di George Wald
traduzione di Paolo Falcone
add editore, 2019
pp. 128
€ 12
Quando l’uomo contempla se stesso, l’universo fa altrettanto; quando l’uomo apprende, anche l’universo apprende; quando l’uomo crea, l’universo si arricchisce di qualcosa di nuovo. Se l’uomo morisse, morirebbe anche una piccola parte dell’universo. E, prendendo in prestito un’altra celebre espressione, se Dio morisse, sarebbe perché è morto l’uomo. (p. 62)
Chi si aspetta che uno scienziato sappia parlare solo di scienza è
sicuramente in errore. Posti dinnanzi alle domande che da secoli hanno
affascinato l’uomo, alcuni dei migliori scienziati si sono rivelati menti
finissime per le speculazioni filosofiche, arrivando a competere, e a volte a
superare, i filosofi veri e propri. Senza entrare in un dibattito che
richiederebbe non un articolo, bensì un saggio di qualche centinaio di pagine,
basti pensare a quei neuroscienziati, medici e biologi che, soprattutto nella
seconda metà del Novecento e soprattutto in questi anni, stanno provando a
risolvere uno dei più grandi misteri di questo universo: l’esistenza dell’anima.
Penso a nomi come lo scomparso Gerald Edelman, anch’egli premio Nobel per la
medicina cinque anni dopo Wald, che, insieme all’italiano Giulio Tononi, si è
inabissato nelle profondità delle cellule cerebrali per costruire una teoria
unitaria della coscienza (Un
universo di coscienza. Come la materia diventa immaginazione, Einaudi
2000); ma anche al portoghese Antonio Damasio che, sin dal suo primo saggio (L’errore di Cartesio,
Adelphi 1994), si è dedicato alla decostruzione del concetto di anima e alla
sua sostituzione con quello più preciso e contemporaneo di mente. La lista
potrebbe continuare – pensiamo a Jonathan Haidt e ai suoi studi di
psicologia morale, a Joseph LeDoux, a un mostro sacro come Stephen Hawking – ma
il concetto è chiaro: nell’era della tecnologia più avanzata lo scettro delle
risposte alle domande fondamentali dell’uomo è più volte passato dalla filosofia alla
scienza.
George Wald si inserisce in questo filone di scienziati-pensatori:
negli anni Sessanta del Novecento, e ancora più nei Settanta, Wald sposta
gradualmente il suo interesse dalla ricerca scientifica alla teoria politica e
sociale, sfruttando le proprie conoscenze del mondo accademico per fornire
risposte e teorie efficaci a un mondo che, nella sua ottica, sta lentamente scivolando
verso la catastrofe. Sono gli anni della Guerra fredda, dell’utilizzo della
fissione nucleare per la creazione di armi atomiche, di un progressivo
incremento dell’inquinamento globale.
In queste sei lecture, dunque,
più che occuparsi di scienza, anzi a partire da questa, Wald espone la propria
visione del mondo, e lo fa con una padronanza di linguaggio e una capacità
oratoria in grado di affascinare e convincere anche nei momenti in cui le sue
teorie risultano contrarie al senso comune. Leggendo la citazione a inizio
recensione, infatti, si può notare come per lo scienziato l’uomo sia una sorta
di punto di arrivo della Creazione: più avanti infatti ribadisce che «la sua
comparsa è stata una sorta di culmine» (p. 95). Questo è un concetto forte, che
contrasta molto con la visione darwiniana dell’universo che vede nelle diverse
fasi evolutive degli esseri viventi una totale mancanza di disegno (design), un’assenza generale di percorso
o scala naturae. Eppure, nella
visione olistica di Wald, il quale arriva ad affermare che gli esseri viventi
sono immortali perché a deperire è solo il corpo (il soma) ma non il codice genetico che è alla base della vita, questo
concetto ha perfettamente senso: se pensiamo che noi esseri umani siamo
letteralmente composti della stessa sostanza di cui sono fatte le stelle, e
che, almeno per quanto se ne potesse sapere nel 1970, tutta la vita nasce da
quattro elementi di base (idrogeno, ossigeno, azoto e carbonio), allora ha
anche senso affermare che un essere in grado di riflettere su se stesso e sull’intero
universo possa in qualche modo essere il mezzo
attraverso cui tutto ciò che esiste è in grado di indagare su se stesso.
Penso che noi sappiamo quale sia la domanda. La domanda, quella definitiva, concerne il significato della vita, di tutto ciò che ci circonda. È una domanda eterna, e non ha risposta. Eppure dobbiamo continuare a porcela all’infinito, cercando di rispondere meglio che possiamo. La mia risposta è che il significato della vita stia nell’incessante evoluzione dell’universo, quell’evoluzione dell’universo che a suo tempo ha dato origine alla vita stessa. (p. 98)
Al di là delle speculazioni teoretiche, in ogni caso, le posizioni più
complesse di Wald sono certamente quelle riguardanti l’etica e la politica. Nel
1969 sulla Terra vivevano 3,5 miliardi di persone, ma già in quel momento secondo
lo scienziato era necessaria una soluzione radicale: «Se i bambini americani
stanno bene, anche l’America sta bene. Se tutti i bambini stano bene, l’umanità
intera sta bene. Un mondo migliore per i bambini sarà un mondo migliore anche
per gli adulti. Come abbiamo visto, però, oggi ci sono sin troppi bambini, e
credo sia dunque il caso di aggiungere una parola al nostro slogan: Un mondo migliore per meno bambini» (pp.
88-9). La sua soluzione, qui come su altri punti, come abbiamo visto in merito
al concetto di uomo come culmine dell’universo, è perfettamente coerente con le
premesse: c’è scarsità di risorse? Riduciamo gli esseri umani, ovviamente non
attraverso genocidi e guerre ma praticando il controllo delle nascite.
In generale, in ogni caso, il messaggio di Wald è di un ottimismo
sconfinato. La vita, un evento rarissimo nell’universo eppure necessario, va
preservata, e poiché noi siamo il punto massimo raggiunto dall’evoluzione spetta
a noi il sacro compito di difenderla. La tecnologia è qualcosa di neutrale, né
buona né malvagia, quindi anziché usarla a scopi militari perché non impiegarla
per migliorare la vita non solo degli esseri umani ma di tutte le specie
vivente sul nostro pianeta?
Un messaggio utopistico, forse, visto come sono andate poi le cose
negli ultimi quarant’anni. A maggior ragione un testo come questo,
affascinante e alla portata di tutti, risulta essere tanto più prezioso.
David Valentini
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