di Sinclair Lewis
Passigli Editori, 2016
Traduzione di Teodoro Guidalberti
pp. 396
€ 19,50 (cartaceo)
La cosa che più lo rendeva perplesso era che potesse esistere un dittatore in apparenza così diverso dai ferventi Hitler e dai gesticolanti e fascisti Cesari con l'alloro sulla zucca pelata; un dittatore con il ruvido senso dell'umorismo americano di un Mark Twain, un George Ade, un Will Rogers o un Artemus Ward. Windrip sapeva essere assolutamente divertente quando parlava dei suoi avversari seriosi dalla mascella penzolante, o del miglior modo di allevare quello che chiamava il "segugio da pulci siamese". Tutto ciò - si scervellava Doremus - lo rendeva più o meno pericoloso? (p. 151)
A metà degli anni Trenta prende il potere un politico che difende il concetto di razza, si scaglia contro gli intellettuali a lui avversi, demonizza l'ebraismo, fa costruire campi di prigionia dove interna nemici politici e appartenenti a razze diverse da quella bianca, maschia e forte. Incoraggia gli uomini al vigore e alla prestanza fisica, dichiara che le donne sono destinate ad accudire il focolare domestico e a fare figli per la gloria della patria. Presentandosi come salvatore della nazione, in breve tempo limita ogni tipo di libertà politica, di pensiero, parola e espressione e trascina il suo paese in una guerra disastrosa.
- Ah papà... e anche tu, Julian, voi paranoici, siete monotematici! Dittatura? Sarebbe meglio che veniste nel mio ambulatorio a farvi visitare il cervello! Be', l'America è la sola nazione libera sulla terra. E poi... il paese è troppo grande per una rivoluzione. No, no! Da noi non può succedere -. (p. 55)
Vincitore, nel 1930, del premio Nobel per la letteratura "per la sua arte descrittiva vigorosa e grafica e per la sua abilità nel creare, con arguzia e spirito, nuove tipologie di personaggi", Sinclair Lewis è autore del romanzo ucronico di fantapolitica Qui da noi non può succedere. La storia parte da un assunto molto semplice: se a metà anni Trenta Roosvelt non avesse vinto le elezioni presidenziali e al suo posto fosse stato eletto un democratico simpatizzante dei regimi totalitari europei, come sarebbe andata?
Il presidente, Windrip Barzelius, si presenta per il partito democratico, ma fin da subito si dichiara al di sopra di qualunque distinzione politica. Per lui è importante sconfiggere la Povertà e l'Intolleranza: poco importi che lo chiamino socialista, fascista, liberale o altro. Lui persegue ideali alti. Meglio portare più cibo sulle tavole degli americani che perdersi in sterili conversazioni da intellettualoidi. I giornalisti, con i loro giornaloni, sono solo capaci a infangare la sua immagine invece di vedere quanto di buono lui stia facendo. L'America, che mai ha perso e mai perderà una guerra, può tornare a essere grande con l'impegno delle forze armate e garantendo un reddito di cittadinanza. Basta immigrati e basta essere sotto scacco degli ebrei! Tutto teorizzato nel suo scritto L'ora zero perché, e Adolf Hitler lo insegna, non si può essere statisti se prima non si è fatta un po' di letteratura, manda baluginii agli elettori che come falene cascano nella sua retorica nella speranza di un vero cambiamento per la nazione ancora piegata dalla Depressione.
Se notate delle rassomiglianze con la situazione odierna, sia da una parte che dall'altra dell'oceano Atlantico, non temete: già Federico Rampini, autore del saggio introduttivo del 2016 al romanzo, scorgeva la lunga ombra dell'attuale presidente o della democrazia illiberale che sembra trovarsi bene anche nel Vecchio Continente. La lungimiranza dell'autore che compone quest'opera nel 1936 mostra con raggelante precisione gli step con cui una tirannia viene seminata, cresce e soffoca: come un'erba infestante, il regime costruito da Windrip Barzelius finisce per tradire e sterminare anche i più accesi sostenitori.
Oltre all'indubbia preveggenza, il romanzo, come tutte le opere che trattano di regimi totalitari, pone l'accento sulla gente comune. Su chi è convinto, su chi lo era e si è pentito, su chi si è opposto fin dall'inizio e sulla categoria più diffusa di tutti: i danteschi ignavi.
Così si arrovellava Doremus, come centinaia di migliaia di artigiani, insegnanti e avvocati in una dozzina di altri stati sotto dittatura, anch'essi abbastanza consapevoli da mal sopportare la tirannia, abbastanza coscienziosi da non lasciarsi cinicamente corrompere, eppure con un coraggio non così smisurato da scegliere l'esilio o andare incontro alla prigione e al patibolo... specie che avevano "mogli e famiglie da mantenere". (p. 218)
Ci sono alcuni responsabili più di altri, si dice anche in V per vendetta, ma se uno cerca i veri colpevoli non deve fare altro che guardarsi allo specchio. I regimi come quello descritto da Lewis e come i tanti che costellano la storia mondiale, sono, sì, pensati da un ristretto gruppo, ma senza la silenziosa accettazione, senza la quiescenza della popolazione non sarebbero possibili. Così riflette Doremus Jessup, uno dei personaggi principali. Direttore di un giornale passa attraverso varie fasi in rapporto al regime: da votante contrario, a timidi tentativi di opposizione stroncati dall'omicidio del genero, all'accondiscendenza per paura fino alla ribellione e alla prigionia. Doremus Jessup è una figura proteiforme, incarnazione di tutti gli uomini che credono nel significato di scelta e autodeterminazione. Un personaggio che, anche se soccombe, non può morire e finché ci saranno dei Doremus ci sarà sempre speranza, nonostante i loro dubbi e i loro errori.
Tutti noi ci guardiamo intorno e cerchiamo di non sovraccaricare i segnali. Le parole "tirannia" e "dittatura" sembrano così démodé, relegate in un passato all'ombra di ghigliottine e cancelli che promettono come il lavoro dia libertà. Tutti noi pensiamo che non possa accadere, non a noi, non alla nostra nazione, non nel nostro tempo. Ne siamo così sicuri. It can't happen here.
Giulia Pretta