di Filippo Tapparelli
Mondadori, 26 febbraio 2019
pp. 195
€ 17 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
«Sono la cosa più vicina a un padre che uno come te si merita. Ti do una casa, ti do da mangiare e ti insegno come si fa a vivere, ragazzo» (p. 64).
Che distopia angosciante, quasi un horror!, ho pensato alle prime pagine di L'inverno di Giona, vincitore del Premio Calvino 2018. Poi sono andata avanti, mi sono immersa nella foschia di quel paese grigio e post-apocalittico dove il piccolo Giona si muove a stento, acciaccato dalle ferite inferte da una sorta di nonno adottivo, Alvise, temuto e rispettato da tutto il paese, ma non sappiamo bene per cosa. Un anziano che, dopo aver picchiato a sangue Giona, che si era impuntato per un semplice capriccio da bambino, ha ribadito:
Ma cosa si cela davvero? Quale destino aspetta Giona? E perché di tanto in tanto si dice che il suo nome in realtà è un altro? Lo scopriremo solo dopo 150 pagine dettagliatissime sulle ferite e i dolori di Giona, sui suoi sentimenti da preda in fuga, pagine sferzate di tanto in tanto dai ricordi che, per quanto incidentali e apparentemente casualmente affastellati qui e là, sembrano appartenere a una memoria che funziona solo a intermittenza.
Questo ambiente, che ricorda nelle atmosfere di caccia Anna di Ammaniti e nella desolazione apocalittica La strada di McCarthy, è però molto più nebbioso di quanto sembri e la soluzione arriva a cinquanta pagine dal finale. Allora tutto combacia, le tessere del puzzle tornano a incastrarsi alla perfezione e il romanzo vira verso il thriller psicologico. Sono queste le pagine più riuscite a mio parere, perché nella prima parte del romanzo l'attenzione al dettaglio va talvolta a scapito della suspense: arriviamo a toccare con mano la tensione e la paura di Giona; spesso però la trama subisce rallentamenti eccessivi per focalizzarsi su descrizioni fin troppo analitiche dei sentimenti e delle sofferenze del piccolo protagonista. Tante variazioni sul tema, insomma, che dimostrano la bravura di Tapparelli nell'assumere il punto di vista del ragazzino, ma alcuni passi appaiono superflui.
Più che altro, lasciare il lettore al buio, a vagare nell'oscurità di un incubo per 150 pagine, è un bel rischio: chi accetterà il patto narrativo e si fiderà di questo nuovo autore, stando al gioco, e chi invece, dopo una cinquantina di pagine chiuderà il romanzo? Perché a convincermi appieno, lo confesso, è più la scrittura molto matura che l'equilibrio narrativo: io ho accettato di leggere sostanzialmente tre quarti del libro senza capire, confidando che uno scrittore tanto abile avesse in serbo una sorpresa. E in effetti invito i lettori a fare altrettanto: lasciatevi trasportare dall'angoscia di Giona, attraversate il suo universo slabbrato e a pezzi, perché poi tutto assumerà senso e, a conclusione dell'opera, resterete stravolti da quello che Filippo Tapparelli ha architettato per noi. Non arrendetevi e, come Giona, attraversate le ombre. Tutto, poi, avrà senso e una ricompensa, per quanto inquietante.
GMGhioni
«Padre è chi ti castiga quando sbagli. Padre è chi ti punisce quando perdi. Padre è chi ti forgia. Io ti ho reso migliore. Prima non eri niente» (p. 64).Ma fino a che punto si può ricorrere alla violenza per "forgiare" un carattere? Giona, io narrante, è comprensibilmente concentrato su di sé, sulla propria paura, alternata a ricordi di una vita precedente, quando era lontano dalla cupa atmosfera del paese, viveva con mamma e papà e il sole rischiarava ancora la sua infanzia. Questo zizzagare tra i ricordi piacevoli, come un condannato a morte a poche ore dall'esecuzione, rende ancor più difficile tornare al presente del paese: Giona è solo e infreddolito, di notte, fuori dalla casa del vecchio, alla ricerca di un riparo, di cibo e di qualche pur minima speranza. Certo, in paese ogni tanto intravvede Norina, una bambina che è presa a giocare col suo gattino, ma sa ugualmente prestare strane attenzioni a Giona. Tuttavia, lei non può far niente, così come sua mamma Anna.
Ma cosa si cela davvero? Quale destino aspetta Giona? E perché di tanto in tanto si dice che il suo nome in realtà è un altro? Lo scopriremo solo dopo 150 pagine dettagliatissime sulle ferite e i dolori di Giona, sui suoi sentimenti da preda in fuga, pagine sferzate di tanto in tanto dai ricordi che, per quanto incidentali e apparentemente casualmente affastellati qui e là, sembrano appartenere a una memoria che funziona solo a intermittenza.
Questo ambiente, che ricorda nelle atmosfere di caccia Anna di Ammaniti e nella desolazione apocalittica La strada di McCarthy, è però molto più nebbioso di quanto sembri e la soluzione arriva a cinquanta pagine dal finale. Allora tutto combacia, le tessere del puzzle tornano a incastrarsi alla perfezione e il romanzo vira verso il thriller psicologico. Sono queste le pagine più riuscite a mio parere, perché nella prima parte del romanzo l'attenzione al dettaglio va talvolta a scapito della suspense: arriviamo a toccare con mano la tensione e la paura di Giona; spesso però la trama subisce rallentamenti eccessivi per focalizzarsi su descrizioni fin troppo analitiche dei sentimenti e delle sofferenze del piccolo protagonista. Tante variazioni sul tema, insomma, che dimostrano la bravura di Tapparelli nell'assumere il punto di vista del ragazzino, ma alcuni passi appaiono superflui.
Più che altro, lasciare il lettore al buio, a vagare nell'oscurità di un incubo per 150 pagine, è un bel rischio: chi accetterà il patto narrativo e si fiderà di questo nuovo autore, stando al gioco, e chi invece, dopo una cinquantina di pagine chiuderà il romanzo? Perché a convincermi appieno, lo confesso, è più la scrittura molto matura che l'equilibrio narrativo: io ho accettato di leggere sostanzialmente tre quarti del libro senza capire, confidando che uno scrittore tanto abile avesse in serbo una sorpresa. E in effetti invito i lettori a fare altrettanto: lasciatevi trasportare dall'angoscia di Giona, attraversate il suo universo slabbrato e a pezzi, perché poi tutto assumerà senso e, a conclusione dell'opera, resterete stravolti da quello che Filippo Tapparelli ha architettato per noi. Non arrendetevi e, come Giona, attraversate le ombre. Tutto, poi, avrà senso e una ricompensa, per quanto inquietante.
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