Ritrovarsi nella foresta di Teutoburgo insieme a Varo e Arminio


Il nemico indomabile. Roma contro i Germani
di Umberto Roberto
Laterza, 2018

pp. 391
€ 24 (cartaceo)
€ 13,99 (ebook)


Il 16 d.C., nonostante il pragmatismo di Giulio Cesare che ha posto come limes romano il Reno, l’inquietante presagio che circonda la morte di Druso – figliastro di Augusto – nel 9 a.C., e la rivolta di Arminio, aristocratico cherusco integrato nell’esercito romano, da lui tradito e sconfitto nella famosa battaglia di Teutoburgo del 9 d.C., si completa l’assoggettamento della Germania, processo iniziato da Augusto nel 12 a.C. e terminato da Tiberio attraverso il suo più fidato generale, Germanico. Ed è proprio Tiberio che, temendo il carisma e il prestigio acquisiti da Germanico durante questi anni, decide di porre fine alla ultio augustea (la vendetta dei romani nei confronti del traditore Arminio) nel 17 di rinunciare a quella Germania transrenana che si sarebbe estesa fino all’Elba, per spostare di nuovo il confine al Reno, vanificando di fatto tutti gli sforzi – militari ed economici – degli ultimi 28 anni.
È questa guerra di conquista che ci viene raccontata nel libro di Roberto. Una guerra sanguinosa, costata ai romani e alle tribù germaniche centinaia di migliaia di vite e che ha visto contrapposti due diversi concetti dello stare al mondo: da un lato il mito romano dell’egemonia universale, dell’ordine del mondo secondo la prospettiva di un regno che si estendesse attraverso tutta l’Europa, di un mondo in cui si parlasse una sola lingua e in cui le insegne imperiali fossero presenti su stendardi, aquilae, monete; dall’altro l’indomabile – e indomata – volontà di libertà del popolo germanico, ancora distante dal concetto unitario dello Stato che verrà preso in considerazione forse solo col Sacro romano impero o, ancor più tardi, con l’impero asburgico in epoca moderna.

Roberto, nelle prime duecento pagine circa del suo saggio, ci trasporta nell’atmosfera dell’epoca. I fatti non vengono semplicemente riportati dal punto di vista storico, bensì narrati anche attraverso la letteratura di autori come Tacito e Ovidio, ma non solo: alla descrizione minuziosa di tattiche militari dei generali romani e di quelli germanici e a quella degli scontri campali al di là del Reno, Roberto associa le opinioni di quanti, a Roma, osservano da lontano quanto sta avvenendo lassù, in una terra oscura e sconosciuta, arida e inospitale, al confine con quello che i romani definivano Oceanus Germanicus. Quello che arriva al lettore è dunque il resoconto di un’intera epoca, di una guerra che ha il sapore del mito e di uomini – come Varo, Druso, Germanico, Arminio – nel tempo divenuti eroi. Arminio, infatti, in Germania è ancora oggi considerato il simbolo della libertà germanica, da contrapporre a quanti, nel corso della storia, hanno tentato di sottomettere lo spirito del popolo tedesco.

La narrazione storica dettagliatissima dei primi quattro capitoli, che appunto coprono un periodo storico che va dal 12 a.C. al 16 d.C., cede il passo, nel quinto capitolo chiamato, non a caso, “La rinuncia” a una summa di quanto avviene nei successivi otto secoli, fino all’incoronazione di Carlo Magno avvenuta nell’800. È questa una parte che avrei preferito venisse sviluppata maggiormente, poiché le invasioni barbariche sono uno dei motivi principali della caduta dell’impero romano d’occidente nel 476. In questo capitolo, infatti, si accenna soltanto al fatto che i popoli germanici, spinti dagli unni, premono contro i confini dell’impero, di fatto conquistando uno dopo l’altro tutte le province romane nel quinto secolo e fondando così i regni romano-barbarici. Questo è un peccato, poiché la perizia con cui Roberto ci consegna il quadro storico del periodo augusteo-tiberino è impressionante: ogni fatto storico viene ricondotto a precise cause, e ogni conseguenza viene esplorata fin nei dettagli. Perché dunque, non fare un tentativo anche con ciò che è accaduto dal 17 al 476 d.C., lasciando a sole venti pagine questo grave compito?
A maggior ragione questa domanda è da porsi se consideriamo che le altre ottanta pagine sono tutte dedicate al mito della libertà germanica attraverso il medioevo e l’epoca moderna, fino ad arrivare addirittura al primo novecento con la seconda guerra mondiale. È qui, in questo sesto capitolo, che ritroviamo le conseguenze a lunghissimo termine delle scelte di personaggi come Arminio e di battaglie come quella di Teutoburgo, elementi presi e ripresi non solo dai tedeschi ma praticamente da tutti gli europei e rinarrati secondo la prospettiva dell’epoca.
In ogni caso, al di là di questi che considero limiti a un saggio altrimenti validissimo, Il nemico indomabile è un testo di notevole spessore per chiunque sia interessato a quel coacervo di fascino e mistero che è stato l’impero romano.

David Valentini