UNA DONNA CHE CONTA
di Myss Keta
Rizzoli Lizard, 2018 (prima ed.)
pp. 160
€ 15,00 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
Se lo sguardo in copertina dell’opera “UNA DONNA CHE CONTA”
(di seguito in minuscolo) edito da Rizzoli Lizard, scruti il lettore, non posso
dirlo. Potrebbe essere diretto più lontano, scrutare di lato: un paio di
occhiali da sole ne occulta qualsiasi intenzione. Più sotto, il naso, la bocca
e il mento sono vestiti della solita mascherina che ha reso iconica l’artista:
un ricamo da cui appena si rilevano le forme. La frangetta ne dissimula parte
della fronte, così che soltanto lievi porzioni del viso si esibiscano al
pubblico. Tranne che per i capelli che raggiungono il centro della schiena e
almeno per quanto lascia osservare il mezzobusto, gli occhiali e la mascherina
sono gli unici abiti che si concede. L’ostentazione velata e il velamento
dell’esibizione: con l’inedia del paradosso si potrebbe descrivere lo
“spettacolo di donna” (com’ella stessa si definisce a più riprese) che ha per
nome Myss Keta.
Come permettere a
un lettore forte, distraendolo dalla
pratica di annusare libri cartacei (la quale sostituisce a volte l’impresa
stessa della lettura), di varcare la soglia dell’immaginario di Myss Keta? Sì
che non si presenta per nulla repulsivo, anzi: è un continuo invito a lasciarsi
travolgere dalla stroboscopia di una realtà spettacolare e spettacolarizzata.
Provo una
descrizione empirica del fenomeno Myss Keta. Per chi avesse compiuto a ragione
opera di annientamento mnemonico, il 2014 ha celebrato una (per quanto
illusoria) convalescenza dal ventennio berlusconiano. Quella figura che tanto
aveva inciso nella “testa” degli italiani (per citare Nanni Moretti da “Il
Caimano”) era ormai relegata all’ombra del proprio elettorato: il Patto del
Nazareno aveva trasferito il testimone del personalismo tra le braccia di
Matteo Renzi. Il 13 ottobre, come da descrizione del videoclip, una scarica di
bassi anticipa il testo di un brano che potrebbe far da compendio ai posteri per
l’intervallo temporale di cui il 1994 è stato esordio: “Milano Sushi & Coca”.
In appena tre minuti vi è descritta con l’acuta lucidità del discorso diretto
l’intero cosmo berlusconiano, la mondanità infiltrata sin dentro la vita
politica, pur da quella provenendo; una passeggiata sulfurea tra
luoghi-feticcio e inedite tradizioni.
Singolare che il 2018
abbia proposto invece una riflessione su quell’epoca, quasi osservandola in un
mancata appartenenza, già relegandola ai manuali di storia, all’archeologia.
“Loro” di Paolo Sorrentino, debordante come le figure che ingombrano la scena,
vivifica l’ultima legislatura di Berlusconi fabbricandogli un privato su
misura: da una parte l’imprenditore tarantino Sergio Morra ascende-decade
nell’ambizione alla mondanità, dall’altra il venditore di Milano si moltiplica,
si ritira, valuta strategie private e politiche, sempre braccato dall’incombere
del decadimento.
Ciò che di
inaccorto sembra avanzare la pellicola è una certa scrittura delle figure che
occuparono le prime pagine tanto dei rotocalchi quanto dei quotidiani
generalisti: le olgettine. Un’orda di ragazzine anonime, perdute nel sibilo di
un “àmo” in sostituzione del nome-di-battesimo, recluse alla sola concupiscenza economica e di fatto, private di identità. Myss Keta, loro li descrive dal pulpito di quell’ambizione tanto comunitaria
quanto particolare, atomizzata. Perduta nella notte milanese, si appropria
della lingua, degli inviti: non per soggiogamento a qualsivoglia potere – sia
pur eterosessuale o anche solo politico – piuttosto per governo di uno “spirito
dei tempi” che gratifica gli ambiziosi, i
più ambiziosi. È il tema che sottende a ogni suo brano, il proposito che
trova in ogni fine particolare, non una discolpa, bensì una possibilità per il mezzo. Si può essere
ciò che si vuole, a patto di essere i migliori. Molto più simile a una figura
da romanzo di Michel Houellebecq; solo, lei possiede facoltà della prima
persona. Coincide con la propria voce.
Da “Milano Sushi &
Coca”, confluito in “L’ANGELO DALL’OCCHIALE DA SERA”, Myss Keta ha registrato
un secondo album per “La Tempesta”, tra le prime etichette di musica
indipendente: “UNA VITA IN CAPSLOCK”. Ambizione-esibizione-frustrazione,
lucidissimo prisma. “Oggi la vita è dura per una donna che conta”, registra
l’autrice nel brano eponimo del romanzo, un turbinio di predatori sessuali la
cui liberazione è perseguibile soltanto nell’efficacia dello stacanovismo: il
capitalismo liberista lavora per
accumulo. Di denaro, di partner, di carne.
“Una donna che
conta”, al quale «per becere ragioni commerciali non è stato possibile
applicare a tutti i caratteri […] l’utilizzo del maiuscolo» (p. 9), è allora la
biografia di una donna che esibisce con sé l’insegna dell’opulenza: dall’abito
di solo prosciutto crudo (carne su carne) alla massima “vivi ogni giorno come
se fosse Capodanno a Courmayeur”. Tutt’intorno, il fiorente mercato
spettacolar-politico, gremito di presentatori, onorevoli, direttori di casting,
la sulfurea figura che ha nome di Gabibbo. Il “sogno milanese”.
Ho deciso di urlare ciò che sono, fiera dello spettacolo di donna che vedo riflessa in questo bicchiere di prosecco quasi vuoto, fiera di tutto ciò che ho fatto per arrivare fin qui. (p. 145)
Un vero romanzo,
anzitutto: ascesa, caduta, aiutanti – l’intero “viaggio dell’eroe”. Ma l’eroina
coincide con il proprio tempo, relegando l’avversario alla semplice alterità.
Pure, un romanzo comico: come altrimenti descrivere un ventennio che si è
esaurito nell’avvento di un partito a guida di un autore satirico? Dal Salone
Margherita alle inchieste de Le Iene, dall’ostentazione della libertà-di-satira
agli editoriali di Marco Travaglio. Il comico fluisce, insinua, nondimeno è
assimilato per le proprie virtù. Contro una letteratura che troppo spesso si
rifugia al caldo della Storia perché incapace di uno sguardo al presente, o
peggio per innestare analogie tra un’epoca e un’altra (fascismi eterni,
barbarismi perpetui), “Una donna che conta” di Myss Keta è il romanzo italiano
più lucido degli ultimi anni.
Antonio Iannone
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