In Vietnam. Digressioni di
viaggio
di Stefano Calzati
Prospero editore, 2018
pp. 303
€ 14
È spesso l’eurocentrismo che ci contraddistingue: andiamo in Africa o
in Asia per le nostre due settimane di ferie e, osservando le abitudini locali,
gli odori e i colori dei luoghi sacri di religioni diverse, la cultura
culinaria che rischia di far impazzire i nostri intestini, giudichiamo.
Facciamo continui paragoni con la nostra cultura e al contempo andiamo a caccia
di foto e souvenir da mostrare alle persone per mostrare come
abbiamo accolto la loro, come ci siamo sentiti parte del popolo cavalcando gli
elefanti, indossando copricapi di paglia, praticando una tantum la posizione
del loto in un tempio buddista.
Non sempre è così, ovviamente, ma è innegabile che questo è il più
delle volte il mood con cui partiamo: vogliamo vedere il vero volto di un luogo
esotico e poi prenotiamo una suite con vista sui grattacieli approfittando del
cambio. È questo viaggiare o è piuttosto fare i turisti, seguendo l’etimo
della parola che rimanda al Grand tour, il lungo percorso che i giovani e
ricchi europei compivano nei secoli scorsi per acculturarsi?
È tenendo a mente questa premessa che, a mio avviso, ci si può avvicinare
al testo di Calzati, poiché partire per un Paese straniero con quella mentalità
segna un determinato modo di spostarsi e che poco ha a che fare col viaggio, se
con questo termine vogliamo intendere visitare un luogo sconosciuto,
apprenderne i chiaroscuri, comprenderne le usanze e tornare arricchiti a
livello non solo di esperienze e di cose da raccontare, bensì a livello
personale.
Calzati arriva a Ho Chi Minh City, ex Saigon, e da lì, affidandosi
anche e soprattutto ai locali e agli viaggiatori incontrati lungo la via, di
dirige a nord fino a raggiungere Hanoi. Il confronto fra due culture così
diverse è inevitabile ma l’autore evita quell’errore di cui sopra: evita cioè
di contrapporre il noi al loro, la nostra cultura occidentale e dominante alla
loro orientale e, perché, in fondo primitiva. Lo fa immergendosi nella quotidianità della
popolazione, accettando i consigli dai locali ed entrando nella
cultura a passo felpato, quasi chiedendo permesso. È facile visitare un luogo attraverso
guide specializzate, più difficile – ma appagante – è invece affidare le
proprie energie, il proprio tempo e la propria sicurezza allo
sconosciuto. Così facendo, un tour organizzato con tanto di bandierine e
cappellini può diventare un affascinante viaggio in motorino (mezzo di
spostamento per eccellenza in Vietnam) con chi, dismesso
il ruolo della guida, si rivela un crogiolo di umanità e informazioni interessanti.
Calzati, con occhio clinico, indaga le abitudini di una nazione che è
stata sia preda che predatore (perché sì, oltre alla guerra contro francesi
prima e americani poi e all’eterna minaccia delle invasioni cinesi, il Vietnam
ha a sua volta conquistato il territorio dei khmer) e ne scopre la più grande
contraddizione: un Paese che ha vinto una guerra sanguinosa e sui cui palazzi e
fra le cui strade oggi campeggiano il volto del condottiero Ho Chi Minh e la
stella gialla su sfondo rosso, ma che a quanto pare non è stato immune dal
fascino del capitalismo targato USA; fra quelle stesse strade, dove risuonano i
canti del partito, accanto a negozi che quasi mai sono di proprietà delle persone ma
appartengono allo Stato, spiccano i loghi e le insegne delle grandi catene.
È probabilmente questa la contraddizione più evidente della città [Ho Chi Minh City], ossia il suo distonico svilupparsi secondo mere logiche di accumulo, senza alcuna apparente progettazione, come se i suoi abitanti fossero stati travolti dalla marea di capitale riversatasi su di loro dagli anni Novanta e ne fossero stati ammaliati, annichiliti. L’irrazionalità del moto perpetuo di cui il nostro tempo si alimenta presuppone un presente istoricida nel quale il prima e il dopo, il nuovo e il vecchio, si scontrano e si sovrappongono senza alcuna armonia, senza alcuna lotta. (p. 36)
Con il rigore del giornalista, la curiosità del viaggiatore e le
capacità dello scrittore, Stefano Calzati fa emergere dalle sue
pagine caotici paesaggi urbani e la natura a tratti incontaminata, persone come lui in viaggio, cieli dalle
costellazioni non percepibili qui nell’emisfero boreale. È una bella lettura, e
doppiamente apprezzata da chi, come me, quei luoghi li ha visti in prima
persona e dunque è ben felice di ritrovare, nelle sue parole, percezioni e impressioni vissute con la propria pelle e i propri occhi.
David Valentini