Dizionario inesistente
di Stefano Massini
Mondadori, 2018 (prima ed.)
pp. 211
pp. 211
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9,99 (epub)
Due testi di inedita edizione giacciono impilati su un
frammento di scrivania. Sotto, occultato dall’altro che gli si è arrampicato sul
dorso – pratica a cui, ammetto, ho contribuito – la nuova edizione di Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana, mescolamento
in suadente plurilinguismo del chiacchiericcio di provincia, univoca espressione di un’Italia fabbricata per
accumulo di monadi. Sopra, adagiata, l’opera di Stefano Massini, autore della
celebrata Lehman Trilogy, ultima regia
teatrale di Luca Ronconi. Il proposito segnala la composizione di un Dizionario Inesistente.
Il teorico Roland Barthes azzarda, tra le pagine de Il grado zero della scrittura, una sorta
di regime delle cose che innerverebbe il romanzo ottocentesco. Descritte sin
nei particolari più minuti e infine meschini, ammirate, contemplate per pagine
intere, le cose (saccheggiando la
categoria al romanzo di George Perec, Le
cose. Una storia degli anni Settanta, Einaudi, tr. L. P. Caruso) colonializzano
il racconto. Le figure che vi sciamano intorno, le tastano e le scrutano,
sono molteplici, scambievoli: un Goriot padre vale una Bovary consorte. Alla proposta interpretativa sottende un
rovescio: le cose non sono parole. Si può nominarle, certo; non si fa altro.
Chi leggendo I miserabili di Hugo non
è annientato e sublimato a un tempo dalle architetture che di volta in volta
invadono l’epica minuscola di Valjean e Napoleone? Il buon Charles Bovary
affonda il dolore nelle lettere dell’amata, le trova materiche nello «scompartimento segreto di uno scrittoio di
palissandro», annota Flaubert tra le pagine conclusive della Bovary.
Ovunque tiranneggi una cultura dominante, una contro-cultura
è in agguato: si nutre di risentimento sino a presentarsi nell’abito
dell’avanguardia. Alfred Jarry, il surrealismo, il movimento Dada – infine, l’Ulisse di James Joyce. La letteratura
diviene riflessione del e sul linguaggio. Il secondo dopoguerra
osserva una bizzarra contesa-intesa: Alberto Moravia intesse dentro la presunta
aridità stilistica l’imperscrutabile abisso cui è costretta l’esistenza; Pier
Paolo Pasolini innerva di dialetto episodi di borgata. Il Gruppo 63 – Nanni
Balestrini, Alberto Arbasino, Elio Pagliarani, Tati Sanguineti, più
marginalmente Giorgio Manganelli, alcune delle figure – strappa e sutura
letteratura macchinica. Il circuito del linguaggio ritrova nelle proprie
controcondotte, nella dissidenza di chi persegue l’invenzione, un tentativo di
descrizione dell’inesplorato.
«La lingua», scrive Massini in prefazione al suo Dizionario, «è materia lavica, in
continuo movimento. Noi ci esprimiamo in quanto creature vive, noi parliamo con
lo specifico fine di migliorarci l’esistenza» (p. 13). Tralasciati i
miglioramenti dell’esistenza, qualunque siano, degno d’interesse che proprio un
testo dedicato alla relazione tra le parole e alcuni orientamenti dell’epoca
contemporanea si serva della più in-significante retorica da elzeviro di
quotidiano generalista. Quest’ultima ha molti pregi – su tutti, un quasi
unanime consenso; l’ombra dell’innocenza, etc. – ma un solo, imponente difetto:
l’assoluta tautologia entro cui agisce. La retorica non parla che a se stessa.
Le voci del dizionario rimandano singolarmente al racconto che ne ha permesso generazione.
“Nazinarsi”, ad esempio, «verbo intransitivo. Derivato dal massacro di Nazino
[…] azione di chi si abbandona gratuitamente al proprio peggiore istinto» - dai
chiari ed encomiabili intenti politici – esibisce come in prefazione la propria
genealogia, l’affare di Nazino, presentata tra il pedagogico e il pedestre. Una
voce tra tante, pescata nel gioco di uno spalancamento casuale e subitaneo.
Null’altro, segue; se non ancora una favola, un lemma, sino
alla zeta di “Zeissiano” – al lettore, l’audacia di esplorarne l’eponimo. La
narrazione è interrotta. “Dalla vita”, affermerebbe Massini, territorio entro cui
la lingua «si crea, si cambia, si riscatta, si adatta, si modella, si tradisce,
si amplia, si bestemmia e», chissà come, «si riabbraccia». Ma le parole del Dizionario si radicano nel suolo della genealogia;
vi si ancorano in una sterile erudizione professorale. Sino a sclerotizzarsi in
lettera morta.
Antonio Iannone
Antonio Iannone