L’ultimo Leonardo.
Storia, intrighi e misteri del quadro più costoso del mondo
di Pierluigi Panza
UTET, 2018
pp. 220
€ 20,00 (cartaceo)
L’ultimo Leonardo di Pierluigi Panza, da poco pubblicato da UTET, è un libro che contiene diversi nomi, molte date e svariati zeri. E queste occorrenze, che nei capitoli se ne stanno spesso insieme a tre a tre, intrecciano i loro destini a dir poco avventurosi con l’andamento trascinante di certi versi di medievale e incatenata memoria. L’unica “trinità” che però davvero conta, in questa storia incentrata sull’artista simbolo dell’homo novus rinascimentale, è, alla fin fine, solo una, ovvero questa: Salvator Mundi di Leonardo da Vinci, 15 novembre 2017, 450.000.000 di dollari. Ormai lo sanno tutti, anche i profani: il dipinto dall’attribuzione più discussa e nel contempo più costosa del mondo è diventato un’icona pop alla pari della sua enigmatica sodale, la celeberrima Gioconda. Con una differenza: che mentre la dama dal sorriso più ambiguo della storia dell’arte incrocia da secoli le braccia asserragliata tra le pareti parigine del Louvre, il Cristo benedicente dai riccioli d’oro ha recentemente preso la via dell’Oriente, e per un bel po’ pernotterà nella nuovissima e omonima sede espositiva di Abu Dhabi.
Storia, intrighi e misteri del quadro più costoso del mondo
di Pierluigi Panza
UTET, 2018
pp. 220
€ 20,00 (cartaceo)
L’ultimo Leonardo di Pierluigi Panza, da poco pubblicato da UTET, è un libro che contiene diversi nomi, molte date e svariati zeri. E queste occorrenze, che nei capitoli se ne stanno spesso insieme a tre a tre, intrecciano i loro destini a dir poco avventurosi con l’andamento trascinante di certi versi di medievale e incatenata memoria. L’unica “trinità” che però davvero conta, in questa storia incentrata sull’artista simbolo dell’homo novus rinascimentale, è, alla fin fine, solo una, ovvero questa: Salvator Mundi di Leonardo da Vinci, 15 novembre 2017, 450.000.000 di dollari. Ormai lo sanno tutti, anche i profani: il dipinto dall’attribuzione più discussa e nel contempo più costosa del mondo è diventato un’icona pop alla pari della sua enigmatica sodale, la celeberrima Gioconda. Con una differenza: che mentre la dama dal sorriso più ambiguo della storia dell’arte incrocia da secoli le braccia asserragliata tra le pareti parigine del Louvre, il Cristo benedicente dai riccioli d’oro ha recentemente preso la via dell’Oriente, e per un bel po’ pernotterà nella nuovissima e omonima sede espositiva di Abu Dhabi.
Che libro ha dunque scritto Pierluigi Panza, nota firma del “Corriere della Sera”, già autore di numerosi saggi e romanzi nonché professore al Politecnico di Milano? Sotto certi aspetti si potrebbe parlare di una biografia – quella del dipinto, per l’appunto – frammista a una detective story, dal momento che nel racconto della creazione e delle vicissitudini del Salvator Mundi non mancano tutti quegli elementi di intrigo e mistero che caratterizzano certe storie ricche di colpi di scena e di ovvio successo (anche editoriale). E lo ha fatto in due modi: da una parte, mettendo in gioco un’altra triade, ovvero facendo confluire in un’unica e piacevolissima prosa la vena dello scrittore, dello storico d’arte e del giornalista; dall’altra, assumendo il caratteristico “sfumato” leonardesco quasi come una metaforica linea guida, nella consapevolezza che in questa complessa vicenda non ci sono né ombre nette né improvvisi lampi di luce, e i contorni dei fatti e delle cose tendono sempre a fondersi misteriosamente gli uni negli altri, dietro la dispettosa nebbiolina del tempo e soprattutto del dubbio.
Non è per niente facile riassumere in sede di recensione la storia di questa tavoletta devozionale, e chissà se questo Cristo così ieratico, presumibilmente dipinto al perfetto crocevia tra Quattrocento e Cinquecento, avrebbe mai immaginato di dare origine a cotanto caos! Mettiamola così, anche per lasciare al lettore tutto il gusto di ripercorrere da sé, aiutato dal libro, le vere e proprie avventure che riguardano il dipinto e le sue interpretazioni da parte della critica: se è vero che Leonardo ha sempre avuto un discreto successo anche con la settima arte, anche nel destino del Salvator Mundi c’erano abbastanza stelle complottanti in favore di quella che sembra una sceneggiatura cinematografica. E che cosa c’è, dunque? Vediamo: ci sono teste coronate di Francia e di Inghilterra, incisioni fedeli e qualche crepa dell’età; ci sono un restauro molto discusso e un’attribuzione al maestro da Vinci che ancora attende di passare dalla forma orale a quella scritta. Ci sono la peste del Seicento e l’incendio di Londra del 1666, e un quadro gemello che a un certo punto salta fuori a sparigliare le carte con la sicumera di un parente invadente d’Oltralpe. E c’è denaro, pochissimo o moltissimo: quello degli acquisti, necessario per i passaggi di proprietà, e che trapianta l’opera dalle terre di un’Europa ricca di humus ai deserti punteggiati di palme, dalle corti rinascimentali e seicentesche fino alle aste più esclusive e ai jet set popolati da personaggi dello show business, indifferentemente artistico o finanziario.
Di certo, nel complesso di una narrazione che ha il pregio di restare sempre come sospesa sul filo di una serissima giocoleria – basta dare un’occhiata ai titoli dei capitoli, e comunque provateci voi a entrare e uscire senza un graffio da certi arbusti infuocati! – si fanno ricordare quei brani in cui il tono, di per sé sempre sostenuto da una vaga ironia, diventa ancora meno impersonale, per tradire il punto di vista di un insider ulteriormente beffardo e straniato, più stanco che sornione rispetto a un cinismo che, non più pago di manovrare da dietro le quinte, è diventato ormai padrone indiscusso del proscenio, insopportabilmente snob e blasé. Valga a titolo di esempio il seguente commento riferito alla mostra londinese del 2011, Leonardo Da Vinci Painter at the Court of Milan:
« “Tu c’eri quella volta che…?”, “Ti ricordi?”, “Pensa che roba…”: i discorsi tra critici e giornalisti mentre passeggiano davanti ai quadri esposti sono sempre gli stessi. La grande sala è dominata dalla Vergine delle Rocce versione inglese, che è la padrona di casa: è stata appena restaurata. Una vera ossessione, fin dagli anni cinquanta, quella dei restauri alla National Gallery! Poi, ecco la Madonna con bambino che viene dalla Russia, quindi la Dama con l’ermellino, dalla Polonia. Più paesi sono coinvolti meglio è per le mostre che puntano al turismo internazionale. “C’è anche la nostra”, senti dire dai visitatori, cioè c’è anche il quadro custodito nel loro paese. E, naturalmente, più il quadro è noto meglio è perché diventa oggetto di merchandising, puoi vendere gli spaghetti alla Dama con l’ermellino, il rosario con il Salvator Mundi e usare l’immagine in copertina sul catalogo, così sui sociale diventa “viale”, viene re-twittata come convenzione» (p. 167).
E ancora:
«le anticipazioni a questa mostra sono tutte trionfali e il vernissage si annuncia particolarmente nutrito di ospiti per questo evento. Ci saranno, al solito, anche iniziative collaterali, incontri con le scuole, serate a inviti, dibattiti con gli esperti: insomma, si lavora per la divulgazione… La sera dell’apertura si snocciolano i numeri dei giornalisti accreditati e delle televisioni collegate. Ma le scene a questi vernissage, dovunque avvengano, seguono un rito consolidato, specie nel vocabolario. Viste le opere, si va poi a cena dalle parti di Piccadilly o nelle case stile Christopher Wren con i nipoti dei celebri critici e, comunque, con qualcuno imprigionato in un doppio cognome…» (p. 169).
Chissà se anche la fama del Salvator Mundi resterà per sempre “imprigionata” nella gabbia di misteri ben ricostruita da Pierluigi Panza; una gabbia che, per quanto dorata e ormai foderata di rassicuranti petrodollari, resta comunque una prigione. Di certo, pur nella vaghezza della sua insondabile espressione, il Cristo benedicente non avrebbe immaginato uno scarto così consistente rispetto alle trenta monete che già un tempo gli furono fatali. Ma anche questo non è che un segno dei tempi: la concorrenza del dio denaro è tutta urlo e furore, e a quanto pare riesce a dare il meglio di sé anche nelle sedi di certe rinomate case d'asta.
Cecilia Mariani