di Carlo Greppi
Feltrinelli, 2019
pp. 284
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Il sottotitolo del saggio di Carlo Greppi è "Breve storia del nostro tempo". E con questo l'autore rende immediatamente chiara al lettore la portata temporale del suo sguardo storico. Che non è il passato, il Novecento, il tempo delle guerre e delle conseguenti divisioni, bensì l'hic et nunc, il luogo e il tempo che tutti noi ci troviamo a vivere in questo nostro mondo. Greppi ci dice, in sostanza che l'età dei muri è la nostra.
E questo già mette il lettore in una predisposizione d'animo diversa, consapevole del fatto che non sta accingendosi a leggere soltanto un saggio storico, ma una riflessione sul nostro tempo, su noi stessi e sui concetti di inclusione/esclusione da queste nostre società.
Carlo Greppi, classe 1982, è, peraltro, uno storico giovane e quindi ancor più incline a guardare al passato non tanto per quello che ha già dato, con la consueta analisi di cause e conseguenze, ma anche e soprattutto per interrogarlo sulle risposte da dare al presente (e al futuro), nuovo e complicato, ma allo stesso tempo riflesso e ricorso di ciò che è già accaduto. E che troppe volte è stato etichettato con un poco preveggente "Mai più".
Il saggio quindi si propone di lanciare uno sguardo il più ampio possibile sul mondo di questo nuovo millennio per osservare i luoghi laddove ancora esistono muri di divisione. Tra un gruppo umano e l'altro, tra ricchi e poveri, tra neri e bianchi, tra chi segue un credo religioso e chi un altro, tra chi possiede e chi non ha. Facendo una scoperta:
Se all'inizio del XXI secolo nel mondo i muri erano meno di venti, secondo la documentatissima serie Un mundo de muros (...), in un quindicennio sono diventati settanta. (p. 240)
Solo per citarne qualcuno: il Berm di 2mila chilometri tra Sahara Occidentale e Marocco, quello tra Iraq e Kuwait, il Fence tra India e Pakistan, la Barriera di Gaza, il Serpente tra Sudafrica e Mozambico, la Linea verde di Cipro, il muro che separa Israele dalla Cisgiordania (un pezzo del quale è rappresentato, in copertina, con i due angioletti disegnati da Banksy) e il muro tra Messico e Stati Uniti, che Donald Trump avrebbe voluto allungare fino a coprire tutta la frontiera, la Tortilla Border, e che ora, pare, diventerà un reticolato (almeno stando al compromesso raggiunto tra Repubblicani e Democratici qualche giorno fa). Come se ci fosse poi tutta questa differenza tra l'uno e l'altro...
E per venire a luoghi a noi più vicini, la barriera anti-immigrati costruita nel 2015 tra Ungheria e Serbia. Mentre a casa nostra è il Mar Mediterraneo a trasformarsi, a volte, in un muro. O così vorrebbero in tanti, dimentichi del suo ruolo di collante tra culture diverse.
Perché il paradosso storico è questo: nel nostro tempo sono, o sono stati, i regimi democratici a ricorrere maggiormente allo strumento del muro, del filo spinato, della recinzione.
In ballo c'è il concetto di "esclusione", dal latino excludere, ex - claudere, chiudere fuori. Ma chi? Uomini, donne, bambini? E da che cosa? Da un posto nel mondo che solo il Caso ci ha assegnato?
L'inclusività insita nei progetti di comunità aperte come gli Stati Uniti e l'Unione Europea, ad esempio, viene oggi sacrificata sull'altare della sicurezza, e non è più l'idea di democrazia a essere difesa, ma il fatto stesso che possano avervi accesso "altri", che vanno fermati a qualsiasi costo. (p. 239)
Sicurezza per proteggere ciò che possediamo. Ed è così che nascono anche i muri al contrario, quelle gated communities costruite dai ricchi per rinchiudersi dentro, sorta di isole protette, all'interno di grandi metropoli, riservate ai cittadini più ricchi, per tenere fuori le periferie e tutti i loro abitanti. Muri al contrario perché in origine i muri servivano per delimitare aree dove isolare, al loro interno, i reietti o un gruppo ritenuto tale. Come il muro che nel 1940 venne costruito nel centro storico di Varsavia per rinchiudervi gli Ebrei, costruendo così il Ghetto.
Che è il punto di partenza del saggio di Carlo Greppi, il quale individua nella costruzione del muro di Varsavia l'esperimento riuscito dello «spegnimento di vite indegne di essere vissute» (solo nel 1941 furono 43mila le persone morte di stenti dietro il Muro).
Dalla Polonia a Berlino, dalla Giamaica al Canada, Greppi ha scelto un fil rouge particolare per costruire il suo saggio: seguire le vite di quattro persone: Emanuel Ringelblum, storico polacco di origine ebraica, nato nel 1900; Joe J. Heydecker, fotografo tedesco, nato nel 1916; John Runnings, attivista e pacifista canadese, nato nel 1917; e Robert Nesta Marley, meglio conosciuto come Bob, cantante giamaicano, nato nel 1945.
Che cos'hanno in comune queste quattro persone? Apparentemente poco, non si conobbero mai ed ebbero destini assai diversi. Eppure li accomunava un'idea: vivere in un mondo senza confini, «vedere gli uomini vivere assieme», abbattere i muri, gli ostacoli, le separazioni. Tutto il libro è strutturato in brevi capitoli che ripercorrono le vite di questi quattro uomini. Entriamo nel ghetto di Varsavia con Ringelblum, che ci lasciò come testimonianza un archivio di scritti sepolti sotto le macerie e ritrovati nel 1946, due anni dopo la sua morte, dandoci così la possibilità di conoscere le atrocità commesse dai nazisti. Atrocità testimoniate dall'occhio fotografico di Heydecker, che, pur essendo un soldato tedesco, si rese conto di ciò che accadeva al di là del muro e più di una volta mise a repentaglio la sua stessa vita per oltrepassare quella linea di mattoni, armato di macchina fotografica, per documentare, lasciandoci immagini strazianti, ciò che il mondo si ostinava a non voler sapere. Viaggiamo insieme a Runnings, la cui passione politica lo spinse, dal Canada, ai piedi del Muro di Berlino sul quale voleva, parole sue, «pisciare». Lo fece, per davvero, e, armato soltanto di una scala a pioli, su quel muro camminò. Lo chiamarono "Wall Walker" e terminata questa impresa si mise in testa di girare il mondo senza passaporto. E infine canteremo con Bob Marley, le cui canzoni, simbolo di libertà e fiducia nell'umanità, vengono qui riportate nelle loro strofe più significative. E chi di noi non le conosce? «One love, one heart, let's get together and feel all right»...
Un'idea originale e interessante, senz'altro, ma che ha il suo prezzo da pagare a livello di struttura. Greppi costringe infatti il lettore a continui sbalzi temporali e locali, seguendo le vite di quattro persone diverse, provando a individuarne le coincidenze (per esempio, i passaggi contemporanei nella stessa città), i fili, spesso piuttosto labili, che le tengono unite, cercando di procedere in parallelo, per quanto possibile, e tentando al contempo di integrare la sfasatura, sia temporale che di contesto, rappresentata dalla vita di Bob Marley.
Per questo, pur interessandomi moltissimo, la tematica del muro, ho letto il libro con una certa fatica, nel senso letterale del termine: ho "faticato" a stare dietro ai salti biografici, ho "faticato" a tenere a mente i particolari della vita dei quattro protagonisti, ho "faticato" a cercare di costruire mentalmente una mappa complessiva e omogenea. Quello di cui ho sentito maggiormente la mancanza è stata cioè la sistematicità, il procedere fattivo e causale da un prima a un poi. Come ci si aspetta solitamente da un saggio. Cosa che l'autore ha scelto consapevolmente di non dare. Scegliendo, invece, di raccontare le
biografie straordinarie di quattro protagonisti assoluti dell'età dei muri le cui vite hanno coperto integralmente il secolo scorso, sconfinando nel nostro tempo, rivelandosi pietre angolari di quel bisogno di rivolta che pochi di noi riescono ad assecondare. (p. 153)
Sicuramente un approccio nuovo e diverso del raccontare la Storia. Se vogliamo, un intreccio tra destino individuale, presentato come fosse un racconto, e resoconto storico, riportato a partire da documenti e testi. Romanzo/Saggio storico: laddove lo slash / rappresenta un muro che l'autore ha fatto di tutto per abbattere. Il rischio è che, in mezzo alle macerie, il lettore si perda.
Rosatea Poli