Un biglietto per il naufragio
Pagani e Marino tra Genova e Barcellona
di Alessio Piras
Fratelli Frilli Editori, 2018
pp. 208
€ 12,66 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)
Lo so, è un’osservazione tautologica (e anche banale), eppure non riesco a
non pensare, dopo la lettura dell’ultimo romanzo di Alessio Piras, a come ogni
cosa sia destinata ad avere una fine. Questo perché Un biglietto per il naufragio
è un romanzo che parla di addii. Innanzitutto è il capitolo che chiude (ahimè)
la trilogia che vede protagonisti il Commissario Andrea Pagani e il professor
Lorenzo Marino, questa strana coppia di investigatori che abbiamo conosciuto in
Omicidio in Piazza Sant'Elena (qui la recensione) e in Nati in via Madre di Dio
(recensito qui); diversi poi, e di diverso tipo, saranno i congedi che avranno
luogo alla fine della storia.
In questo romanzo conclusivo i due indagano su un traffico
di esseri umani che si snoda fra i carruggi di Genova e le ramblas di
Barcellona, in un'operazione congiunta con la polizia catalana.
La trama prende le mosse dalla richiesta di aiuto fatta a
Marino da un vecchio amico, e poco a poco il “caso” prende forma e, come spesso
accade, la realtà si rivela diversa da quello che poteva apparire.
Genova e Barcellona: ancora una volta lo sfondo della
vicenda sono queste gemelle diverse che hanno segnato la vita del protagonista;
e ancora una volta, Lorenzo Marino si troverà di fronte a una scelta di vita
non facile e carica di implicazioni emotive pesantissime.
Al di là della trama, volutamente accennata solo per sommi
capi, ciò che di interessante emerge dalla lettura di Un biglietto per il
naufragio è, sulle prime, un senso di disorientamento per alcuni aspetti che
differiscono dagli altri due romanzi: la narrazione è in prima persona, le
finestre temporali sono meno distanziate, il tono è, in generale, più
nostalgico rispetto ai precedenti nonostante un intreccio più dinamico, dato
dalla particolarità dell’indagine (il recupero di una persona in pericolo, non
chiedete altro).
Un finale di trilogia un po’ mesto, quindi: tra distacchi e
addii, però, brilla lo svelamento del “coro shakespeariano” presente in entrambi
i titoli precedenti, un coup de théâtre geniale che chiude perfettamente il
cerchio e rivela il senso di quell'apparente discontinuità nelle scelte
narrative di quest’ultimo capitolo. Discontinuità che è fatta anche di una
maggior padronanza della tecnica narrativa, di una scrittura che acquista ritmo
e scorrevolezza con il susseguirsi delle pagine.
Una trilogia molto interessante, ricca di musica,
letteratura, profumi e sapori, da rileggere con rinnovato piacere proprio ora
che si propone come un’opera unica, in modo da collegare definitivamente tutti
i fili che le tre parti, prese separatamente, lasciano in sospeso.
Stefano Crivelli