La ferrovia
sotterranea (The Underground Railroad)
di Colson Whitehead
Sur, 2017
Traduzione italiana di Martina Testa
pp. 376
€ 20
(cartaceo)
€ 4,99 (ebook)
Negli anni in cui era in vigore lo schiavismo nel sud degli
Stati Uniti, i diversi movimenti abolizionisti, presenti sia in quei luoghi ma
soprattutto negli stati del nord, combattevano questa pratica anche attraverso
il sostegno attivo a quei pochi neri che tentavano la fuga dalle piantagioni
per raggiungere gli stati “liberi” o, addirittura, il Canada.
Tra le diverse strategie elaborate vi era la cosiddetta
“ferrovia sotterranea”, che era una sorta di percorso a tappe attraverso il
quale lo schiavo fuggiasco poteva contare sull’aiuto di una serie di
“passatori” che lo avrebbero nascosto, rifocillato e accompagnato fino alla
meta.
Compito tutt’altro che facile per questi individui
coraggiosi, perché il fatto di essere bianchi non li metteva al riparo da
ritorsioni e da punizioni non molto diverse da quelle previste per gli schiavi
riacciuffati.
Cora, la protagonista di questo romanzo, è una schiava quindicenne
che decide di fuggire dopo l’ennesimo sopruso da parte del padrone e nella
speranza di ritrovare la madre che aveva fatto quella scelta anni prima e di
cui non ha più saputo nulla. Inizia quindi un percorso a ostacoli che, insieme
ai compagni di fuga Caesar e Lovey, la ragazza percorre instancabilmente e
nonostante mille imprevisti, con il terrore di essere catturata dalla banda di
tagliagole al soldo della proprietà della piantagione. Tra di essi si
distingue, per efferatezza e determinazione, il cacciatore di schiavi Ridgeway
(un villain che da solo si mangia tutto il romanzo, tra l’altro), che aveva
fallito nel recuperare la madre di Cora anni addietro e per quel motivo è
particolarmente motivato a catturare la figlia per regolare i conti. I
fuggiaschi sono supportati dai volontari abolizionisti (bianchi) che
costituiscono il sistema della “ferrovia sotterranea” e che tenteranno in ogni
modo, a rischio della vita, di facilitare il passaggio verso il Canada.
Il romanzo segue quindi passo a passo il percorso,
pericolosissimo in ogni momento, che Cora deve seguire per raggiungere
la salvezza, poiché la fuga è un punto di non ritorno, la
cui alternativa è, in caso di cattura, il rientro alla piantagione e la morte
più lenta e atroce possibile di fronte agli altri schiavi in modo da costituire
un esempio e un deterrente a eventuali altri tentativi di fuga o di ribellione.
La ferrovia sotterranea è un romanzo davvero interessante,
non solo per il ritmo sostenuto ed emozionante della narrazione, ma soprattutto
sul piano psicologico e delle interazioni sociali; Cora, la protagonista, è
doppiamente vittima in quanto schiava e in quanto donna, preda sia del padrone
bianco e dei suoi sgherri ma anche degli schiavi maschi e confinata, a causa
della (sacrosanta) reattività di fronte agli episodi di violenza nei suoi confronti, in una
sezione della tenuta riservata agli schiavi considerati pazzi o potenzialmente
pericolosi. Whitehead non disegna una società divisa in modo manicheo fra
schiavi buoni e bianchi cattivi, piuttosto descrive persone con pregi e difetti,
coraggio e debolezze a prescindere dal colore della pelle e dallo status. La stessa Cora è un
personaggio controverso e problematico, soprattutto nel periodo di segregazione;
il suo desiderio di ritrovare la madre non parte da uno stimolo di tipo
affettivo, piuttosto dall’istinto di vendicarsi per essere stata abbandonata
con un atto imperdonabile i cui particolari saranno svelati solo al termine della
vicenda.
Vi è poi un elemento surreale e curioso nell’interpretazione
di Whitehead della “ferrovia”, che descrive proprio come un treno e una strada
ferrata nascosta, una sorta di “treno della salvezza” invisibile ai più, che
conduce chi fugge dall’ingiustizia verso la libertà. Elemento che sulle prime,
a dirla tutta, risulta un poco sconcertante, alla luce soprattutto del realismo
crudo del narrato. Una lettura più approfondita, tuttavia, aiuta a calarsi nel
processo creativo dell’autore, che in una recente intervista rilasciata a Noemi
Milani del blog Il Libraio.it (potete leggerla qui) ha svelato il percorso gestazionale del romanzo, lungo quasi quindici anni e partito
dall’aver provato a immaginare questo sistema di soccorso come lo avrebbe
pensato un bambino, quindi con un treno vero e proprio.
Colson Whitehead prova, con questo romanzo, ad affrontare il
problema mai risolto del razzismo e della xenofobia negli Stati Uniti, con un
lavoro che, nonostante l’ambientazione in tempi lontani, si rivela di notevole
attualità, oltreoceano come a casa nostra. E lo fa seguendo una modalità
narrativa che inserisce l’elemento fantastico (la ferrovia “vera”) in un
contesto dove il realismo più esplicito restituisce appieno l’atmosfera di terrore,
che lungo la lettura viene percepita distintamente.
Stefano Crivelli