di Chiara Marchelli
NN Editore, 2019
pp. 240
€ 18,00 (cartaceo)
«…l’anima, se esiste, è un’entità governata da leggi incoercibili e battiti sfasati rispetto a quelli della realtà. Una sostanza lenta…..e non lascia scampo» (p.45)
L’anima di Elena è la protagonista del nuovo libro di Chiara Marchelli. Elena vive a New York con il marito Patrick, ma, dopo essere stata colpita da un aneurisma, si trasferisce in Francia, nell’Auvergne, in un paese vicino al vulcano Puy de Lúg.
«A un certo punto ci siamo detti Partiamo, semmai si torna indietro» (p. 16): una partenza che porta la coppia nel piccolo paese dove Patrick ha vissuto, nel quale ha frequentato le elementari, dove conosce tutti e tutti conoscono il suo passato.
«A un certo punto ci siamo detti Partiamo, semmai si torna indietro» (p. 16): una partenza che porta la coppia nel piccolo paese dove Patrick ha vissuto, nel quale ha frequentato le elementari, dove conosce tutti e tutti conoscono il suo passato.
Un giorno i genitori di Elena decidono di andarla a trovare durante la convalescenza e, a causa di una eruzione improvvisa del vulcano, tutti sono costretti a restare in casa, a guardarsi, osservarsi in un tempo sospeso, tra paure, incomprensioni, non detti e desideri.
L’elemento che colpisce sin dalle prime pagine è la precisione descrittiva, della malattia, dei sintomi, delle paure e dei sentimenti. Chiara Marchelli scava nell’anima della protagonista, facendo affiorare una donna, a tratti apparentemente distaccata, che si guarda dentro senza sconti. La scrittura è così precisa da far percepire sulla pelle del lettore le sensazioni e anche i malesseri provati da Elena. Le parole sempre misurate, ricercate, pesate rendono la storia ricca di dettagli e di spunti di riflessione.
Attraverso la voce di Elena, si aprono interrogativi sui rapporti genitori-figli, uomo donna, marito e moglie, sulla vita e sul senso della felicità, sul vivere la felicità e il momento:
«Sono fatti di nulla, i momenti di felicità. Una parola che non mi è mai piaciuta. Non vuol dire niente, felicità…..La felicità è un anelito mobile e impreciso, e non dovrebbe avere nome» (p.182).
Chiara Marchelli, che ho avuto il piacere di incontrare alla presentazione ai giornalisti e blogger, a tal proposito ha precisato:
«Io non penso che la felicità sia una condizione statica, ma un movimento, un’onda, un’emozione, un sentimento. E anche una spinta, una energia che spinge ad andare e a tornare, che può portare al movimento. In altre parole, io non sento la felicità come una condizione o uno stato che ha inizio e una fine, non è una geometria piana».
Elena, nel romanzo, cerca un modo per ricominciare, una strada che la porti oltre, senza rinnegare se stessa e soprattutto il suo passato; un rinnovamento possibile proprio grazie a quanto si è vissuto.
E Chiara, a una domanda posta sul suo ricominciare, ha risposto:
«Credo che ogni scelta rappresenti una svolta; per quanto mi riguarda, penso di essere in una fase di svolta profonda e questo è l’aspetto autobiografico del romanzo. Io vivo sempre con un'irrequietezza di fondo che mi ha portato a cambiare città diverse volte; è questa la mia spinta verso il benessere, la felicità».
Nel romanzo l’eruzione del vulcano, il magma che copre ogni cosa si accompagna al movimento interiore di Elena, ai suoi sentimenti, alla sua indecisione su come affrontare il futuro, su come accettare i non detti di Patrick. In questo senso si apre una riflessione sulla criticità del rapporto a due, sull’accettare i silenzi e gli abissi dell’altro. È sempre necessario sapere tutto del compagno/a? Elena, a tal proposito, sostiene che «scendere a patti con l’idea che qualcosa di profondo dell’altro ci esclude: la mia selvaticità che pretende sfogo, i suoi abissi che non ho saputo guarire» (p.193). E se «ci siamo trovati dall’inizio con la naturalezza di un respiro: l’inspirazione e l’espirazione di uno stesso movimento» (pag. 240), è naturale arrivare ad accettare che l’altro possa non dire tutto di sé e dei suoi trascorsi.
Il flusso di coscienza di Elena verso il passato, il suo continuo rileggersi dentro per poi andare oltre le permettono anche di rivalutare le debolezze della madre, e il suo sguardo si fa più morbido, più maturo e, a mio avviso, meno egoista. Si diventa adulti anche nel momento in cui i genitori, non più giovanissimi, vengono osservati e non più giudicati. Ed ecco che il dolore dei genitori è condiviso, diviene un momento per perdonare e si riesce a guardarli con occhio benevolo:
«Penso a mia madre, alle sua paure, alle mie assenze… La sua solitudine che una volta, quando era forte, sapeva ignorare e adesso, in agguato per tutti questi anni, le è piombata addosso intera, a esigere il suo scotto moltiplicato su un corpo diventato debole. La mia insofferenza, quando mi chiede troppo e invece è niente, una telefonata in più». (p. 215).
Il vivere l’attimo, il momento, il dover imparare a farlo, il sentire gli oggetti, le superfici, i contorni, sono tutti elementi che rendono questo romanzo un massaggio per l’anima.
Elena Sassi
Elena Sassi