di Frank Schätzing
Editrice Nord, 2018
Traduzione di Francesca Sassi e Roberta Zuppet
pp. 672
€ 22
Qualora mi chiedessero se possiedo una consapevolezza, rimugina Elmar soffermandosi sul pensiero che lo accompagna sin dall’inizio, la risposta sarebbe: certo che sì. Eppure non potrei dimostrarlo. Non ci riuscirei mai. Nessuno di coloro che lo affermano ne è in grado. Nessuno può invitare un’altra persona nella sua testa e darle una dimostrazione convincente del fatto che è consapevole di se stesso, che prova felicità o dolore. Siamo riusciti a misurare il cervello e a caricarlo in un computer, ma niente di ciò che trasmette un corpo biologico o un computer dimostra senza ombra di dubbio l’esistenza della consapevolezza. Nella certezza di esistere, ciascuno di noi sarà sempre solo. (p. 454)
La questione dell’incomunicabilità della propria consapevolezza –
della propria percezione del mondo, che può essere solo detta e descritta ma
mai esperita da un altro essere umano – è stato per anni tema centrale del
dibattito sulla coscienza in filosofia, e oggi è terreno di battaglia nelle
neuroscienze. Se aggiungiamo a questo il fatto che le considerazioni di Elmar,
capo della Nordvisk, società della Silicon valley impegnata nello sviluppo di tecnologie
avanzate e intelligenze artificiali (ma non solo), si svolgono proprio con il
candidato più probabile al take-off verso la singolarità quantistica, il
supercomputer Ares da lui stesso progettato, il discorso si complica. La domanda
fondamentale infatti diventa: quali sono i fattori determinanti affinché un
computer acquisisca l’autoconsapevolezza e divenga dunque in grado di dire “io
sono”?
Questo argomento è stato largamente affrontato nella fantascienza:
basti pensare alla raccolta Io, robot
di Asimov, ma anche a film come Her,
Ex machina, Matrix, la saga di Terminator
e così via. Non è insomma un tema nuovo in questo settore, e nella stragrande
maggioranza dei casi ciò che accade dopo la presa di coscienza è quasi sempre
deleterio per gli esseri umani.
Ma Schätzing, nelle sue quasi 700 pagine di romanzo, non si accontenta
di parlare di computer coscienti, e in effetti se si fosse limitato a questo ci
saremmo ritrovati davanti l’ennesimo libro di scontro fra umani e tecnologia. Schätzing
invece osa e va oltre, attingendo da praticamente tutta la letteratura
fantascientifica degli ultimi cinquantant’anni e affrontando, mescolandoli
insieme in una trama unica ma a volte difficile da seguire per gli sviluppi e
le sottotrame, tutti i temi più interessanti di questo genere. L’effetto
catapulta è micidiale: dalle prime pagine, in cui troviamo il sottosceriffo
Luther e la sua collega Ruth alle prese con un omicidio nella tranquilla Sierra
County, California, tutto accelera di botto per ritrovarci letteralmente in
universi paralleli, alcuni simili al nostro e altri no ma tutti con un elemento
in comune: Ares, appunto.
Schätzing è intelligente a evitare il viaggio nel tempo, uno dei grandi
argomenti scomodi della fantascienza – scomodo per i paradossi circolari insolubili
che crea del tipo “se John Connor non avesse mandato indietro Kyle Reese, lui
stesso non sarebbe nato, e se non fosse nato non sarebbero andati a distruggere
la Cyberdyne, e da lì forse non si sarebbe arrivati alla serie di eventi che ha
portato al giorno del giudizio” – sfruttando genialmente l’escamotage degli
universi paralleli. Seguendo la teoria dell’inflazione,
per cui all’interno dello spazio infinito esistono infiniti universi finiti
e, dunque, infinite possibilità di realtà parallele alla nostra che possono
variare anche solo per un elemento, Schätzing compie letteralmente il salto
nell’iperspazio. Ci presenta mondi alternativi più o meno probabili. In uno di
questi lo scenario futuristico presenta le caratteristiche dell’universo
dickeniano in cui uomini e androidi convivono al punto da non riuscire a
distinguere i secondi dai primi: qui troviamo altri temi fondamentali, come il
rapporto uomo-macchina, la replicazione dell’individuo, la possibilità dell’upload
della coscienza dentro un corpo sintetico (penso al film Transcendence ma anche a un paio di episodi di Black Mirror), la deriva morale di un’umanità sempre più
tecnologizzata.
Sarebbe stato curioso visitare l’universo parallelo nel quale «dal
cielo non è caduto nulla che abbia distrutto i dinosauri» (p. 410) e il cui
risultato è «una civiltà di sauroidi astronauti». Se quest’ultima frase suona
strana e fa sorgere un sorriso sulle labbra, direi che è normale: una pecca di
questo libro sta proprio nel modo in cui vengono presentati gli universi
paralleli e, in generale, tutta la teoria dietro al supercomputer Ares. Se all’inizio
del viaggio Luther si ritrova spaesato e ci mette, giustamente, un bel po’
prima di accettare di essere in una dimensione parallela – una dimensione in
cui rischia di ritrovare il suo alter ego, e tante altre cose strane –, in seguito tutto sembra scorrere molto più tranquillamente al punto di arrivare a creare
una squadra, composta da persone che hanno accesso a questa tecnologia, ma
anche da civili ignari di tutto, per andare ad affrontare i villain in
un altro universo.
È d’altronde questo il rischio di affrontare temi così al di là della
comprensione umana, e soprattutto di mescolare le conoscenze tecnologiche
presenti con quelle futuristiche. Pur con qualche momento di debolezza, in ogni
caso, Schätzing ci riesce e crea un romanzo compatto e solido la cui trama
principale, in qualche modo, riesce a tenere a bada la forza centrifuga di
tutti gli elementi che la compongono. Se poi teniamo a mente che Ares e tutta la parte sulla super tecnologia offrono un grande spunto di riflessione sulla natura dell'essere umano, sulla genesi della vita e sulle sfide che a breve dovremo affrontare, questo libro diventa degno del tempo che richiede per essere letto
David Valentini
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