Il giro del mondo in 80 alberi
di Jonathan Drori
illustrazioni di Lucille Clerc
traduzione di Lucia Corradini
L’ippocampo, 2018
pp. 240
€ 19,90
di Jonathan Drori
illustrazioni di Lucille Clerc
traduzione di Lucia Corradini
L’ippocampo, 2018
pp. 240
€ 19,90
Avete presente Ci vuole un fiore, la filastrocca di Sergio Endrigo? Iniziava ricordando che «le cose di ogni giorno raccontano segreti a chi le sa guardare ed ascoltare», e prima di concludere che «per fare tutto ci vuole (per l’appunto) un fiore» diceva alcune cose molto logiche sul rapporto tra tavoli, legno, frutti, semi e… alberi. Chissà quante volte, da bambini, l’avete canticchiata durante i vostri giochi! Beh, il consiglio è quello di farne un veloce ripasso, perché potrebbe confermarsi la colonna sonora ideale per leggere Il giro del mondo in 80 alberi di Jonathan Drori, appena pubblicato nella sua versione italiana da L’ippocampo: un vero e proprio viaggio intorno al globo condotto attraverso le specie arboree più rappresentative dei cinque continenti, splendidamente arricchito dalle illustrazioni di Lucille Clerc, al perfetto crocevia tra scienza e romanticismo.
Per scrivere un libro come questo non bisogna avere (solo) il classico “pollice verde”, ma un grande cuore. Anzi: un grande cuore spezzato. È così che si sente il piccolo Jonathan quando un fulmine pone fine all’esistenza di un meraviglioso cedro del Libano che da sempre “abitava” nei pressi della sua casa londinese. Ed è così che si sentono soprattutto i suoi genitori, un ingegnere e una logopedista accomunati dall’amore per la natura che fin dalla più tenera infanzia insegnano a lui e a suo fratello come in ogni albero, ben oltre la cellulosa e la clorofilla, si nasconda un mondo intero, ricco di storia e di cultura. L’evento, drammatico e allo stesso tempo spettacolare, segnerà per sempre quel bambino cresciuto vicino ai Kew Gardens, i giardini reali alle porte di Londra: una vera e propria “illuminazione” che sa di segno del destino, se è vero che poi, diventato adulto e ambasciatore del WWF, Drori ne sarà l’amministratore fiduciario per quasi un decennio.
Dopo anni passati a studiare e abbracciare tronchi (ma non tutti i fusti sono così socievoli, anzi!), Drori ha dunque pensato di compilare un autentico florilegio in loro onore, selezionando poche decine di esemplari tra le 60.000 specie distinte a oggi esistenti e dedicando a ciascuna una scheda di presentazione più simile a una biografia in miniatura che a una disamina botanica in minore. Un compito evidentemente non semplice, e che già la dice lunga sulla competenza dell’autore ma anche sulla sua trascinante vis affabulatoria. La trattazione raggruppa dunque le varie specie a seconda della regione geografica di appartenenza, e l’esplorazione dei continenti viene condotta seguendo i punti cardinali e le aree climatiche. La formula narrativa prescelta, poi, è assolutamente vincente: rigore scientifico e gusto dell’aneddoto sono presenti in parti uguali, e più si legge più si ha la sensazione che Drori – convinto com’è che in dentro ogni albero ci sia un mondo «che non solo merita di essere apprezzato, ma spesso ha anche bisogno della nostra protezione» (p. 9) – ci stia presentando ogni volta un suo amico o un suo parente. L’accostamento antropico, dopotutto, non deve affatto apparire strano, perché non a caso «le storie di alberi più appassionanti sono quelle in cui uno stralcio di botanica rivela inaspettate ramificazioni umane» (p. 9). E questo in ogni senso: dunque nel bene come nel male, in uno sforzo per la sopravvivenza che somiglia sempre a una lezione di equilibrio e circolarità, come è ben riassunto già nell’Introduzione:
«impossibilitati a fuggire dagli animali che se ne cibano, gli animali producono sostante chimiche sgradevoli come deterrente. Trasudano gomma, resina e lattice per annegare, avvelenare e immobilizzare insetti e altri aggressori, oltre che per escludere funghi e batteri. Questi loro mezzi di difesa ci procurano gomma da masticare, gomma da cancellare e l’incenso, pregiata merce di scambio fin dall’Antichità» (p.9).
Quelle raccontate da Drori sono spesso storie di record e vocazioni: il legno di guaiaco e di mopane, per esempio, sono entrambi troppo densi per galleggiare, e se il primo è il più duro e pesante al mondo, le eccellenti qualità acustiche del secondo lo rendono adatto per costruire sassofoni e clarinetti; il cocco di mare, da parte sua, produce frutti che contengono il seme più pesante in assoluto tra quelli esistenti (arriva addirittura a 30 kg!), mentre il bosso comune è la pianta ideale per l’arte topiaria e le siepi labirinto; la pycnandra acuminata, invece, secerne una linfa azzurra collosa composta all’11% da nichel, vantando la più alta concentrazione in natura di questa sostanza. Non mancano, ovviamente gli aneddoti: sapevate che il salice è una pianta da sempre associata alla superstizione e che oggi invece scongiuriamo i malanni grazie alla salicina della sua corteccia, potente analgesico e antipiretico? Sapevate che le mele cotogne sono il vero frutto dell’amore e che è molto poco probabile che quelle adagiate sulle nudità di Adamo ed Eva fossero davvero foglie di fico? E che, ben prima del rossetto, il betel veniva usato per colorare le labbra di un rosso seducente (pazienza, poi, se i denti diventavano neri)? Ancora, per i sommelier che leggono questo commento: a quanto pare fu il celebre monaco vinificatore Dom Pérignon a consacrare l’utilizzo dei tappi di sughero nel XVII secolo, nella stessa Europa in cui il “sangue di drago” della dracena di Socotra era considerato magico e dotato di proprietà taumaturgiche, e dunque prescritto per le malattie gravi e filtri d’amore rinfrescanti per l’alito (non a caso lo si usa ancora per collutori e per uso topico su eruzioni cutanee e piaghe).
Tra un albero e l’altro, ovviamente, c’è anche tanta letteratura. Drori lo sa bene, e non manca di attirare nel bosco i suoi lettori disseminando sassolini e molliche di pane. Ricordando, tanto per cominciare, che i primi libri fatti con pagine di pergamena erano protetti da una copertina fabbricata con tavolette di faggio. E che la betulla bianca, eletta nel 1988 albero nazionale della Finlandia, va sempre in coppia con l’amanita muscaria, «l’ovolo malefico, i cui corpi fruttiferi (le parti visibili sopra il terreno) sono rossi a puntini bianchi: il fungo per antonomasia di tutte le fiabe». E che dire di Proust, allora, che introdusse il tiglio nella Recherche facendo inzuppare una madeleine nel suo infuso e innescando una catena di ricordi involontari? Un’invenzione lodevole, lodevolissima, ma chissà se questo dato così aromatico e sognante reggerà lo struggimento eterno dell’ippocastano e di una celebre bambina:
«durante la Seconda guerra mondiale Anna Frank scorgeva un ippocastano da una finestra della soffitta dove viveva nascosta, ad Amsterdam. Nel suo diario scrisse che i rami spogli dell’inverno, che sicuramente sarebbero fioriti in primavera, la riempivano di speranza. Purtroppo qualcuno la tradì e lei non sopravvisse, ma quando quell’ippocastano morì nel 2010, gli alberelli spuntati dai suoi semi furono distribuiti in segno di ottimismo e come simboli viventi del desiderio di una società in cui regnassero la comprensione reciproca e il rispetto per la diversità».
Anche per la grazia del suo stile, Il giro del mondo in 80 alberi si fa ben leggere come una raccolta di racconti, e non c’è dubbio che Drori dia il meglio di sé quando si concede il lusso di espressioni metaforiche o che hanno il sapore della sentenza da meditare con cura: così gli uccelli attratti dal sorbo sono «indifferenti ai problemi di nomenclatura» e il pino bianco americano è «meravigliosamente dissoluto», mentre noi tutti abbiamo molto da imparare dal melograno («non dobbiamo sottovalutare i benefici psicologici di un frutto che, per essere consumato, richiede la nostra attenzione incondizionata»), dal kauri neozelandese («quando una pianta infestante prova ad attaccarsi, il kauri, astutamente, perde pezzi di corteccia per tenerla lontana») e dall’avocado («incredibilmente, tutti gli alberi presenti nella stessa area aprono e chiudono i loro fiori in perfetta sincronia»).
Il giro del mondo in 80 alberi è un libro che troverà terreno fertile nelle librerie degli studenti di agronomia o degli appassionati di botanica e giardinaggio: i primi, anche grazie all’appeal poetico delle illustrazioni, tempereranno la freddezza scientifica che quasi sempre caratterizza i manuali d’esame; i secondi vi troveranno invece un surplus di informazioni dotte e di curiosità. Senza contare che Drori inserisce in coda al volume, in un fascicolo di paginette azzurrine (lo sono anche quelle dell’Indice), una serie di specchietti informativi con libri e siti suddivisi per categoria: Per lettori amatoriali, Per approfondire, Per collocazione geografica, Per tematica, Fonti specializzate, Risorse online di libero accesso. La conclusione, forse anche un po’ ovvia a questo punto, è che un libro come questo sta alla perfezione sotto l’albero di Natale; un albero che, come l’autore ci ricorda, è quasi sempre un abete rosso o peccio.
Cecilia Mariani