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Laboratorio manoscritto. "Teorie e istituzioni penali" di Michel Foucault

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Teorie e istituzioni penali. Corso al Collége de France (1971-1972)
di Michel Foucault
Feltrinelli (2018, prima ed.)

A cura di Deborah Borca - Pier Aldo Rovatti

pp. 352
€ 35,00



Tutto potrebbe cominciare dall’attualità: ma se argomento è l’apparato detentivo, insieme con il carico di repressione e interdizione, insieme con il giudizio di valore, insieme anzitutto alla retorica della riabilitazione salvifica, attualità è sempre. Bisognerà allora esordire, affidandosi alle tracce che lo stesso Michel Foucault abbandona tra i  fogli manoscritti del corso presentato nel 1971-1972 al Collège de France, “Teorie e istituzioni penali”, edito da Feltrinelli nella curatela italiana di Deborah Borca e Pier Aldo Rovatti, con una sollevazione popolare che nel biennio 1639-1640 scuote le fondamenta della Normandia e della nazione francese, quella dei cosiddetti “piedi scalzi” (di cui una nota del volume segnala la precisa cronologia), subito repressa dall’intervento del potere centrale nella figura del cancelliere Sèguier. Il sovrano è sostituito, meglio, destituito dal potere civile, «al posto del re assente si presenta il corpo visibile dello Stato» (ivi, p. 87).

In che relazione sono, la Storia e l’epoca contemporanea? È il cruccio di chiunque desideri leggere Foucault senza l’appello all’autorità accademica della nuda citazione. Proprio quando sembra che l’analogia tra un certo intervento, ad esempio, pre-moderno e alcune decisioni giuridiche dell’esecutivo così prossimo da farsi contingente, ecco che la figura retorica si sottrae al proprio ufficio, sgattaiola lontano. Si credeva di possedere un’analogia e si stava invece accarezzando una allitterazione.

Di micro-eventi, risuona l’opera foucaultiana, non già di grandi lacerazioni, di spiriti-del-mondo a cavallo, piuttosto di brevi declivi che se la storiografia oblia o sottace è soltanto per il gusto di una Storia (Geschichte, annota Friedrich Nietzsche in “Sull’utilità e il danno della storia per la vita”) imbrigliata dall’ammirazione per la grandezza. Il territorio d’indagine si decentra, il fuoco diviene meno nitido e dal “monumento” lo sguardo si attarda sul “documento”, «non più [...] materia inerte attraverso la quale [...] ricostruire quello che hanno fatto o detto gli uomini» (M. Foucault, “Archeologia del sapere”, tr. it. G. Bogliolo, Bompiani), bensì organismo che detiene, nella forma del coacervo e non del Leviatano, una molteplicità di prassi. Più che il proposito di una micro-storia, quello foucaultiano è il progetto di una Storia a brandelli le cui fila si mescolino entro un gioco in cui l’archeologo del sapere, nell’impiego di perseguirle ora una-per-una, ora sussunte a un reticolo compartecipato, ora invece abbandonate e ricusate, deve non già distinguerle bensì “sistemarle” in una certa disposizione teorica.

Di rado accade di potersi insinuare, scaltri e silenti, nel laboratorio teorico di quei critici che hanno sovvertito i paradigmi del pensiero occidentale: spesso, quel laboratorio esibisce un’insegna che recita: “Non disturbare”, più spesso è occultato sotto la pedissequa replica del discorso orale: persino Foucault manifestava verso i registratori, che tanto avrebbero permesso ai suoi esegeti postumi, come un’influenza, un malcelato fastidio. A conclusione della lezione settimanale, l’aula gremita gli si precipitava alla cattedra: soltanto per ripescare lo strumento. I desideri di ricevere l'interrogativo fatale che l'avrebbe svegliato da chissà che sonno dogmatico erano frustrati da una più modesta corsa agli armamenti. Tra i meriti di “Teorie e istituzioni penali”, quello di presentare il lavorìo foucaultiano, questo lento discendere sin dentro gli archivi, sin oltre gli archivi, nella forma più licenziosa dell’appunto: il piacere è già soltanto osservare quegli scampoli di discorso vagare per la pagina, a volte indecifrabili; più indecifrabili sono, più il piacere si acutizza. «Basta aprire gli occhi» (p. 15), propone l’esordio del corso: aforisma invece che enunciato, Nietzsche invece che Aristotele.

Laboratorio, dunque, insieme con il corso successivo “La società punitiva” (a c. di D. Borca – P. A. Rovatti, Feltrinelli) del saggio sulla genealogia della prigione “Sorvegliare e Punire”, edito da Gallimard nel 1975 e in Italia l’anno successivo da Einaudi per la traduzione di Alcesti Tarchetti. Una sorta di inclinazione, ludica o accademica che sia (si spera nella prima, si è costretti alla seconda), consente di osservare quanto delle proposte foucaultiane sopravvivesse all'esodo dalle lezioni al saggio, in che interposizione, in che assetto letterario. Il sistema repressivo che avanza dall’intervento del cancelliere Sèguier alla sommossa dei “piedi scalzi”, annuncia una pagina di “Teorie e istituzioni penali”, «è collegato al capitalismo nascente», così come “Sorvegliare e punire” perorerà la causa dell’illegalismo quale risultato dell’economia capitalista, la quale necessita di un potere disciplinare al fine di interdire, reprimere, ma anche normalizzare – dunque produrre – l’identità del Soggetto.

Descriverà il corso, la differenza tra il “nuovo sistema repressivo e quello vecchio” (Foucault, Teorie e istituzioni penali, p. 129), attardandosi sulla storia giuridica del medioevo, indagando consuetudini e procedure accusatorie, tratteggiando la terminologia che infesterà l’opera foucaultiana (da saggista, articolista, docente) sino al termine imposto da morte prematura (ma quando non è prematura, la morte?). Sorvegliare, punire, reprimere, costringere, imprigionare, ma pure: circolazione, governo, capitale, potere: «La penalità è, da cima a fondo, politica» (ivi, p. 208). 

Antonio Iannone