controllo ecografico: entusiasmo e senso di morte, curiosità e il suo opposto, dinamismo e paralisi.
Man mano che la madre cresce, si espande, aumenta a dismisura anche il peso che la gravidanza occupa
nella quotidianità: "proporzionalmente
a quel ventre grottesco nessuna
conversazione, in casa, fuori, tra di lei e il padre, o con chiunque altro,
nessuna nessuna nessuna verte più su argomenti diversi dalla gravidanza".
Sgambati riesce a calare
perfettamente il suo pubblico nella descrizione, lo coinvolge nella sua
agitazione pre-natale, nella sua pila di domande accatastate e senza risposta,
nella necessità di ridefinirsi di fronte a un evento straordinario (ovvero completamente
fuori dall'ordinarietà della vita precedente). E se inizialmente, perfettamente in linea con il
padre nel constatare la pervasività
assoluta della creatura in arrivo (la bambina, appunto, ovunque), il lettore viene contagiato dall’angoscia della
procreazione, ecco però che gradualmente anche lui prende confidenza con
l'idea, familiarizza con il nuovo ruolo, toccato a un altro e che però un
giorno o l'altro potrebbe capitare a lui (o è già capitato, e all'improvviso
scatta l'immedesimazione, la solidarietà). L'opera, del resto, non è settoriale
o esclusiva, e per questo parla anche alla lettrice: forse questo scritto, che
più che romanzo è memoir, diario di
viaggio, è un appello a tutte le
potenziali madri perché si ricordino che il percorso si fa in tre: la mamma, il
bimbo in arrivo, e il papà, quello strano accessorio a corredo, di cui tutti
tendono a dimenticarsi:
"Lui è quello più indietro. Il padre. L'estintore rosso al muro subito appresso alla Gioconda."
"Il padre, comunque trattato come una stalla adiacente alla chiesa."
"Una coppia stranissima, ma una coppia, lei la donna, io la larva."
Per tutti è un sollievo avere la conferma che a un certo punto il
San Bernardo si tranquillizza, e giunge la consapevolezza, nel guardarsi
dall'esterno:
Niente di speciale: solo due coniugi che aspettano di diventare genitori, un ex ragazzo e un'ex ragazza che stanno parlando di un meccanismo grandissimo che ancora non sanno come funziona. Sorrido, nell'oscurità: se quell'adolescente che pensava di assomigliare a Brandon Walsh ha imparato a essere adulto, questo adulto può imparare a essere padre.
Dal momento dell’accettazione il panico può lasciare spazio al
sorriso, dispiegato attraverso l'evocazione della madre che, in procinto di
partorire, esce con altre madri ugualmente incinte, "e tutte insieme potrebbero partorire a piazza del Duomo, tra i piccioni
e i cinesi, trasformandosi in un perfetto soggetto per un'installazione
artistica contemporanea sulla fertilità".
Eppure, anche se il testo è a
tratti ironico, non c'è in esso nulla di leggero: è anzi denso, spesso duro,
impietoso, comunque toccante – in un modo o nell'altro. Soprattutto nella seconda
sezione, quando l'autore sonda il proprio dolore passato - il costo emotivo, per la
coppia e per i singoli, della generazione di un figlio, di quella figlia. È la seconda parte che dà senso e luce alla prima:
la completa, la integra, in qualche modo la riscatta. Giustifica le
sensazioni del padre e finalmente lo capiamo davvero. Finalmente, soprattutto,
capiamo il nostro iniziale disagio,
derivato da un eccesso di verità non semplice da accettare e digerire. È questa
overdose di verità, questo sovraccarico emotivo, gestito però con intelligenza
e disincanto dall’autore, che ci porta a tratti a dimenticare che il libro è in realtà una grande
dichiarazione d'amore, un inno alla femminilità:
Ed era così bella, magnificenza e la moglie mia, nient'affatto mia ma del mondo, dal mondo venuta a concedere se stessa, eppure anche mia, bella, bellissima, non posso fare a meno di evidenziarlo, di concederglielo, perché aveva ragione lei, con tutta quell'insistenza, tutto quel sognare e guardare avanti, così oltre il limite massimo della mia stessa capacità di visione E forse dello stesso volere biologico.
Di questo amore sono oggetto tanto la moglie quanto la figlia,
appena nata, e poi già proiettata nella sua età adulta ("Quanto
sei grande, quanto sei nata, quanto
sei bionda, quanto sei umana, e che paura mi fai"). La bambina immaginata ormai
grande (ma pur sempre lei, anche dopo anni) è il senso di tutti gli sforzi, di tutti
i sacrifici:
La tua esistenza ha dato profondità alla mia, come se prima il mio corpo fosse privo dell'ombra. Il risultato sei tu, adesso, nella mia libreria preferita.
E anche se Sgambati può realizzare, alla fine, che “la scelta di generare un figlio non ha tanto
a che fare col cambiare il mondo, piuttosto col distruggerlo”, ci si rende
conto che il mondo distrutto – quello scongiurato in cui la bambina non è ovunque – sarebbe stato un mondo ben triste,
ben vuoto.
Rispetto a un romanzo amatissimo e di tematica affine, Tutte le prime volte di Paolo Longarini
(qui la recensione), che descrive l’esperienza della paternità con la tenerezza
e la giocosità di chi l’ha presto trovata connaturata al proprio modo di essere
e di sentire, La bambina ovunque ci convince
in ugual misura perché ci pone di fronte all’altra faccia della medaglia, a una
realtà scomoda, ma che è importante non dimenticare. Sgambati ci ricorda infatti che esiste una
genitorialità che non risulta ovvia e "naturale", quella di chi non
ha "la vocazione", di chi impara con fatica, un giorno alla volta, ma
non per questo ama meno, anzi:
Ho odiato tutto. Mi è venuto difficile tutto. Non sono un padre naturale. Me lo sono costruito, ho imparato. Spesso l'ho fatto perché dovevo. E questo mi rende assai fiero.
Carolina Pernigo