di Nadia Terranova
Einaudi, 2018
pp. 200
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Non siamo qui per seppellire ma per esumare.
Ci sono fantasmi che possono condizionare la vita di una persona per sempre. O quasi. Ida, la protagonista del nuovo romanzo di Nadia Terranova, Addio fantasmi, vive a Roma con suo marito, eppure ancora sente il peso del fantasma di suo padre: infatti, da quando aveva tredici anni deve fare i conti con la sparizione dell'uomo, dopo un periodo di depressione. Non è mai stato ritrovato un corpo, né lei e la madre hanno più avuto notizie di e da lui. Eppure, ogni volta che sentono chiamare "Sebastiano" per strada, le due non possono fare a meno di pensare a lui e provare un brivido. Perché
la morte è un punto fermo, mentre la scomparsa è la mancanza di un punto, di qualsiasi segno di interpunzione alla fine delle parole. Chi scompare ridisegna il tempo, e un circolo di ossessioni avvolge chi sopravvive.
Se a questo sommiamo che "la memoria è un atto creativo: sceglie, costruisce, decide, esclude", è facile capire come una figlia tredicenne abbandonata si sia ritagliata una dimensione di ricordi particolarmente riscritti, per giustificare il proprio dolore. La madre è invece diversa: una pulsione di vita l'ha spinta a fare di tutto per «seppellire» l'infanzia di Ida e riportarla alla vita:
Da qualche tempo aveva iniziato a non perseguire nient'altro: seppellire la mia infanzia e la nostra disgrazia, farmi aprire all'estate, alla luce petulante, al sudore e a una sfrenata adolescenza, spazzare via la bruttezza e l'afflizione. E se mio padre aveva deciso di perdersi tutto questo, se non aveva voluto assistere all'inaugurazione della mia vita da femmina, tanto peggio per lui. Così diceva ogni nuovo gesto di mia madre, volto a convincermi che valesse la pena vivere e dimenticare, e io, con i miei occhi all'improvviso nudi, dopo pochi giorni avevo imparato a truccarmi per nascondere piccole vene blu su occhiaie che neppure sapevo di avere.
Non basta questa forma di rivolta della madre, disperata pur nella sua apparente razionalità, a salvare Ida da un rapporto di presenza/assenza perennemente frustrato, che si riverbera anche nel legame ormai slabbrato con il marito. Infatti, neanche frapporre chilometri tra la casa natale e il suo matrimonio è servito: se ne accorge bene Ida, quando torna a Messina per aiutare la madre, alle prese con una ristrutturazione più che necessaria. Lì non è solo il tetto a crollare: è l'intera struttura di finti sorrisi, litigi trattenuti, infelicità a malapena nascoste a sbriciolarsi. D'altra parte, quando Ida mette piede nella casa dove ha vissuto e nella stanza che è ancora ferma alla sua partenza, i ricordi tornano a fiotti e si riversano sotto forma di flashback nella narrazione. E la sua sofferenza si fa tangibile, personale e al tempo stesso estremamente condivisibile da parte dei lettori: Ida prova a far finta di niente, ma il dolore trova sempre una via per affiorare, anche quando lei fa di tutto per tenerlo a freno. E sua madre, benché apparentemente presa solo dalle faccende pratiche, vede benissimo tutto quanto, si accorge anche di come Ida cerchi riparo e ascolto in uno degli operai che stanno ristrutturando il tetto. Poco importa che lei abbia trentasei anni e lui solo venti: i due sono fratelli nella sofferenza, Ida lo ha capito vedendo la lunga cicatrice sul viso del ragazzo. Ma sarà davvero possibile una catarsi? Ida troverà riparo anche da sé stessa, dagli incubi che ogni notte la tormentano, dall'immaginazione che le fa costruire mille storie possibili?
Ogni notte uso la mia insonnia per una storia più utile, più verosimile; ma la fantasia non scalda, né scaldano i ricordi. Immaginare non serve a niente, solo a far passare il tempo dell'attesa, può tornare mio padre, tornerà in questa casa e in nessun'altra, ma è davvero esistito un uomo che chiamavo padre? Perché ci siamo rassegnate alla sua sparizione, perché non abbiamo lottato, non abbiamo sentito che fosse vivo, smemorato o confuso, perduto o segregato, ma vivo? [...] Gli oggetti non sono affidabili, i ricordi non esistono, esistono solo le ossessioni. Le usiamo per tenere la crepa aperta e ci raccontiamo che la memoria è importante, che noi soltanto ne siamo guardiani. Teniamo la ferita larga perché ci stiano dentro i nostri mali, i nostri timori, stiamo attenti che sia profonda abbastanza da contenere il nostro dolore, guai a lasciarlo vagare. Esistono solo le ossessioni, e intanto il tempo le ha rese più vere di noi.
E la ferita di Ida è larga, tanto da permettere a frustrazioni e insoddisfazioni di nascondersi dietro al trauma più grande, ma certamente non l'unico. Ma non c'è solo tormento nel romanzo: c'è una luce che Ida intravvede e che sembra promettere, se non la fine della sofferenza, almeno il recupero della propria identità. Così il romanzo si riempie di simboli, mai stucchevoli, ma certamente eventi e oggetti epifanici fanno sì che l'esperienza personale di Ida si trasformi in un cammino disperato e al tempo stesso tenace alla ricerca della salvezza. Il tutto, in pagine di vera letteratura.
GMGhioni
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