Tetti di Parigi
acquerelli e disegni di Fabrice Moireau
testi e poesie di Carl Norac
traduzione di Vera Verdiani
L’ippocampo, 2010
pp. 96
€ 29,90
Parigi è sempre una buona idea, Parigi val bene una messa e pure un ultimo tango. Ah, Parigi! Poche città possono vantare una mitologia e una bibliografia pari a quelle sulla Ville Lumière, e proprio per evitare di fare qualche torto involontario alla capitale francese questo commento non si prenderà nemmeno la briga di nominarle. Su Parigi è stato detto e scritto di tutto, sottospecie di narrazione, cronaca, sceneggiatura. Per non parlare delle sue innumerevoli rappresentazioni e trasfigurazioni pittoriche, fotografiche e cinematografiche. Ma qualcuno aveva mai pensato di dedicarsi esclusivamente ai suoi tetti? Si, i famosi tetti di Parigi, quelli la cui sola menzione evoca panorami mozzafiato, atmosfere sature di bellezza e finanche gusto per il voyeurismo più spontaneo. Ci siete mai saliti? Avete mai contemplato l’orizzonte di questo capoluogo dell’arte e dell’amore standovene affacciati da una delle sue caratteristiche alture architettoniche? Pare che, per chi abbia l’occasione di viverla in prima persona, sia un’esperienza che non si dimentica, ma per i meno fortunati ci sono libri che sanno essere di grande aiuto. Per esempio se ci si affida agli occhi e ai quarantacinque acquerelli di Fabrice Moireau, commentati da Carl Norac e raccolti nel volume Tetti di Parigi dalla casa editrice L’ippocampo. Non vi sentite già vittime della flânerie più contagiosa?
acquerelli e disegni di Fabrice Moireau
testi e poesie di Carl Norac
traduzione di Vera Verdiani
L’ippocampo, 2010
pp. 96
€ 29,90
Parigi è sempre una buona idea, Parigi val bene una messa e pure un ultimo tango. Ah, Parigi! Poche città possono vantare una mitologia e una bibliografia pari a quelle sulla Ville Lumière, e proprio per evitare di fare qualche torto involontario alla capitale francese questo commento non si prenderà nemmeno la briga di nominarle. Su Parigi è stato detto e scritto di tutto, sottospecie di narrazione, cronaca, sceneggiatura. Per non parlare delle sue innumerevoli rappresentazioni e trasfigurazioni pittoriche, fotografiche e cinematografiche. Ma qualcuno aveva mai pensato di dedicarsi esclusivamente ai suoi tetti? Si, i famosi tetti di Parigi, quelli la cui sola menzione evoca panorami mozzafiato, atmosfere sature di bellezza e finanche gusto per il voyeurismo più spontaneo. Ci siete mai saliti? Avete mai contemplato l’orizzonte di questo capoluogo dell’arte e dell’amore standovene affacciati da una delle sue caratteristiche alture architettoniche? Pare che, per chi abbia l’occasione di viverla in prima persona, sia un’esperienza che non si dimentica, ma per i meno fortunati ci sono libri che sanno essere di grande aiuto. Per esempio se ci si affida agli occhi e ai quarantacinque acquerelli di Fabrice Moireau, commentati da Carl Norac e raccolti nel volume Tetti di Parigi dalla casa editrice L’ippocampo. Non vi sentite già vittime della flânerie più contagiosa?
Una bella coppia editoriale, quella di Moireau e Norac. Una bella coppia, soprattutto, di non parigini (il che esorcizza subito lo spettro di una pur comprensibile partigianeria auto-celebrativa). Il primo, pur francese, è nato a Blois, con un diploma conseguito all’École des Arts Appliqués et des Métiers des Arts e una passione figurativa per tutto ciò che è paesaggio urbano e naturale, e dunque architettura e giardino; il secondo, belga di Mons, è autore di testi teatrali, di letteratura per l’infanzia e specialmente di poesie tradotte in varie lingue (nel 2009 è stato insignito del Grand Prix de la Société des Gens de Lettres a Parigi e del premio Charles Plisnier nella madrepatria). Per la realizzazione di questo volume hanno intrecciato gli sguardi nel modo a ciascuno più congeniale: Moireau ha osservato la città dall’alto, fermandola sulla carta con disegni e sfumature di colore sapientemente diluite; Norac ha osservato a sua volta il florilegio visivo del pittore, e ha composto una piccola antologia a corredo dei suoi panorami. Panorami, si badi, che non somigliano mai alle solite cartoline a uso e consumo turistico, e che privilegiano punti di vista insoliti scelti da Moireau in modo quasi rapsodico: ora del tutto anonimi ma brulicanti di vita, in cui anche la piatta invadenza di una facciata cieca può riscattarsi se dietro di lei, in lontananza, svetta l’estrema propaggine di qualche celebre monumento; ora gloriosi di una gloria anche polverosa e nostalgica, se è vero che più o meno quelle tegole, quelle finestre e quelle verande erano quelle da cui si sporgevano Chopin dalla sua prima casa, Apollinaire dal suo appartamento raggiungibile attraverso una impervia scala a chiocciola, Matisse dal suo atelier, quello in cui, nudo, gli piaceva mettersi a lavorare di fronte al cavalletto.
Quasi la città fosse un grande alveare e i suoi abitanti uno sciame variegato di insetti, il pittore ha compiuto «un’osservazione entomologica a distanza», mentre lo scrittore ha preso spunto dalle tavole per divagazioni, dichiarazioni, improvvisazioni: il risultato, come scrive lo stesso Norac, è «un libro dove decine di tetti appaiono fissati nella precisione dell’acquerello, in compagnia di testi che alla descrizione preferiscono quella poesia che i tetti spontaneamente ispirano, sia in ciò che mostrano, sia in quello che nascondono». Si pensi, per esempio, al cliché trito e ritrito delle umide soffitte parigine, sui cui lo scrittore si sofferma alla tavola 11, Un passo più in su:
«Si è fatto un gran parlare dei poeti e delle mansarde di Parigi. Per indicare un’indigenza passeggera. O la miseria. Nessuno però ha mai fatto notare che, nelle mansarde, il poeta stava semplicemente un po’ più vicino al cielo».
E come la mettiamo con il senso di completezza e appagamento che può derivare da un mosaico solo apparentemente caotico? La risposta è nel commento alla illustrazione numero 32, La bellezza del disordine:
«A Parigi il tetto è la faccia meno cartesiana della città. Brulichio di materiali, voglia di apporre una firma contro il cielo, punta, granata, cupola, volta, linea verticale, vetrata che canta la pioggia: siamo in un ignoto universo di incastri e accavallamenti. Certi pittori vi hanno visto una segreta effervescenza orientale, o magari il caos; e tuttavia niente è più parigino di questa convinzione di creare il mondo a propria somiglianza, di scegliere se stessi e di attenervisi fino al mondo successivo».
Infine, quanta curiosità e quanta inquietudine nella promiscuità degli incontri “tetto-a-tetto”, ovvero quelli che si possono fare semplicemente scostando una tenda e guardando che tempo fa, mentre in lontananza, nella finestra di fronte, si scorge qualcuno che ha appena fatto la stessa cosa. Così ne parla Norac in Vicino, vicina, all’acquerello 33:
«Ciao, vicina: ti guardo per fare due chiacchiere. Allo stesso modo che le braccia si incrociano e si disincrociano, così gli occhi, un po’ danzanti o in tralice, parlano in gerghi cifrati. Non sarà quel che si dice una gran casa però qui, come anche da te, si tocca il cielo con una mano. Hai visto che pioggerella? E quel briccone di un gatto? La tua antenna è tutta storta, ma che importa? Che fai nella vita, chi sei, in quel tuo sottotetto? Ti strizzo l’occhio, ma chissà se dalla tua tana riesci a vederlo. Volevo solo dirti che la vita è bella quando slitta, come adesso, in un altro linguaggio. Buongiorno e buonasera, a domani, o magari a mai più, vicina dell’altra sponda, dell’altro lucernario. Tra poco pioverà, ma questa è una di quella domeniche in cui merita lasciare andare gli occhi alla deriva, lontano dalle parole che appesantiscono la conversazione».
Se amate Parigi, procurate questo volume. Se una persona a voi cara ama Parigi, procuratelo per lei. Meglio ancora se ha un’indole “felina”. I gatti, è risaputo, ne sono consapevoli da tempo: «in un mondo dove tutto si misura e si giudica, resta ancora uno spazio dove fuggire, restano sguardi e passi a portata degli audaci: signore e signori, i tetti, i tetti, i tetti!».
Cecilia Mariani
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