Piccolo mondo perfetto
di Kevin Wilson
Fazi Editore, 2018
Traduzione di Silvia Castoldi
pp. 426
€ 18,00
La multimilionaria Brenda Acklen e lo psicologo Preston Grind hanno un’idea in comune a proposito della famiglia ideale. Per loro il Piccolo mondo perfetto è «una famiglia più ampia di quella formata da un marito, una moglie e i loro figli» (p. 73), in cui tra i bambini venga ricreato spontaneamente lo spirito comunitario che la signora Acklen ha conosciuto in prima persona nell’orfanotrofio in cui è cresciuta e ha conosciuto l’amore della sua vita, il luogo più felice che lei ricordi. Condividendo quest’idea, il dott. Grind aggiunge altri dettagli alla «famiglia che non avrà mai termine, a prescindere dalle circostanze. Una famiglia perenne. Una famiglia infinita» (p. 73): la marca distintiva di questo nucleo familiare (che non ha nulla a che vedere con una comune o una setta, sia ben chiaro!) deve essere lo spirito comunitario. Proprio perché «spesso i genitori sono abbandonati a se stessi» nella crescita di un bambino, Preston è convinto che l’investimento per l’allevamento di un individuo debba provenire da un gruppo, non da una coppia né da un singolo, che abbia un interesse a «livello comunitario per il destino» (p. 126) di questa nuova vita che nasce.
Dal canto suo Isobel (Izzy, per tutti) Poole non cercava di certo la perfezione per la sua vita. Scoprendo, però, di essere incinta, a diciannove anni, del suo professore di Arte del liceo, figlia di un uomo alcolizzato che non hai superato la morte della moglie sei anni prima e in grado di sostenersi a stento lavorando tutti i giorni in un barbecue restaurant (di quelli americani, autentici, dove il maiale viene affumicato a mano artigianalmente e ogni parte arrostita singolarmente), di fronte a tutto questo, dicevo, la prospettiva di entrare a fare parte di un progetto che avrebbe pensato a lei e al suo bambino per i successivi dieci anni, garantendo a entrambi il meglio dell’assistenza medica e sociale possibile, senza alcun esborso di denaro in cambio, beh, se il Progetto Famiglia Infinita (PFI) non le sembrava interamente perfetto (anzi, erano più i dubbi che le certezze di fronte a quello che le veniva chiesto di fare), alla perfezione si avvicinava davvero molto.
E così nove coppie in attesa, più la madre single Izzy, tre ricercatori e il dott. Grind iniziano quest’avventura di crescita e convivenza fermamente convinti che la loro esperienza avrebbe rivoluzionato per sempre la società, introducendo un modello valido di vita per chiunque si trovasse a intraprendere un percorso genitoriale. L’inizio è entusiasmante e pieno di speranza: i genitori riescono davvero a condividere i propri figli senza che nessuno si consideri la madre o il padre esclusivamente di chi ha messo al mondo per natura; ogni tappa di questi splendidi esserini, dalle coliche notturne ai primi dentini, dalle prime parole ai primi passi, viene condivisa da tutti i diciannove adulti; la serenità e la brillante intelligenza dimostrata dai piccoli della famiglia, poi, sembrano confermare tutte le ipotesi elaborate all’inizio del progetto. Arrivati però al terzo anno di convivenza, quando l’euforia per i neonati (senza la stanchezza endemica che questi portano con loro nei genitori) lascia il posto alla gestione di individui sempre più autonomi e indipendenti, il Piccolo mondo perfetto inizia e creparsi sotto il peso dell’individualità, dei sentimenti, delle ambizioni, degli odi reciproci e sì, anche dell’amore: immaginate di fare convivere ventiquattr’ore su ventiquattro giovani uomini e giovani donne con le loro pulsioni e i loro pensieri, in un contesto così splendente e positivo da suscitare in loro continui sensi di colpa ogniqualvolta l’adesione al progetto gli sembra la cosa più stupida fatta nella vita.
Il dott. Grind, incapace di accettare errori e fallimenti e nel suo cuore alla ricerca della sua personale famiglia, lui che era stato cresciuto dai genitori (emeriti professori di psicologia) secondo il metodo della frizione continua (abituare il bambino a piccole sofferenze per prepararlo alla crudezza della vita) ripiomba nell’oscurità che si porta dentro da quando la sua vita è cambiata per sempre, esemplificando in se stesso il contrario di quello che andava professando. I genitori iniziano a chiedere di più, a cedere agli istinti e l’aura di gioia che sembrava ricoprire ogni centimetro del complesso in cui vivono da anni, in un Grande Fratello senza telecamere (in cui il mondo esterno, ufficialmente non tagliato fuori, ma nella pratica viene dimenticato), viene spazzata via. Izzy, in un continuo oscillare tra il credere convintamente al progetto e rifiutarlo come esperienza contro natura, sarà la prima a scontrarsi con l’idea di perfezione che si era immaginata: il PFI permetterà a lei e a noi di capire che ogni famiglia è perfetta nella sua impossibilità di essere perfetta, che a volte gli amici sono la famiglia più preziosa che ci viene data in dono (e il signor Tannehill ne è un’esemplificazione perfetta) e che, infine, la bellezza di essere umani è il fatto di rimanere «un mistero gli uni per gli altri, non importa quanto ci sforziamo di dimostrare il contrario» (p. 284).
Kevin Wilson inventa un progetto che dimostra che il controllo sui sentimenti delle persone è impossibile e che l’imperfezione di ogni piega dell’anima è essa stessa perfezione. Per quanti manuali di psicologia o puericultura si siano letti, per quanto si sia competenti in materia di neurobiologia e sociologia, non ci sarà mai un modo unico o giusto di essere famiglia: la perfezione risiede nell’amore. Con Piccolo mondo perfetto Wilson imbastisce un romanzo poetico, in una prosa felice e vera, senza fronzoli, in cui il distacco della terza persona del narratore (concentrato sul dott. Grind e su Izzy, ma efficacemente in grado di fare sentire le voci, tutte diverse, degli altri personaggi) aumenta di pagina in pagina il coinvolgimento, spingendo a volerne sapere sempre di più, ancora e ancora, sulle sorti di questo gruppo sgangherato. Un romanzo piacevole e leggibile che non lesina attimi di sentimentalismi e commozione, soprattutto verso la fine della storia.
Federica Privitera