Quella metà di noi
di Paola Cereda
Giulio Perrone, 2019
pp. 224
€ 15 (cartaceo)
Ci sono vite che sembrano estremamente prevedibili. E invece. Matilde è sempre sembrata un libro aperto per tutti: moglie, madre, maestra elementare appassionata del suo lavoro. Ma chi ha mai davvero provato a conoscerla, a parte il marito, che però è morto da anni? C'è un'altra vita che Matilde ha tenuto a lungo per sé: quella che l'ha vista tornare donna, con speranze, sogni, desideri di una tanto fantomatica svolta fatta pensando a sé, per una volta. Eppure niente è così facile: infatti nelle prime pagine di Quella metà di noi, Paola Cereda, psicologa e scrittrice non alle prime armi, ci presenta la sua protagonista alle prese con un nuovo lavoro come badante, a casa di un capriccioso eppure ancora lucidissimo e interessante ex ingegnere torinese. Perché mai una donna come Matilde, meritatamente arrivata alla pensione, deve riprendere a lavorare? A cosa le servono i soldi che accantona di mese in mese?
Per la risposta, che non possiamo assolutamente rivelare qui o crollerebbe la curiosità del lettore, ci vorrà tutto il romanzo. D'altra parte, non ne sanno nulla neanche i parenti più stretti, anche se "stretti" è un termine paradossale pensando ai rapporti che Matilde tiene con la figlia Emanuela e con i nipoti. Si tratta di rapporti quanto mai esacerbati, compromessi irrimediabilmente, perché Emanuela si rivolge a sua madre per chiederle ben settantamila euro come anticipo sull'eredità. Anzi, non li chiede; li pretende, con una faccia tosta a dir poco fastidiosa per chiunque abbia un minimo di educazione e soprattutto di rispetto per il lavoro e le fatiche altrui. E Matilde nicchia, perché lei non ha più i suoi risparmi, ma non può spiegarle il motivo reale, che serba in sé come un segreto, come la cartolina attaccata al frigorifero e il sogno con cui spesso si risveglia. Quanto ai nipoti, diciamo che sono il prototipo perfetto (forse fin troppo) degli adolescenti egoisti, viziati e indifferenti ai sentimenti altrui.
Più che i familiari, Matilde conosce meglio la famiglia dell'ingegnere, le altre badanti, che compaiono qua e là nel romanzo in chiacchiere e quadretti socialmente interessanti, anche se non fondamentali per lo snodo della trama; conosce meglio gli altri abitanti di Barriera, i suoi vicini di casa e dirimpettai strambi, sboccati e solo apparentemente caricaturali (lo sa bene chi ha vissuto in periferia).
Dunque, al di là della trama che presenta una donna costretta ad adattarsi, a rimettersi in gioco dopo il pensionamento e con un lavoro decisamente difficile da sostenere psicologicamente e fisicamente, troviamo una Matilde molto cambiata, Paola Cereda si concede parecchie aperture alla società in cui Matilde vive, indagando mondi in parte emarginati ma senza mai trarre conclusioni fastidiose perché moralistiche. Anzi, si limita a narrare e descrivere, esattamente come la sua protagonista, che non è mai giudicante, ma aperta al mondo. Così Matilde, con i suoi tempi e i suoi ritmi, i suoi piccoli vizi e le sue speranze, è un esempio di voglia di vivere, nonostante la figlia che si meraviglia che la sua «vecchia» madre (quante volte glielo fa notare?) abbia desideri, nonostante i problemi economici, nonostante l'accudimento dell'ingegnere, nonostante tutto ciò che solitamente farebbe scappare la voglia di rimettersi in gioco.
Il ritmo narrativo non è al centro della ricerca compositiva di Paola Cereda: come la trama qui presentata scorre con fluidità ma prendendosi tempo per aprire parentesi su vite altrui, così lo stile è morbidamente ed elegantemente adagiato sul foglio, con consapevolezza e molta attenzione all'interiorità dei personaggi.
GMGhioni
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