Luce rubata al giorno
di Emanuele Altissimo
Bompiani, 2019
240 pp.
€ 17
“Pensi mai di essere due persone insieme?”
Ci riflettei, e alla fine dissi che non mi era mai capitato.
“Ad alcuni capita spesso” riprese. “È difficile, per loro.”
“Vuoi che torniamo a casa?” domandai.
Si sporse oltre la ringhiera del letto e mi cercò nel buio. “Ci siamo già.”
“Però qui loro mancano di più.”
Tornò a sdraiarsi e questa volta pianse a lungo. Quando parlò, la sua voce sembrava quella di una donna.
“So che mamma è in un bel posto” mormorò. Poi, prima che potessi dire qualsiasi cosa, aggiunse: “Papà no, invece.” (p. 50)
Cosa fare quando ci si accorge che una persona vicina (e poche persone
nella vita possono essere più vicine di un fratello maggiore) sta lentamente
scivolando verso la pazzia? Cosa fare quando si hanno tredici anni, si è perso
da poco i genitori in un incidente stradale e tutto quello che resta della
famiglia sembra avvolto da un’aura di disperazione e tormento?
È ponendosi queste domande e con questo spirito che ci si accorge, a
circa metà del testo, di avere a che fare con un romanzo non adatto ai deboli
di stomaco; un romanzo che, per le persone più empatiche, rischia di essere un
continuo pugno nello stomaco. Altissimo non gioca sulla trama, ché in effetti
non accade granché nel libro, ma concentra tutti gli sforzi sulla componente
emotiva, sul portare al limite estremo la tensione fin quasi a spezzare i
personaggi messi in campo.
Non a caso, per evidenziare ulteriormente questo aspetto, ci pone
davanti la mini storia del pilota William
Franklin Smith jr. che, nel 1945, andò a schiantarsi contro l’Empire state
building; in quell’occasione il pilota trovò la morte ma il grattacielo rimase
in piedi grazie alla sua capacità di assorbire gli ingenti danni strutturali. Su
questo punto vorrei soffermarmi un istante. L’utilizzo di storie parallele
serve spesso a dare enfasi a uno o più aspetti rilevanti della trama
principale, a volte in modo piuttosto didascalico come a dire “se non ci
arrivate da voi, vi do una mano inserendo quest’altro indizio”. Proprio questo
aspetto didascalico confligge a mio avviso, e non poco, con lo stile di Altissimo,
così asciutto e scarno, così dedito ai sacri mantra show, don’t tell e less is
more da richiedere uno sforzo di attenzione aggiuntivo in determinati momenti.
Cosa voglio dire con questo? Intendo dire che ci sono alcuni momenti della
storia in cui i dialoghi sembrano non avere una direzione precisa e molta dell’intepretazione
del passaggio è lasciata allo sforzo del lettore. Lo stesso accade per la parte
narrativa. Sembra quasi che un editor fin troppo scrupoloso, una sorta di Gordon
Lish del ventunesimo secolo, sia andato avanti a cesoiate, tagliando tutto
il tagliabile e, forse, anche qualcosina di più. Come fa convivere dunque le due anime di questo romanzo, la parte didascalica e quella minimale?
Il minimalismo è uno stile
di scrittura che funziona alla grande, in grado di sovraccaricare la tensione
di un testo, a maggior ragione su un romanzo che fa della tensione il proprio
cavallo di battaglia. Va però dosato e calibrato con perizia, poiché un non detto troppo criptico rischia di far saltare il gioco. Non è il caso di questo romanzo, per fortuna, tuttavia è come se l'autore si fosse trovato più volte sull'orlo di un baratro e ogni volta fosse riuscito a tornare indietro in tempo. Un esercizio che ripaga sicuramente, ma in ogni caso pericoloso.
Luce rubata al giorno è un ottimo
esordio, oserei dire un “romanzo perfetto”, con tutti i punti e le virgole al
posto giusto e una padronanza notevole della scrittura da parte dell’autore,
tuttavia in più di un passaggio ci si può ritrovare a chiedersi quale sia uno
degli elementi che vanno a costituire i capolavori,
ossia la voce. Non si tratta di mancanza di esperienza, ché Altissimo è già un autore degno di comparire sul mercato editoriale, quanto di comprendere quale sia la sua cifra stilistica. Anche leggendo in rete alcuni suoi racconti, rispetto ai quali si può notare il netto miglioramento rispetto al 2017 (complice anche l'invisibile mano della scuola Holden), ci si chiede quale sarà il percorso futuro di questo promettente autore torinese.
Resto dunque in ascolto della sua voce, che sicuramente risentiremo a breve.
Resto dunque in ascolto della sua voce, che sicuramente risentiremo a breve.
David Valentini