di August Strindberg
Elliot Edizioni, 2018
Traduzione dal francese di Massimo De Pascale
pp. 96
€ 12,50
August Strindberg
(Stoccolma, 1849-1912) viene annoverato tra i maggiori scrittori svedesi.
Autore molto prolifico, la sua produzione abbraccia i più svariati generi,
dalla letteratura al teatro, dalla filosofia all’alchimia.
Animo irrequieto e costantemente
insoddisfatto, compose pagine di una creatività frenetica e potente, ma
marchiata in maniera indelebile dalle conflittuali vicende personali e dai
ripetuti fallimenti in campo sentimentale.
Pubblicato nel 1888, I segreti dei fiori raccoglie digressioni sul tema della natura e sugli animali.
Ammaliato dal reale
in tutte le sue forme, infatti, Strindberg realizza dei mosaici precisi e minuti di ciò che lo
circonda, concependo piccoli compendi curati e puntuali che traslitterano in
parole, grazie a un linguaggio appropriato e mai noioso, la linfa vitale che
scorre vivifica in ciascun essere vivente.
Ossessivo e
visionario, affascina e cattura l’attenzione del lettore che, pagina dopo
pagina, si immerge in un mondo denso di informazioni e di note.
Le tinte pittoresche
delle sue descrizioni collocano il lettore all’interno di particolari teorie naturistiche,
nelle quali l’autore illustra la vita delle piante e piccole curiosità sulla
loro esistenza. Con una ricerca
maniacale e con un senso di osservazione non comuni, Strindberg fotografa e rende visibili
i caratteri estetici e peculiari di ogni specie.
“Avevamo il narciso, Narcissus poeticus, autentico e classico, identico in tutto e per tutto a quello descritto da Ovidio nelle Metamorfosi, il cui giovane, innamorato di se stesso si trasforma in un fiore la cui corolla ha sei petali bianchi come il gesso e la corona, giallo zafferano, è striata all’interno di rosso sangue. Ero felice di contemplarli a Pentecoste, epoca benedetta dai fiori di lillà e di melo. In seguito, uno spirito audace si è accanito sulla modesta bellezza del narciso, fiore incomparabile, solo perché moriva dalla voglia di creare qualcosa di nuovo” (pp. 10-11).
In ogni capitolo Strindberg ci regala prose
ricche e vivaci, adottando uno stile informale che ben si accompagna alle
descrizioni legate al ritmo delle stagioni e alle abitudini degli animali.
Stila decaloghi sia per l’attività della pesca che della caccia:
“Vuoi pescare il persico con la canna? Ti indicherò la procedura che segue, la più semplice che esista. Non alzarti troppo di buon’ora se non hai niente di urgente da fare … dunque verso le cinque del pomeriggio, quando il solo ha appena iniziato a declinare … vai pure, ma da solo, dopo aver raccattato vermi sotto le tavole del fienile o della stalla. Scegli preferibilmente un’imbarcazione leggera a fondo piatto, con un buco al centro, da cui si possa far entrare l’acqua, vale a dire un pozzetto verticale fornito di tappo. Non portarti da fumare, prendi piuttosto tabacco da masticare e munisciti di coltello. La forma della canna da pesca importa poco … portati anche un rampino o una grossa pietra che fisserai saldamente alla prua … fa' in modo che nessuno si unisca a te, o ti segua nella ricerca”. (pp. 26-27).
Come un moderno demiurgo, conoscitore
onnisciente e tuttologo, disquisisce, passando con disinvoltura
dall’intento di voler trascrivere il canto dell’usignolo in piedi metrici agli
esperimenti della coltivazione del cetriolo in cassone per giungere poi a
dissertare sul colore dei fiori:
“Perché i fiori
hanno, in genere, colori diversi da quelli delle foglie? Mi chiedi piccolo
curioso.
Potrei rispondere in mille e una maniera e potrei anche lasciare la domanda in sospeso, dicendoti il ranuncolo è giallo perché lo è diventato. Vale a dire, siccome il ranuncolo è giallo, non c’è bisogno di cercare necessariamente un motivo utilitario per quel colore … I naturalisti moderni, che non credono né a un Creatore cosciente, né a una Creazione premeditata, interpretano in maniere diverse i magnifici colori dei fiori. Alcuni dico questo: i fiori hanno bisogno dei loro colori superflui per attirare gli insetti ed essere fecondati da loro” (pg. 63).
A conclusione del libro
l’autore nel capitolo intitolato Il mio
giardino tratta il proprio spazio di verde, in cui semina sia nel terreno,
dall’insalata, ai cavolfiori, alla cicoria, al pan di zucchero che alle patate
che in vaso, meloni, cetrioli… Lo stesso dicasi per i fiori, dai garofani alle
resede, senza tralasciare tulipani e narcisi.
Secondo i venti, il
tipo di terra, gli “ospiti inattesi” come la gramigna e i bruchi e l’avvicendarsi
delle stagioni, Strindberg adotta vari tipi di rimedi e concimi dai secchi di purin come si usa in Cina, alla
sarchiatura sino alle palizzate in paglia di riso erette nei campi, ma solo
contro il bruco della cavolaia deve costatare a malincuore che non resta
proprio che arrendersi!
“Il bruco della cavolaia è come il peccato: si continua a combattere, ma ci si rassegna dicendo: Dev’essere per forza così” (pg. 85).
Come un viaggiatore errante, Strindberg peregrina nei labirinti
della natura, attorniato da essenze e
da tinte che germogliano in un arcobaleno di immagini, di forme e di
espressioni. Un universo misterioso e pieno di alchemiche accezioni che si palesano
attraverso caleidoscopiche manifestazioni e significati molteplici.
Silvia Papa
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