di Sergio Claudio Perroni
La nave di Teseo, 2019
Disegni di Leila Marzocchi
pp. 170
€ 15,00
€ 15,00
Di Pulce, fin dall'inizio, è difficile dare una
definizione che non la limiti, che ne circoscriva le caratteristiche senza
sacrificarle. Ha sette anni, occhi "color
tatuaggio" e una vivacità innata che pare indispettire, più che far
sorridere, chi la circonda. Sarà per questo che la sua personalità può essere
definita inizialmente solo in negativo: non è buona come il fratellino, non è
brava come la sorellina, non è educata come i cuginetti... la bambina non
chiede che di essere apprezzata per quello che è da familiari troppo ottusi per
notarne le qualità, ma visto che questo pare non essere possibile, e che sono
vani tutti i suoi tentativi di provare a essere qualcun altro, un bel giorno
decide di "prendersi una vacanza".
La favola
bella, che è anche apologo morale, di Sergio Claudio Perroni racconta
in capitoli brevi, dalla struttura ricorrente, delle avventure di Pulce durante
i due giorni della sua lontananza da casa: la
bambina infatti si affaccia al mondo con curiosità e generosità, cambiando la
vita delle persone che incontra.
Ognuna di loro si trova nella condizione di aver perso qualcosa: chi una madre, chi un palloncino, chi una nuvola, chi l'orientamento, chi il proprio riflesso, chi una stella cadente... e Pulce, grazie alla sua empatia e alla sua natura ancora duttile, indefinita, a un'identità ancora in divenire, riesce a prendere la forma di ciò che a ciascuno manca, riempiendo vuoti e consolando spiriti afflitti. Le metamorfosi di Pulce nelle "cose scomparse" vengono rese spesso in toni lirici, suggestivi, che contribuiscono a enfatizzare il momento dello scioglimento, quando i comprimari si congedano dopo aver ritrovato la felicità, o almeno la pace.
Ognuna di loro si trova nella condizione di aver perso qualcosa: chi una madre, chi un palloncino, chi una nuvola, chi l'orientamento, chi il proprio riflesso, chi una stella cadente... e Pulce, grazie alla sua empatia e alla sua natura ancora duttile, indefinita, a un'identità ancora in divenire, riesce a prendere la forma di ciò che a ciascuno manca, riempiendo vuoti e consolando spiriti afflitti. Le metamorfosi di Pulce nelle "cose scomparse" vengono rese spesso in toni lirici, suggestivi, che contribuiscono a enfatizzare il momento dello scioglimento, quando i comprimari si congedano dopo aver ritrovato la felicità, o almeno la pace.
Pulce sussurrò il nome della pietra mentre pian piano si diluiva intorno a lei, sciogliendosi in una ghirlanda di riflessi sempre più simili a quelli di un corso d'acqua sfiorato dal sole; e quel nome ripetuto diventò un fruscio di corrente, un bisbiglio di anelli d'acqua che la circondavano e la stringevano in un abbraccio liquidò che la faceva rabbrividire. (p. 77)
L'afflato poetico del testo viene mitigato e
compensato da alcune note ironiche aggiunte a piè di pagina, che svelano le
fonti della saggezza di Pulce, maturata nella sua breve vita grazie ad incontri
significativi:
Pulce
sapeva che certe cose sono come i sogni: quando le spieghi, perdono tutta la
bellezza.35
35 Fonte: Saro il pasticciere, alle clienti moleste che gli
chiedevano gli ingredienti delle sue torte. (p. 153)
Pulce
sapeva che spesso chi canta è sgradito a chi ha il cuore stonato.34
34 Fonte: la portinaia, quando lavava le scale e l'inquilina del
secondo piano eccepiva sul suo repertorio. (p. 144)
Pulce, piccola saggia, riesce a trovare una forma
di comunicazione specifica per ciascuno dei suoi interlocutori e, oltre a
risolvere molti dei problemi altrui (ma non tutti,
e non a tutti, perché nella vita non
tutti gli spazi possono essere riempiti, non tutti i desideri soddisfatti),
scoprirà anche qualcosa di importante su di sé: dopo aver tentato in tutti i modi di aderire alle aspettative altrui,
la bimba dovrà imparare a fare la cosa più difficile, essere e assomigliare
esclusivamente a se stessa. Perroni sceglie però di imbarcarsi in un racconto di formazione a doppio senso: a capire non è infatti soltanto la
piccola protagonista, ma anche i suoi familiari, che improvviso – nell'assenza –
imparano a guardare, a vedere Pulce davvero:
Li vide prendersi per mano e guardarla a distesa, come se in quella foto non ci fosse una bambina minuscola bensì un'intera folla, lottando contro le lacrime per far correre gli occhi da un punto all'altro dell'immagine, dalla fossetta sul mento alle scarpine di vernice, dalle ginocchia sbucciate alle dita paffute che stringevano i fiori appena colti, quasi che ognuno di quei dettagli fosse una persona in sé E tutte insieme fossero il mondo di cui avevano bisogno per continuare a vivere. (p. 162)
La bambina che
somigliava alle cose scomparse si configura come una favola per tutta la famiglia, da leggere e commentare insieme:
i bambini saranno affascinati dalla semplicità e dall'efficacia della
narrazione, oltre che dalle delicate illustrazioni di Leila Marzocchi,
abilissima a rendere i tratti sottili e animati di Pulce. Ai lettori adulti
viene chiesto invece uno sforzo maggiore: la sospensione dell'incredulità per
la durata di una storia che non ambisce a rispettare i canoni del realismo e li
sacrifica deliberatamente – e con successo – alla trasmissione di un messaggio.
Eppure anche per loro verrà la soddisfazione derivante dal confronto con una
prosa tersa e di qualità e dalla conclusione tenera di un racconto in grado di
pacificare tutti gli animi e innescare la fantasia.
Carolina
Pernigo