di Alfred Douglas
Elliot, 2018
Titolo originale: The Collected Poems of Lord Alfred Douglas
Traduzione e cura di Silvio Raffo
pp. 182
€ 18,50 (cartaceo)
Quella tra Oscar Wilde e Lord Alfred Douglas, detto Bosie ("il ragazzo di rosa"), fu una relazione tormentata, all'insegna della passione e della reciproca dipendenza degli amanti. Una relazione funestata dallo scandalo che si sarebbe abbattuto su Wilde e che l'avrebbe portato ad essere processato per condotta immorale e condannato a due anni di lavori forzati e prigionia nel carcere di Reading. Leggendo il De profundis, incredibile lettera morale da lui destinata a Bosie durante la detenzione, ma anche guardando alla semplice biografia dei due protagonisti, sembra non esserci dubbio su chi dei due abbia scontato maggiormente un rapporto disfunzionale, spesso conflittuale, eppure sempre totalizzante, mai dimenticato o dimenticabile da nessuna delle parti coinvolte. Eppure, oltre a Wilde, anche lord Alfred avrebbe pagato. Avrebbe pagato con un'etichetta: quella del giovane capriccioso e viziato che per vendicarsi di un padre padrone avrebbe condotto alla rovina il più anziano e ingenuo amante, trascinandolo dal vertice della sua carriera, dall’apice della fama, nella più profonda rovina. Avrebbe pagato soprattutto con una damnatio memoriae che, inizialmente riservata alla persona, avrebbe presto coinvolto anche la sua produzione poetica.
Obiettivo di Silvio Raffo, traduttore e curatore della raccolta recentemente edita da Elliot, è proprio dimostrare il valore dimenticato di Douglas, considerato non solo da Wilde, ma anche da altre voci autorevoli (come quella di George Bernard Shaw) uno dei giovani poeti più promettenti del suo tempo. Le sue poesie non sono perfette, tendono talvolta alla leziosità, come non manca di sottolineare Raffo nella sua bella prefazione, eppure su tutti i testi è esercitato un solido controllo formale che impedisce la deriva stucchevole spesso connessa alla produzione di sonetti e a temi non di rado pastorali. Un'indicazione su come affrontare la raccolta ci viene fornita da Lord Alfred stesso, che nel 1919 dedica un breve saggio critico alla "buona poesia":
Obiettivo di Silvio Raffo, traduttore e curatore della raccolta recentemente edita da Elliot, è proprio dimostrare il valore dimenticato di Douglas, considerato non solo da Wilde, ma anche da altre voci autorevoli (come quella di George Bernard Shaw) uno dei giovani poeti più promettenti del suo tempo. Le sue poesie non sono perfette, tendono talvolta alla leziosità, come non manca di sottolineare Raffo nella sua bella prefazione, eppure su tutti i testi è esercitato un solido controllo formale che impedisce la deriva stucchevole spesso connessa alla produzione di sonetti e a temi non di rado pastorali. Un'indicazione su come affrontare la raccolta ci viene fornita da Lord Alfred stesso, che nel 1919 dedica un breve saggio critico alla "buona poesia":
La buona poesia risulta dalla compresenza di due elementi: stile e sincerità. Entrambi sono requisiti di fondamentale importanza. [...] È evidente e indiscutibile che se si desidera scrivere bene in prosa o in poesia, lo stile è di fondamentale rilevanza; ma dopo tutto questo equivale a dire che occorre un poeta per scrivere poesia. [...] Il poeta è invero una creatura che esprime in forma di bellezza una potente emozione che lo sovrasta, e di necessità tale emozione deve essere eccezionalmente profonda e autentica; questa è la forza motrice del suo stile senza la quale l'emozione che lo ispira sarebbe inutile e sorda.
Ecco allora che il lettore si può fare un’idea più precisa di come affrontare i testi di Douglas: dapprima con un occhio attento a cogliere l’elaborazione stilistica, la metrica, il gioco delle rime, il sistema di riferimenti, che non mancano mai, perché l’autore conosce bene la tradizione che l’ha preceduto e l’attraversa con la sicurezza di chi vuole al tempo rendere omaggio e introdurre qualche elemento di novità. All’ammirazione per la cura formale dovrà seguire poi l’apprezzamento vivo per la “sincerità” dei testi, per quegli accenti autentici che emergono dalle liriche e che, se anche non ci dicono La verità, ci dicono se non altro una verità, la verità del poeta nel tempo della scrittura. Questo vale anche, e forse soprattutto, per le poesie che parlano di (o a) Oscar Wilde. Che ci rivelano un affetto sincero, un’impossibilità di fare a meno dell’altro che va al di là e forse permette di ridimensionare tutti i tentativi di riscrivere (o addirittura negare) la storia che sarebbero seguiti, dall’una e dell’altra parte. Perché Oscar è il Travelling Companion, il compagno di viaggio a cui sempre si è costretti a ritornare, il porto che aspetta alla fine di ogni viaggio, l’approdo che dà senso al reale (“Amore! Pena! Disperata brama! / Nel buio vago verso il vasto mare / e non so più nemmeno dove andare. / Così alfine ritorno ancora a te”; “O Love! O Sorrow! O desired Despair! / I turn my feet towards the boundless sea, / Into the dark I go and heed not where, / So that I come again at last to thee”). E quando poi Wilde morirà, a relazione già finita, consumata dal tempo e dalle reciproche recriminazioni, Lord Alfred lo ricorderà con parole in cui la tenerezza è messa al servizio del ricordo:
In tutto egli scopriva grazie occulte
e gli incanti del vuoto scongiurava
e tutto di Bellezza rivestiva,
trasfigurando il mondo per magia.
Under the common thing the hidden grace,
And conjure wonder out of emptiness,
Till mean things put on beauty like a dress
And all the world was an enchanted place.
La raccolta di testi curata da Silvio Raffo consente di gettare nuova luce su un personaggio complesso, che sicuramente non è stato sempre corretto, né giustamente riconoscente nei confronti di quello che, oltre che amico e compagno, fu anche maestro e punto di riferimento intellettuale. Eppure, leggendo con attenzione e una temporanea sospensione del pregiudizio le sue poesie (perché, diciamocelo, abbiamo sempre parteggiato tutti per Oscar!), intuiamo qualcosa di diverso e ci troviamo ad accettare volentieri l’idea che forse le situazioni e i sentimenti non fossero così netti e univoci come li avevamo sempre considerati. E ci troviamo un po’ commossi ripensando a questa storia osteggiata, a questo amore difficile “that dare not speak its name” (“che il suo nome non osa pronunciare”).
Carolina Pernigo