Nel cuore di Yamato
di Aki Shizamaki
Feltrinelli, 2018
Traduzione di Cinzia Poli
pp. 416
€ 19,50
Sono bastati cinque personaggi a Azi Shizamaki per condurci, letteralmente, nel cuore del Giappone. Nel titolo del suo ultimo romanzo, Nel cuore di Yamato, è racchiusa tutta l’essenza delle storie che si intrecceranno nella trama. Yamato, infatti, è uno dei tanti nomi con cui si può identificare il Giappone. Accanto a quello c’è Nihon, il più contemporaneo e diffuso, ma in una cultura millenaria e che per secoli si è cibata della sua stessa tradizione senza influenze altre, Giappone può anche dirsi Wa, così come Akitsu o Tonbo, letteralmente libellula, dall’immagine che l’imperatore Jinmu aveva pensato paragonando la forma del Paese a due libellule che si accoppiano.
Parlare di Giappone non significa soltanto parlare di etimologia e filologia (sebbene la lingua sia fittissima di sfumature di significato per ogni suo lemma). Significa parlare anche di amore per la natura, ed ecco che le diverse sezioni del libro sono tutte identificate da quelle stesse piante (mitsuba, il trifoglio, tsukushi lo strobilo di un equiseto), fiori (yamabuki, la rosa del Giappone), frutti (zakuro, il melograno) o animali (tonbo, la libellula appunto) che interesseranno, in un modo o nell’altro, la storia dei cinque protagonisti principali.
Parlare di Giappone significa anche, inevitabilmente, parlare di dedizione al lavoro. In una cultura permeata dal senso di rispetto per la collettività, l’impegno nel proprio lavoro, dal dopoguerra, ha animato lo spirito di centinaia di uomini che hanno deciso di diventare shōsha-man, lavoratori sposati con la loro azienda, per contribuire con la ricostruzione economica del Paese alla rinascita di un Giappone falcidiato dagli orrori della seconda guerra mondiale. E T. Aoki è uno shōsha-man, che inviato in Canada per volere del direttore generale della Goshima, una delle più celebri compagnie giapponesi, rinuncerà a tutto nell’ottica del sacrificio (proprio lui, il cui padre era morto di infarto a soli 45 anni per il troppo lavoro). Mentre Nobu deciderà di non piegarsi alla volontà del suo manager che voleva inviarlo in Brasile perché:
Desidero che i miei figli siano educati e istruiti in Giappone, almeno fino alla fine del liceo. Non vorrei che abitassero all’estero prima di aver studiato la loro cultura, le nostre tradizioni, la nostra storia. Non sarebbero giapponesi se non conoscessero le nostre meravigliose canzoni, la nostra originale letteratura, se non avessero sperimentato l’opulenza della nostra natura con le quattro stagioni così diverse l’una dall’altra. Per me, è un fatto di identità e radici.
È l’identità di un popolo che Nobu vuole salvaguardare e per questo decide di licenziarsi e di seguire le orme del padre, insegante in un juku, la scuola di preparazione all’ammissione al liceo o all’università, fondando la sua scuola privata. La chiamerà Tonbo, e come una libellula Nobu volerà sulle vite di molti studenti lasciando segni di amore e cultura.
Il signor Toda, dirigente alla Goshima, ha sempre amato il suo lavoro di shōsha-man. Nemmeno per un attimo ha pensato di tradire le richieste della sua azienda in nome di interessi personali e per questo ha viaggiato in lungo e in largo per il mondo, insieme all’adorata moglie, toccando tutti i continenti, quasi a voler esorcizzare l’assenza di un padre mai tornato dalla prigionia in Siberia toccatagli durante il secondo conflitto mondiale.
Parlare di Giappone significa, infine, parlare di sentimenti. La Shizamaki dà ancora una volta, in maniera più forte rispetto al suo precedente romanzo (Il peso dei segreti, dalla medesima la struttura narrativa a scatola cinesi in cui i diversi personaggi sono, in un modo o nell’altro, contenuti uno nell’altro) prova di capacità narrative senza pari. Lei, che vive in Canada dal 1981, ha forse superato quel senso di pudore che spesso interessa molti narratori giapponesi, e così con le altre due protagoniste entriamo nelle pieghe dell’animo innamorato. Con un’abbondanza paragonabile ai chicchi dello zakuro (melograno) che dà il titolo a una sezione, Yuko e la signora Toda ci racconteranno rispettivamente della felicità scoperta in un matrimonio non voluto e della passione che non si può controllare e che fa innamorare di un uomo visto per una volta in treno e mai lasciato per 56 anni.
Nel cuore di Yamato si legge con incanto e levità. Non ci si dimentica dei suoi personaggi e si fatica a tirarsi fuori dall’intensità delle loro storie. Un po’ come si fa fatica a togliersi il Giappone dal cuore dopo averlo visitato almeno per una volta.
Federica Privitera