Degas parla
di Daniel Halévy
a cura di Jean-Pierre Halévy
traduzione di Tommaso Pezzato
Adelphi Edizioni, 2018
(prima edizione Éditions de Fallois, 1996)
pp. 245
€ 20,00
Un libro sulla cui copertina compaiono la parola “Degas” e l’immagine di una danzatrice in tutù: nulla di più ovvio, verrebbe da commentare, per il pittore che nella seconda metà dell’Ottocento è riuscito a regalare all’immaginario collettivo i palcoscenici e le quinte dell’Opéra National de Paris. Eppure si capisce subito che quello appena dato alle stampe da Adelphi non è il solito volume sull’artista francese. Tanto per cominciare perché già il suo titolo, Degas parla, mette in conto una componente “verbale” che suona piuttosto estranea allo stile di un personaggio noto per la sua attitudine non troppo ciarliera. E poi perché la bella Ballerina con il braccio teso appare in un formato mediale insolito, fotografico, e tuttavia a quanto pare pur sempre autografo (risale al 1895-96). Un Degas in vena di chiacchiere e addirittura con il pallino degli scatti amatoriali: possibile? Sì, se è quello conosciuto e raccontato da Daniel Halévy, figlio dei coniugi Ludovic e Louise e dunque parte di una delle poche famiglie che l’artista scelse di frequentare con piacere negli anni della maturità, in particolare tra il 1877 e il 1897, prima che le differenti posizioni sul noto affaire Dreyfus scuotessero la Francia e determinassero una brusca e dolorosa cesura (più tardi sanata) in un rapporto caratterizzato da una così affabile consuetudine.
Parigino, classe 1872, Daniel avrebbe fatto carriera in qualità di storico, saggista e traduttore, ma durante la fanciullezza, quando l’amico Edgar si presentava a pranzo o a cena per poi trattenersi nel salotto della casa dei suoi, tenne con cura un diario nel quale appuntarne l’occorrenza delle visite e le peculiarità dello stile di conversazione, fatto di silenzi eloquenti, sentenze fulminanti e… addirittura qualche risata. Per un curioso gioco del destino, anche lui, come Degas, sarebbe diventato quasi del tutto cieco in vecchiaia, e così nel 1960, due anni prima della morte, dettò una versione di Degas parla: quella pubblicata oggi da Adelphi è la versione italiana di quella apparsa in Francia nel 1995, messa a punto sulla base dei diari originali dell’autore ma arricchita con materiali inediti, rarissimi, praticamente introvabili altrove. Una vera chicca per ogni estimatore del pittore, ma ancora di più per chi voglia guardarlo attraverso gli occhi e le orecchie di un suo incondizionato ammiratore, che fin dalla più giovane età ebbe il privilegio di apprezzarne “la bella voce”.
Basta scorrere l’Indice per capire che Degas parla si presenta come un volume-mosaico, sfaccettato e fitto di contenuti perfettamente giustapposti. Oltre al corpus principale del libro – che si articola in quattro movimenti: Introduzione; Prima parte: fino al caso Dreyfus; Seconda parte: dal caso Dreyfus alla morte di Degas, 1897-1917; Terza parte: 1917-1930 – a incorniciare il tutto ci sono la bella Premessa scritta da Jean-Pierre Halévy e due testi sciolti: Grandezza di Degas, ovvero un dattiloscritto inedito che fa parte di un insieme di testi degli anni Cinquanta che compongono l’abbozzo di un libro di memorie di Daniel Halévy; Addio a Degas, cioè la trascrizione di un articolo pubblicato sul numero 61 del «Divan», risalente al settembre-ottobre 1919. Ma ancora non basta: le Appendici in chiusura promettono di deliziare il lettore con una selezione che comprende I sonetti di Degas (otto componimenti poetici del pittore, proposti in francese e con traduzione in italiano in nota), Parole di Degas (citazioni dell’artista estrapolate dai taccuini di Ludovic Halévy), Degas/Bakis (che propone la trasfigurazione di Degas nel personaggio di Bakis nell’abbozzo di un romanzo mai portato a termine da Daniel Halévy), Ludovic Halévy e Degas (stralci dalle lettere tra i due uomini) e Un lettore di Degas parla: Jósef Czapski (quattro lettere tra Daniel Halévy e il pittore polacco, suo caro amico nonché estimatore di Degas). E sono a propria volta bellissime e cariche di suggestione amatoriale le fotografie in bianco e nero riprodotte in fascicolo, scattate sia dal pittore che da Walter Barnes, oggi quasi tutte conservate presso il Musée d’Orsay o appartenenti a collezioni private. Sono ritratti degli Halévy, soprattutto, ma non mancano altri profili illustri, come quelli di Pierre-Auguste Renoir e Stéphane Mallarmé, alternati all’anonimato di due nudi di donna immortalati nelle pose crude e realistiche che caratterizzarono l’ultima maniera di un pittore che nell’impossibilità storica (e nella non volontà) di dipingere ancora Susanne al bagno preferiva celebrare la quotidianità (tanto plastica quanto oscena) della toeletta femminile.
Certo, ciò che racconta Daniel Halévy non basta a rivoluzionare certi capisaldi del mito degassiano: pur nella privatezza delle pagine di diario del giovane uomo, l’artista non manca di apparirvi con i suoi tratti, noti ai più e dunque ai posteri, di intransigenza lapidaria mista a misantropia. Ma è del tutto evidente che il sentirsi a proprio agio con gli Halévy e gli altri frequentatori della loro casa avesse su di lui un effetto rilassante. Eccolo quindi che ricorda il suo incontro con Jean-Auguste-Dominique Ingres, che disprezza senza mezzi termini l’operato dei critici e dei giornalisti – i cosiddetti “letterastri” – o che riassume o si fa leggere un racconto dall’amatissimo Le mille e una notte; ma soprattutto eccolo che discute di arte, pittura e fotografia, con il consueto divertito rigore nel mettere in posa gli amici ai fin di un qualche ritratto. È un Degas, quello descritto dal giovane Halévy, da cui imparare “la grandezza” in ogni circostanza della vita: dalle questioni espositive a quelle funebri (e si veda a questo proposito il suo contegno in occasione della morte del padre di Daniel). È anche un Degas bizzarro, capace di appassionarsi alla realizzazione di bastoni da passeggio e di spendere tutto il proprio denaro per l’acquisto di qualche dipinto, ed è questo stesso uomo che, ormai anziano, commuove per il tentativo di far convivere la quasi totale perdita della vista con il desiderio di vedere – e dunque lavorare – ancora.
Come sempre accade con le monografie o i volumi incentrati su un singolo artista, anche Degas parla è destinato a occupare uno spazio privilegiato nelle librerie di chi ama particolarmente questo pittore. E sarà un libro da tenere più caro degli altri, quasi fosse un oggetto d’affezione, perché il suo filtro narrativo evidentemente parziale e sentimentale restituisce, sì, la verve del creativo e la sua personalissima poetica, ma anche e specialmente l’essere umano, la sua interpretazione della vita e la sua postura nello stare al mondo. Con tutta evidenza, "Degas parla" ancora oggi, non solo attraverso le sue amatissime e popolarissime opere ma anche attraverso libri come questo di Daniel Halévy, distante dai lambiccamenti di certa critica sempre smaniosa di fornire letture originali e anzi esempio perfetto di un “discorso indiretto” da leggere e rileggere, in cui le uniche libertà concesse siano quelle dell’ammirazione e dell’affetto dello scrivente. Che cosa diceva, dunque, l’amico Edgar? Parli, parli pure: i suoi estimatori lo ascolteranno ancora e sempre volentieri.
Cecilia Mariani
di Daniel Halévy
a cura di Jean-Pierre Halévy
traduzione di Tommaso Pezzato
Adelphi Edizioni, 2018
(prima edizione Éditions de Fallois, 1996)
pp. 245
€ 20,00
Un libro sulla cui copertina compaiono la parola “Degas” e l’immagine di una danzatrice in tutù: nulla di più ovvio, verrebbe da commentare, per il pittore che nella seconda metà dell’Ottocento è riuscito a regalare all’immaginario collettivo i palcoscenici e le quinte dell’Opéra National de Paris. Eppure si capisce subito che quello appena dato alle stampe da Adelphi non è il solito volume sull’artista francese. Tanto per cominciare perché già il suo titolo, Degas parla, mette in conto una componente “verbale” che suona piuttosto estranea allo stile di un personaggio noto per la sua attitudine non troppo ciarliera. E poi perché la bella Ballerina con il braccio teso appare in un formato mediale insolito, fotografico, e tuttavia a quanto pare pur sempre autografo (risale al 1895-96). Un Degas in vena di chiacchiere e addirittura con il pallino degli scatti amatoriali: possibile? Sì, se è quello conosciuto e raccontato da Daniel Halévy, figlio dei coniugi Ludovic e Louise e dunque parte di una delle poche famiglie che l’artista scelse di frequentare con piacere negli anni della maturità, in particolare tra il 1877 e il 1897, prima che le differenti posizioni sul noto affaire Dreyfus scuotessero la Francia e determinassero una brusca e dolorosa cesura (più tardi sanata) in un rapporto caratterizzato da una così affabile consuetudine.
Parigino, classe 1872, Daniel avrebbe fatto carriera in qualità di storico, saggista e traduttore, ma durante la fanciullezza, quando l’amico Edgar si presentava a pranzo o a cena per poi trattenersi nel salotto della casa dei suoi, tenne con cura un diario nel quale appuntarne l’occorrenza delle visite e le peculiarità dello stile di conversazione, fatto di silenzi eloquenti, sentenze fulminanti e… addirittura qualche risata. Per un curioso gioco del destino, anche lui, come Degas, sarebbe diventato quasi del tutto cieco in vecchiaia, e così nel 1960, due anni prima della morte, dettò una versione di Degas parla: quella pubblicata oggi da Adelphi è la versione italiana di quella apparsa in Francia nel 1995, messa a punto sulla base dei diari originali dell’autore ma arricchita con materiali inediti, rarissimi, praticamente introvabili altrove. Una vera chicca per ogni estimatore del pittore, ma ancora di più per chi voglia guardarlo attraverso gli occhi e le orecchie di un suo incondizionato ammiratore, che fin dalla più giovane età ebbe il privilegio di apprezzarne “la bella voce”.
Basta scorrere l’Indice per capire che Degas parla si presenta come un volume-mosaico, sfaccettato e fitto di contenuti perfettamente giustapposti. Oltre al corpus principale del libro – che si articola in quattro movimenti: Introduzione; Prima parte: fino al caso Dreyfus; Seconda parte: dal caso Dreyfus alla morte di Degas, 1897-1917; Terza parte: 1917-1930 – a incorniciare il tutto ci sono la bella Premessa scritta da Jean-Pierre Halévy e due testi sciolti: Grandezza di Degas, ovvero un dattiloscritto inedito che fa parte di un insieme di testi degli anni Cinquanta che compongono l’abbozzo di un libro di memorie di Daniel Halévy; Addio a Degas, cioè la trascrizione di un articolo pubblicato sul numero 61 del «Divan», risalente al settembre-ottobre 1919. Ma ancora non basta: le Appendici in chiusura promettono di deliziare il lettore con una selezione che comprende I sonetti di Degas (otto componimenti poetici del pittore, proposti in francese e con traduzione in italiano in nota), Parole di Degas (citazioni dell’artista estrapolate dai taccuini di Ludovic Halévy), Degas/Bakis (che propone la trasfigurazione di Degas nel personaggio di Bakis nell’abbozzo di un romanzo mai portato a termine da Daniel Halévy), Ludovic Halévy e Degas (stralci dalle lettere tra i due uomini) e Un lettore di Degas parla: Jósef Czapski (quattro lettere tra Daniel Halévy e il pittore polacco, suo caro amico nonché estimatore di Degas). E sono a propria volta bellissime e cariche di suggestione amatoriale le fotografie in bianco e nero riprodotte in fascicolo, scattate sia dal pittore che da Walter Barnes, oggi quasi tutte conservate presso il Musée d’Orsay o appartenenti a collezioni private. Sono ritratti degli Halévy, soprattutto, ma non mancano altri profili illustri, come quelli di Pierre-Auguste Renoir e Stéphane Mallarmé, alternati all’anonimato di due nudi di donna immortalati nelle pose crude e realistiche che caratterizzarono l’ultima maniera di un pittore che nell’impossibilità storica (e nella non volontà) di dipingere ancora Susanne al bagno preferiva celebrare la quotidianità (tanto plastica quanto oscena) della toeletta femminile.
Certo, ciò che racconta Daniel Halévy non basta a rivoluzionare certi capisaldi del mito degassiano: pur nella privatezza delle pagine di diario del giovane uomo, l’artista non manca di apparirvi con i suoi tratti, noti ai più e dunque ai posteri, di intransigenza lapidaria mista a misantropia. Ma è del tutto evidente che il sentirsi a proprio agio con gli Halévy e gli altri frequentatori della loro casa avesse su di lui un effetto rilassante. Eccolo quindi che ricorda il suo incontro con Jean-Auguste-Dominique Ingres, che disprezza senza mezzi termini l’operato dei critici e dei giornalisti – i cosiddetti “letterastri” – o che riassume o si fa leggere un racconto dall’amatissimo Le mille e una notte; ma soprattutto eccolo che discute di arte, pittura e fotografia, con il consueto divertito rigore nel mettere in posa gli amici ai fin di un qualche ritratto. È un Degas, quello descritto dal giovane Halévy, da cui imparare “la grandezza” in ogni circostanza della vita: dalle questioni espositive a quelle funebri (e si veda a questo proposito il suo contegno in occasione della morte del padre di Daniel). È anche un Degas bizzarro, capace di appassionarsi alla realizzazione di bastoni da passeggio e di spendere tutto il proprio denaro per l’acquisto di qualche dipinto, ed è questo stesso uomo che, ormai anziano, commuove per il tentativo di far convivere la quasi totale perdita della vista con il desiderio di vedere – e dunque lavorare – ancora.
Come sempre accade con le monografie o i volumi incentrati su un singolo artista, anche Degas parla è destinato a occupare uno spazio privilegiato nelle librerie di chi ama particolarmente questo pittore. E sarà un libro da tenere più caro degli altri, quasi fosse un oggetto d’affezione, perché il suo filtro narrativo evidentemente parziale e sentimentale restituisce, sì, la verve del creativo e la sua personalissima poetica, ma anche e specialmente l’essere umano, la sua interpretazione della vita e la sua postura nello stare al mondo. Con tutta evidenza, "Degas parla" ancora oggi, non solo attraverso le sue amatissime e popolarissime opere ma anche attraverso libri come questo di Daniel Halévy, distante dai lambiccamenti di certa critica sempre smaniosa di fornire letture originali e anzi esempio perfetto di un “discorso indiretto” da leggere e rileggere, in cui le uniche libertà concesse siano quelle dell’ammirazione e dell’affetto dello scrivente. Che cosa diceva, dunque, l’amico Edgar? Parli, parli pure: i suoi estimatori lo ascolteranno ancora e sempre volentieri.
Cecilia Mariani
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