La Fattoria Radiosa e il Centro Cooperativo
di Le Corbusier e Norbert Bézard
a cura di Sante Simone
traduzione di Mara Bevilacqua
con un articolo di Laurent Huron
Armillaria, 2018
pp. 223
€ 15,00
Tra i più importanti architetti e intellettuali europei del Novecento, Le Corbusier ha influito moltissimo sul modo in cui ancora oggi concepiamo e viviamo la città e l’architettura urbana. Tuttavia, il principale ideatore e promotore di quel modernismo che negli anni Venti ha eletto la Villa Savoye a prototipo perfetto di “casa” intesa come machine à habiter (letteralmente: “macchina per abitare”), ha ben guardato, nel corso della sua ricerca e carriera, anche alla progettazione rurale. E lo ha fatto al crocevia tra gli anni Trenta e Quaranta, in un contesto non privo di influenze ideologiche e sollecitato da Norbert Bézard, un contadino convinto che la sua Città Radiosa (1935) dovesse presto essere gemellata con una controparte campestre altrettanto “luminosa”. Gli esiti di questa riflessione sono confluiti in uno scritto dal titolo La Fattoria Radiosa e il Centro Cooperativo, elaborato a quattro mani, per l'appunto, da Le Corbusier e Bézard; la casa editrice Armillaria, confermando la sua vocazione per le rarità, lo offre oggi per la prima volta in lingua italiana, con la traduzione di Mara Bevilacqua e la cura di Sante Simone. Se le atmosfere rurali vi affascinano e se vi interessano gli studi relativi al settore, fareste bene a procurarlo: non solo e non tanto perché si tratta di una piccola chicca, ma perché vi sorprenderete a non ritrovarci nulla del sentimentalismo solitamente evocato dalle atmosfere bucoliche. Anzi, sotto quegli alberi da frutto – piantati con ordine in ossequio a un progetto di razionale funzionalità – si addensa persino qualche ombra sinistra, poco o nulla dissipata dal saggio critico che chiude il volume, a firma di Laurent Huron.
Il testo si compone di tre parti: la prima e la terza a firma di Le Corbusier (La Fattoria Radiosa e il Centro Cooperativo e La costruzione della Fattoria Radiosa e del Centro Cooperativo), la seconda, centrale, a firma di Bézard (L’Urbanistica rurale). Animati dalla convinzione che la vita campestre andasse completamente rifondata nella sua organizzazione di base, e dunque portata a un regime di massima efficienza che avrebbe coinciso anche con un surplus di desiderabilità per i suoi residenti e lavoratori, i due redassero i rispettivi “manifesti” teorici e programmatici, nei quali si assiste alla completa demitizzazione del topos riguardante “l’andare a vivere in campagna” inteso come ultima dimostrazione dello spirito romantico. Per quanto sappia di paradosso, era proprio “il fango” ciò da cui le campagne andavano liberate: rigore, ordine e razionalità a partire dalle vie di comunicazione, una nuova distribuzione degli spazi e dunque delle abitazioni, degli orti, dei frutteti e di tutte le altre architetture tipiche del vivere associato (inclusi club e teatri, da proporre in sostituzione delle osterie e delle bettole, unico svago fino ad allora presente nelle campagne distribuite attorno alla capitale). Ciò di cui entrambi si dichiaravano convinti era che una migliore gestione delle aree rurali non avrebbe potuto che giovare alle città, divenute invivibili in quanto asservite agli scopi del capitalismo economico. La convinzione, difatti, era che la campagna fosse l’altra città del futuro, e che per favorire questo controesodo fosse necessario creare l’habitat ideale per i contadini del XX secolo; un ritorno alla terra all’insegna della collaborazione e del reciproco soccorso (e non a caso nel disegno originale di copertina si vedono due fattori che si tengono per mano), secondo una prospettiva forse utopistica ma immaginata come possibile. Racconta l’architetto francese:
di Le Corbusier e Norbert Bézard
a cura di Sante Simone
traduzione di Mara Bevilacqua
con un articolo di Laurent Huron
Armillaria, 2018
pp. 223
€ 15,00
Tra i più importanti architetti e intellettuali europei del Novecento, Le Corbusier ha influito moltissimo sul modo in cui ancora oggi concepiamo e viviamo la città e l’architettura urbana. Tuttavia, il principale ideatore e promotore di quel modernismo che negli anni Venti ha eletto la Villa Savoye a prototipo perfetto di “casa” intesa come machine à habiter (letteralmente: “macchina per abitare”), ha ben guardato, nel corso della sua ricerca e carriera, anche alla progettazione rurale. E lo ha fatto al crocevia tra gli anni Trenta e Quaranta, in un contesto non privo di influenze ideologiche e sollecitato da Norbert Bézard, un contadino convinto che la sua Città Radiosa (1935) dovesse presto essere gemellata con una controparte campestre altrettanto “luminosa”. Gli esiti di questa riflessione sono confluiti in uno scritto dal titolo La Fattoria Radiosa e il Centro Cooperativo, elaborato a quattro mani, per l'appunto, da Le Corbusier e Bézard; la casa editrice Armillaria, confermando la sua vocazione per le rarità, lo offre oggi per la prima volta in lingua italiana, con la traduzione di Mara Bevilacqua e la cura di Sante Simone. Se le atmosfere rurali vi affascinano e se vi interessano gli studi relativi al settore, fareste bene a procurarlo: non solo e non tanto perché si tratta di una piccola chicca, ma perché vi sorprenderete a non ritrovarci nulla del sentimentalismo solitamente evocato dalle atmosfere bucoliche. Anzi, sotto quegli alberi da frutto – piantati con ordine in ossequio a un progetto di razionale funzionalità – si addensa persino qualche ombra sinistra, poco o nulla dissipata dal saggio critico che chiude il volume, a firma di Laurent Huron.
Il testo si compone di tre parti: la prima e la terza a firma di Le Corbusier (La Fattoria Radiosa e il Centro Cooperativo e La costruzione della Fattoria Radiosa e del Centro Cooperativo), la seconda, centrale, a firma di Bézard (L’Urbanistica rurale). Animati dalla convinzione che la vita campestre andasse completamente rifondata nella sua organizzazione di base, e dunque portata a un regime di massima efficienza che avrebbe coinciso anche con un surplus di desiderabilità per i suoi residenti e lavoratori, i due redassero i rispettivi “manifesti” teorici e programmatici, nei quali si assiste alla completa demitizzazione del topos riguardante “l’andare a vivere in campagna” inteso come ultima dimostrazione dello spirito romantico. Per quanto sappia di paradosso, era proprio “il fango” ciò da cui le campagne andavano liberate: rigore, ordine e razionalità a partire dalle vie di comunicazione, una nuova distribuzione degli spazi e dunque delle abitazioni, degli orti, dei frutteti e di tutte le altre architetture tipiche del vivere associato (inclusi club e teatri, da proporre in sostituzione delle osterie e delle bettole, unico svago fino ad allora presente nelle campagne distribuite attorno alla capitale). Ciò di cui entrambi si dichiaravano convinti era che una migliore gestione delle aree rurali non avrebbe potuto che giovare alle città, divenute invivibili in quanto asservite agli scopi del capitalismo economico. La convinzione, difatti, era che la campagna fosse l’altra città del futuro, e che per favorire questo controesodo fosse necessario creare l’habitat ideale per i contadini del XX secolo; un ritorno alla terra all’insegna della collaborazione e del reciproco soccorso (e non a caso nel disegno originale di copertina si vedono due fattori che si tengono per mano), secondo una prospettiva forse utopistica ma immaginata come possibile. Racconta l’architetto francese:
«Un giorno, a Parigi, durante una delle riunioni del gruppo Prélude, conobbi Norbert Bézard, operaio agricolo. «Corbusier, mi disse, lei ha il dovere di mettere in piedi la Fattoria Radiosa, è giusto e necessario dopo la Città Radiosa. Lei non è contadino; le mostreremo come siamo. Lei non conosce il lavoro della terra; imparerà a sapere come è fatto». Era un compito angosciante ma magnifico». (p. 30)
La Fattoria Radiosa e il Centro Cooperativo è un libro in cui gli apparati sono importanti quanto il testo principale. Non solo perché il volume è arricchito da una nota editoriale che spiega bene la genesi del lavoro, da una bibliografia mirata e da numerosi documenti originali di Le Corbusier (tutto il testo è intervallato da riproduzioni fotografiche in bianco e nero di appunti autografi, planimetrie, mappe, schemi, disegni, studi, plastici e modellini), ma anche per la presenza dell’articolo finale a firma di Laurent Huron, Le Corbusier e Norbert Bézard, dal Faisceau al regime di Vichy. Il contributo – versione modificata e ampliata di un testo già pubblicato nel 2013 – analizza difatti le idee dell’architetto francese e dell’agricoltore in relazione alla temperie culturale e politica della destra francese che, come è noto, sfociò nel collaborazionismo e nella Repubblica di Vichy, ovvero il contesto in cui Le Corbusier cercò di pubblicare per la prima volta il suo manoscritto. Una parentesi, come si intuisce, non esattamente neutrale, in cui l’efficientismo e la prospettiva “totale” del progetto rurale ben volentieri prestavano il fianco a ideologie di triste memoria. Huron non manca inoltre di ricordare come a partire dal 2015, ovvero dal cinquantesimo anniversario della morte di Le Corbusier, ben tre opere monografiche abbiano analizzato i suoi legami con gli ambienti e le idee fasciste: per quanto poco felice, ignorare la questione e sorvolare sulle connotazioni assunte dal ruralismo per l’architetto e per Bézard sarebbe «togliere al lettore la possibilità di capire il loro progetto di urbanistica totale» (p. 112). La Fattoria Radiosa e il Centro Cooperativo è dunque, a tutti gli effetti, un libro che non mitizza e non incensa, e che per il suo valore documentale e critico sarà utile agli studiosi sia di architettura sia di storia del Novecento. Un volumetto, insomma, come è sempre nello stile di Armillaria: solo apparentemente “minore”, e con la giusta dose di “provocazione”.
Cecilia Mariani
Cecilia Mariani
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