Il giorno che durò vent’anni. 28 ottobre 1922: la marcia su Roma
di Antonio Di Pierro
Clichy, 2018
pp. 325
€ 18,00
Quella narrata da Antonio Di Pierro è una storia che è bene iniziare dalla fine, una fine tristemente nota ai più e riassunta dall'autore con parole lapidarie, che sottolineano in modo evidente il carattere quasi surreale degli eventi: venerdì 17 novembre 1922 Mussolini sancisce, con il successo della votazione per la fiducia al nuovo governo, l'inizio della sua scalata al potere. Come osserva Di Pierro,
il capo della destra estrema ha compiuto un vero e proprio miracolo: minacciando un colpo di Stato che aveva scarsissime possibilità di successo, ha ottenuto il potere per vie legali. Chiamato dal re e ricevuto l'incarico di formare il nuovo esecutivo è riuscito, lui, leader di un partito che alle ultime elezioni ha fatto eleggere appena 35 deputati, a ottenere il favore della stragrande maggioranza del Parlamento. (p. 250)
L'intera trattazione de Il giorno che durò vent'anni ha lo scopo di mostrare come, dietro a questa ascesa rapidissima e apparentemente inspiegabile, si celi in realtà una concatenazione di eventi che trova in interessi politici e scarsa lungimiranza da parte delle istituzioni il suo carburante principale.
La cosiddetta “marcia su Roma”, che ebbe assai poco della marcia, e a Roma ci arrivò, ma in modo molto meno trionfale di quanto la definizione farebbe pensare, avrebbe facilmente potuto avere un esito completamente diverso, decretando il fallimento – o comunque la crisi – delle ambizioni fasciste. La ricostruzione dei motivi per cui questo non avvenne è l'obiettivo di questo saggio, che ripercorre ora per ora la giornata del 22 ottobre 1922, da quando poco dopo mezzanotte il primo ministro Luigi Facta era stato informato delle sommosse fasciste nel Centro-Nord e dell'intenzione di farle arrivare fino alla capitale, alla mezzanotte del giorno successivo, con uno spiraglio su altre due date fondamentali: domenica 29 ottobre, quando il re decise di assegnare a Mussolini l'incarico di formare il nuovo governo, e il 17 novembre, quando questo di fatto si insediò con l'approvazione delle Camere.
Il rigore della scrittura saggistica cede spesso il passo a un piglio narrativo, quasi romanzesco, che vuole integrare con ipotesi plausibili gli spazi lasciati vuoti dalle fonti, calandoci nel vivo del fervore e degli incontri di una giornata campale e saltando con la sicurezza del regista da una scena all'altra, lungo binari paralleli: da Milano, dove Mussolini dirige e pianifica e gli squadristi iniziano a fare pressioni sulle principali testate giornalistiche, a Perugia, dove si radunano i quadrumviri e il grosso delle forze fasciste; dalle città del nord Italia dove i prefetti ora cedono, più raramente danno mandato alle forze armate di opporsi alle rivolte, fino a Roma, dove il Governo cerca – supportato dalle alte sfere dell'esercito – di far proclamare lo Stato d'Assedio.
Non era a dire il vero una novità per nessuno, il fatto che Mussolini stesse organizzando qualcosa di grosso per forzare l'ingresso dei fascisti nelle istituzioni, lo aveva annunciato anzi in termini più che espliciti al raduno che aveva avuto luogo a Napoli il 24 ottobre:
Io vi dico [...]: o ci daranno il governo o lo prenderemo calando su Roma. Ormai si tratta di giorni e forse di ore. È necessario, per l'azione che dovrà essere simultanea e che dovrà in ogni parte d'Italia prendere per la gola la miserabile classe politica dominante, che voi riguadagnate sollecitamente le vostre sedi. (p. 14)
Di fronte a queste minacce nient'affatto velate, però, il capo del governo non capisce, o sceglie di non capire. Soprannominato "Nutro fiducia" per il suo intramontabile ottimismo, Facta ha forse sottovalutato il peso dell'avvertimento, ma l'ingenuità sfiora in questo caso la cecità, se nel telegramma inviato al re da Napoli egli può scrivere in coscienza: "adunata fascista [...] procedette tranquillamente… Squadre fasciste stanno ripartendo questa ora… Credo ormai tramontato progetto marcia su Roma. Tuttavia conservasi massima vigilanza" (p. 15). La vigilanza non è evidentemente sufficiente a sventare quanto avverrà soltanto pochi giorni dopo.
La cronaca lineare dei fatti adottata da Di Pierro come criterio espositivo si apre spesso in digressioni e approfondimenti finalizzati a ricostruire il clima politico di un'Italia che, nel primo dopoguerra, stava affrontando seri problemi sociali ed economici, che la classe dirigente non sembrava in grado di fronteggiare. Anche i personaggi principali trovano il loro spazio: un ampio excursus è dedicato alla figura di Benito Mussolini e alla formazione del PNF; un altro a Gabriele d'Annunzio, forse l'unico uomo in Italia che Mussolini temesse davvero. In questo modo, quello che potrebbe diventare uno sterile resoconto storico-cronologico prende vita e aiuta il lettore a calarsi nell'atmosfera del tempo e a comprendere pienamente i processi politici e gli equilibri diplomatici instabili che spianarono la strada alla conquista del potere da parte dei fascisti. Certo, non tutte le parentesi paiono ugualmente necessarie (per esempio l'elenco degli spettacoli che sarebbero saltati a Roma per la proclamazione dello stato d'assedio) e alcune risultano addirittura di gusto discutibile (si potevano serenamente non conoscere le – scarse – abitudini igieniche dei ministri), tuttavia grazie ai dettagli disseminati con cura dall'autore il quadro si complica e acquista uno spessore difficilmente percepibile sui semplici manuali di storia. Ora per ora, seguiamo passo passo i personaggi coinvolti, impegnati in una girandola di incontri e trattative: vediamo le titubanze dei ministri, le divergenze che covano tra loro, ma anche tra le stesse fila dei fascisti; vediamo soprattutto l'improvviso voltafaccia di Vittorio Emanuele III che, dopo aver insistito per la proclamazione dello stato d'assedio rifiuta di firmare il decreto e convoca il leader del partito fascista a Roma. Non per tutte le scelte esiste una giustificazione sicura, ma esse paiono trovare un maggior senso nella stringente catena delle cause e degli effetti di quelle ore vorticose – e le cause e gli effetti risultano essere più opportunismi e giochi di potere che reali necessità operative. Interessante risulta in quest'ottica l'appendice finale, in cui è riportato "Il destino dei protagonisti" e si scopre che ben pochi persisterono nella loro iniziale ostilità contro le violenze fasciste, ma anche che ci fu chi, inizialmente convinto e sostenitore, aprì gli occhi in un secondo momento. Il saggio di Di Pierro, in toni chiari e divulgativi, ci aiuta a riflettere su una giornata che ha cambiato le sorti dell'Italia non esclusivamente sotto il piano politico, facendoci capire come a prevalere in quel caso furono gli interessi personalistici di un ristretto gruppo di persone, e sollevando in questo modo inquietanti riflessioni valide anche per il presente.
Carolina Pernigo
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