di Rachel Bespaloff
Adelphi, 2018
(prima edizione: Brentano's, New York, 1943)
pp. 120
€ 12 (cartaceo)
€ 6,99 (e-book)
La guerra, la si fa, la si subisce, la si maledice o la si celebra; come il destino, non la si giudica. Solo il silenzio le corrisponde - o meglio, l'impossibilità delle parole - e lo sguardo ormai disincantato che Ettore morente rivolge ad Achille, o quello che il principe Andrej sembra affondare oltre la propria morte (p. 51).
Ci sono dipinti, monumenti, opere letterarie destinate a parlare nel corso dei secoli, dei millenni e a costituire la pietra fondante di intere civiltà. Una tra le più importanti è senza dubbio l'Iliade, il poema epico universalmente conosciuto che la tradizione attribuisce al cantore greco Omero, collocata attorno al 750 a.C. e che i giovani di tutto il mondo studiano sui banchi di scuola, perché proprio da quest'opera discenderà tutta la letteratura occidentale.
L'Iliade non smette di esercitare il suo fascino ancora oggi e continua a essere al centro di studi, saggi e approfondimenti. Uno dei più belli sui quali mi sia capitato di posare gli occhi è senza dubbio quello della scrittrice di origine bulgara Rachel Bespaloff, intitolato proprio Sull'Iliade, pubblicato per la prima volta a New York nel 1943 per le edizioni Brentano's con una prefazione di Jean Wahl e riproposto oggi in Italia da Adelphi. Ma procediamo con ordine.
Nessuno di noi, oggi si aspettava più un saggio su un'opera come l'Iliade capace di tale forza, di tale lucidità e profondità di vedute.
Con queste parole il New York Times nel 1943 annunciava entusiasticamente la pubblicazione del saggio della Bespaloff, uno studio dell'opera omerica non meno attento e accurato di quelli che lo hanno preceduto e di quelli che lo seguiranno, ma che adotta una prospettiva nuova e innovativa, frutto di paragoni e similitudini tra altre opere (come la Bibbia e Guerra e pace) e tra gli eroi epici e quelli della cristianità e della letteratura russa (tra tutti spicca il bellissimo paragone tra Teti e la Vergine Maria).
E nell'Iliade (come nella Bibbia e in Guerra e pace) la vita è essenzialmente ciò che non si lascia valutare, misurare, condannare o giustificare dal vivente. Essa giudica se stessa solo prendendo coscienza della propria ineffabilità (...). All'eterna cecità della storia si contrappone la lucidità creatrice del poeta che indica alle generazioni future eroi più divini degli dèi, più umani degli uomini (p. 22).
La casa editrice Adelphi evidenzia le forti affinità che persistono tra la Bespaloff e Simone Weil, scrittrici entrambe ebree di lingua francese che nello stesso periodo si dedicarono a studi sull'Iliade.
Due donne, due intellettuali che hanno avuto un percorso di studi parallelo, due scrittrici che, seppur non si siano mai incontrate, hanno analizzato con lucidità e interesse la medesima opera e ne hanno tratto dei saggi diversissimi: per la Weil l'Iliade è il poema della forza, per la Bespaloff è l'opera che incarna la resistenza.
Per quest'ultima è proprio la resistenza ad essere incarnata da Ettore:
Ettore è il custode delle felicità periture. La passione per la gloria lo esalta senza accecarlo, lo sostiene là dove la speranza lo abbandona. «Io lo so bene nel cuore e nell'animo: verrà un giorno che perirà la sacra Ilio». Ma ha imparato da sempre a essere forte: «Combattere in prima fila tra i troiani», questo è il suo privilegio di principe (p. 11).
A Ettore si contrappone Achille, dipinto con tratti egualmente eroici, ma mosso da uno spirito ben diverso rispetto a quello del principe troiano: dalla furia, dalla sete di vendetta, da una voglia di sopraffare il nemico che non conosce quasi la pietas, ma che si piegherà alla fine soltanto di fronte alla supplica del re di Troia, l'anziano Priamo, di restituirgli il corpo del figlio da lui valorosamente sconfitto e ucciso:
Niente è penoso per Achille, tutto lo è per Ettore (p. 12).
L'aspetto che però mi ha maggiormente colpito del saggio Sull'Iliade è senza dubbio l'interpretazione innovativa del poema omerico, ovvero la capacità della Bespaloff di scovare delle similitudini assai pregevoli tra gli eroi e gli dei greci e gli altri personaggi di opere fondanti della nostra cultura, quali la Bibbia e le storie raccontate da Lev Tolstoj. A proposito di Teti, ad esempio, l'autrice immagina lo strazio della ninfa e lo paragona a quello della Vergine Maria, entrambe addolorate dalla consapevolezza che il futuro dei loro figli sarà pregno di sofferenza:
E Teti non è mai la madre orgogliosa dell'eroe trionfante, ma sempre la madre straziata del figlio agonizzante. Nelle struggenti immagini di virginale maternità che Omero ci ha lasciato si può forse scorgere l'origine profonda del culto della Vergine (p. 26).
E ancora, più avanti nel corso della narrazione scorgiamo uno splendido paragone tra Elena di Troia e Anna Karenina:
Omero è stato implacabile verso Elena quanto Tolstoj verso Anna. Entrambe sono fuggite nella speranza di cancellare il passato per costruire un amore che fosse solo amore. Entrambe si ridestano in esilio, e provano solo una viva ripugnanza per quello che sembrava il sogno, l'estasi, il massimo raggiungimento dell'esistenza: la promessa di liberazione si è tramutata in servitù, l'amore non obbedisce più all'amore, ma a una legge più antica e più crudele (...). Elena nel suo palazzo a Troia, Anna nella stazione dove si getterà sotto un treno si ritrovano di fronte al proprio sogno infranto, senz'altro di cui accusarsi se non di essersi fatte ingannare dalla dura Afrodite (p. 30).
Infine, un'ultima bellissima similitudine (ma ce ne sarebbero moltissime altre da menzionare) è quella costituita dai personaggi di Petja, il più piccolo dei fratelli Rostov protagonisti di Guerra e pace, e Polidoro, uno dei figli del re della città di Troia, Priamo:
Niente illustra meglio la profonda affinità tra il poeta greco e il poeta russo della somiglianza fraterna tra Petja, il minore dei fratelli Rostov, e Polidoro, il figlio più giovane di Priamo. Entrambi, sfidando bellamente il divieto di battersi, eludono la sorveglianza e si gettano nella battaglia in cui verranno falciati. Allo scatenarsi meccanico della brutalità, Omero e Tolstoj si limitano a opporre la grazia scanzonata di un adolescente che attraversa le linee nemiche giocando a fare la guerra (pp. 59-60).
Dunque, cosa ci si deve aspettare colui che vorrà leggere questo breve saggio su una delle opere letterarie più conosciute al mondo?
Sull'Iliade non aggiunge nulla di quello che già sappiamo sulle gesta degli eroi omerici, non analizza (più di quanto non sia stato fatto) il comportamento capriccioso degli dei e degli uomini che vissero e combatterono ai tempi della guerra di Troia.
Sull'Iliade non aggiunge nulla di quello che già sappiamo sulle gesta degli eroi omerici, non analizza (più di quanto non sia stato fatto) il comportamento capriccioso degli dei e degli uomini che vissero e combatterono ai tempi della guerra di Troia.
La bellezza di questo scritto di Rachel Bespaloff risiede però, a mio parere, nello sguardo innovativo dell'autrice che le ha consentito di fare un lucido confronto mai tentato prima tra l'opera e le altre storie che costituiscono in egual maniera ma in modo differente delle fondamenta per la nostra cultura e per il pensiero occidentale.
Con un'accuratezza senza eguali veniamo trasportati ancora su quei campi di battaglia e all'interno di quelle città antiche, ma per la prima volta assistiamo alle gesta di eroi e dèi che si riflettono come in uno specchio con le azioni di personaggi che mai avremmo pensato di accostare loro.
È per questo motivo che vale la pena spendere un po' di tempo per scoprire o riscoprire questo piccolo saggio, per capire come, a distanza di millenni, Omero non abbia ancora smesso di parlarci, di insegnarci la pietas, di farci penetrare nei più reconditi recessi dell'animo umano, ché in fondo è questo il valore della buona letteratura, possedere tanti significati quante sono le volte che la si rilegge, essere costituita da milioni di sfaccettature, di sfumature che mutano a seconda della luce con le quali le si osserva.
Le mura di Troia quando appare Elena, la tenda di Achille quando entra Priamo sono luoghi di verità in cui diventa possibile non il perdono dell'offesa, ignoto all'antichità, ma l'oblio dell'offesa nella contemplazione dell'eternità (p. 72).
Ilaria Pocaforza